Il rifiuto di Leonida

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A metà agosto l'esercito persiano fu avvistato nel golfo Maliaco in avvicinamento alle Termopili. Alla notizia dell'imminente arrivo di Serse al passo, i Greci incominciarono ad aver paura e nel corso di un consiglio di guerra presero a discutere di una eventuale ritirata. I peloponnesiaci suggerirono di tornare all'Istmo di Corinto e di difendere quello per impedire agli invasori l'ingresso al Peloponneso; ciò provocò lo sdegno di Focesi e Locresi che provenivano dalla zona direttamente minacciata dall'arrivo dei nemici. Leonida, visto lo sdegno di costoro e placati i dissidi, decise di restare a difendere il passo e nel contempo inviò messaggeri nelle città vicine a chiedere rinforzi poiché le truppe a sua disposizione erano insufficienti per respingere i Persiani.
Dopo essersi accampato, Serse inviò un emissario per negoziare con Leonida: ai Greci venne offerta la libertà, il titolo di "amici del popolo persiano" e terre più grandi e più fertili di quelle che già possedevano. Quando questi termini di pace furono rifiutati da Leonida, l'ambasciatore chiese perentoriamente di gettare le armi ma sembra che il re abbia risposto: «Vengano a prenderle loro» (in greco antico "Μολὼν λαβέ"). Serse rimase incredulo alla risposta riferitagli dal suo ambasciatore, perciò lasciò passare quattro giorni sempre sperando che i Greci si ritirassero; al quinto giorno, poiché i Greci non accennavano ad andarsene e anzi la loro permanenza gli sembrava un atto di insolenza, ordinò di dare inizio alla battaglia.

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