L'uccello della verità 2#parte (Fernàn Caballero)

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«Nessuno» rispose la rondine cittadina, «c'è soltanto un mite gufo che ci vive tutto solo da eremita, però quello non sa una parola della lingua degli uomini.. sa dire solo "croce!" E la imparò quando fu testimone della Crocifissione del Redentore degli uomini, e da allora non smette di ripeterla tristemente. Perciò, non potrà assolutamente farsi capire dal Principe, sempre ammesso che questi possa in qualche modo capitare di lì, ma è quasi impossibile che questo accada. Però ora, amichette mie, andate con Dio, perché qui si è fatto molto tardi, e ormai siamo al tramonto, e il Sole sta affondando le sue piume nel fondo del mare. Quindi ora me ne vado, che i miei piccoli staranno sentendo la mia mancanza. Arrivederci, comare Beatrice, arrivederci a tutte!» Così dicendo, la rondinella prese il volo, e i due bambini, rimasti soli, non sentirono più né fame, né stanchezza, felici com'erano di quello che avevano sentito. Si alzarono e seguirono a piedi la direzione presa dalla rondine.

Al suono delle campane, giunsero ad una città, che secondo loro doveva essere punto quella del Re, loro padre; domandarono rifugio per la notte a una buona donna, e quella, che era buona come il pane, nel vedere due bambini così bravi e a modo, li accolse in casa più che volentieri. La mattina seguente, all'alba, la principessina si alzò a fare i mestieri, mentre il principino si diede da fare a pulire il giardino. Così, quando più tardi, la donna si alzò trovò tutte le faccende sbrigate, e ne fu tanto lieta che propose ai due fratellini di restare per sempre a vivere con lei. Il principe rispose che sua sorella poteva tranquillamente rimanere, ma lui desiderava concludere una missione importante, che era precisamente il motivo del suo viaggio. Si congedò, dunque, e proseguì il cammino della speranza, pregando Dio che guidasse i suoi passi verso la conclusione di un'impresa tanto rischiosa. Camminò per tre giorni senza incontrare anima viva, né torri. Al quarto si fermò e sedette, triste e scoraggiato, all'ombra di un albero. All'improvviso vide una tortorella posarsi fra i rami di quell'albero. Il bambino disse nella sua lingua:

«Tortorella dalla piuma nera,
dì a costui che tanto spera,
quel castello che di nome fa "Ci andrai e mai più ritornerai"
dove sta?
Tu che tanto buona sei,
dimmi ciò che sai
e un'opera buona orsù farai.»

Rispose la tortora:

«Oh, povera creatura!
Chi è che mal ti fa? Chi ti manda fino a là?
Dirtelo non so
Se è per te fortuna oppure no..
Ma dal momento che lo chiedi,
Ascoltami,
E segui il vento, se mi credi.»

Il bambino ringraziò di cuore la buona tortora, e si rimise subito in viaggio, pur temendo che il vento, volubile e mutevole com'era, potesse smettere di soffiare nella direzione giusta da un momento all'altro. Tutt'intorno si fece arido e triste, e l'imbrunire rese ancora più buie le nude rocce e fece apparire ancora più grigia e cupa l'alta torre in cui dimorava la strega. La vista di quel luogo avrebbe intimorito chiunque, tranne il principino, che aveva l'animo coraggioso ed era tutto animato dai più sentiti propositi, così, proseguì senza timore; e, arrivato che fu, prese una pietra da terra e con quella batté tre colpi alla porta. L'uscio si aprì, e la vecchia apparve in tutta la sua bruttezza portando un lanternino in mano: era una vecchia orrenda e decrepita, e il povero bambino, terrorizzato, fece tre passi indietro. La vecchia era circondata da un esercito di ramarri, gechi, scarafaggi, ragni, ed altre creature terrificanti.

«Come osi, immondizia ambulante» esclamò la strega, «venire a bussare alla mia porta e svegliarmi nel cuore della notte? Che vuoi? Parla, sù!» «Signora» disse il bambino, «sapendo che solo Voi conoscete la strada per il castello di "Ci andrai e mai più ritornerai", sono venuto qui apposta per chiedervi di indicarmela, per piacere.» La vecchia fece una smorfia in segno di beffa, e rispose: «D'accordo, ma adesso è tardi. Ci andrai domani; entra pure, passerai la notte con le mie bestiolette.» «Non posso restare» rispose il bambino, «devo andarci subito, per tornare prima che sia giorno da dove sono venuto.» «Accidenti, accidentaccio!» grugnò rabbiosamente la strega, «te lo dico, ma ad una condizione: che vai subito a prendermi un secchio dell'Acqua Multicolore che sorge dalla fonte che si trova nel cortile del castello. Se non lo fai, ti trasformo in ramarro per l'etenità!» «Accetto, accetto!» rispose il bambino. Allora la vecchia chiamò un vecchio cane che si reggeva in piedi a malapena e gli disse: «Conduci questo soldo di cacio al castello di "Ci andrai e mai più ritornerai", e avverti il compare del suo arrivo.» Il cane grugnò, e s'apprestò ad ubbidire. Due ore dopo arrivarono nei pressi di un grande maniero, alto, vasto, solitario e cupo, le cui porte erano spalancate, senza però che pervenissero luci dall'interno, come se fosse completamente disabitato. Perfino i raggi di luna sembravano impallidirsi nel riflettersi su quell'edificio bigio e silenzioso. Il cane cominciò ad abbiare e corse avanti, ma il bambino, non sapendo se il gigante stesso dormendo o meno, si fermò e si nascose timorosamente nel tronco di un folto olivo europeo, che era l'unico albero a trovarsi in quella landa desolata. «Signore Gesù, aiutami!» esclamò il bimbo. «Croce! Croce!» rispose una triste vocina di nascosto nei rami dell'albero. Il bambino, entusiasta, riconobbe il famoso eremita descritto dalla rondinella, e gli disse nella lingua degli uccelli: «Mio piccolo amico, guidami, ti supplico. Sto cercando l'Uccello della Verità, ti prego, dimmi dove si trova! E prima di andare, devo anche portare alla vecchia della torre un secchio d'Acqua Multicolore.» «Non lo fare» rispose il gufo, «non riempire il secchio con l'Acqua Multicolore, attingi invece da un'altra sorgente l'acqua limpida e pura che si trova lì vicino alla fonte Multicolore, e porta quella, alla vecchia. Poi non perdere altro tempo. Cerca la stanza degli uccelli, che è di fronte alla porta. Ignora tutto quello che ti diranno i passeri colorati con le piume vistose: loro ti balzeranno subito davanti, ti circonderanno tutti in gruppo, strilleranno come aquile per cercare di confonderti, ti aduleranno per ingannarti, dicendoti di essere l'Uccello della Verità, ma non è vero. Tu non li ascoltare, e prendi invece un passerottino bianco che quei fetenti tengono rinchiuso in un angolo, con la speranza di riuscire ad ammazzarlo (ma non ci riusciranno mai perché è un uccello immortale). Però adesso sbrigati, corri, vai! Che proprio ora il gigante sta per mettersi a dormire, e tra appena un quarto d'ora sarà di nuovo in piedi.»

Le fiabe di cui non sapevi la veritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora