Capitolo 10: Ricordi trattenuti e insicurezze da esprimere.

5.5K 221 11
                                    

Giorno 5: Ariadne
Socchiusi la porta della camera e controllai che John non fosse già in piedi, se no la mia idea di fare colazione sarebbe saltata. Per una volta che non avevo conati ne fitte al ventre non mi sarei fatta scappare l'occasione. Avevo, per la prima volta, messo la sveglia e l'esperimento aveva funzionato benissimo. Esattamente alle sette e mezza la sveglia era suonata, un dolce trillio. Lentamente aprii la porta della camera e in punta di piedi raggiunsi la cucina. Accesi la luce e, dopo aver aperto l'armadietto della colazione, presi una brioches al cioccolato e il caffè in polvere. Presi una tazza pulita dal lavandino e ci versai del latte preso da frigo. Misi la tazza nel micronde e dopo circa un minuto la tirai fuori e ci versai il caffè dentro, girandolo con un cucchiaino, trovato anch'esso nel lavandino. Una volta finito misi il cicchiaino in lavastoviglie. Mi sedetti alla penisola e mangiai, comodamente e tranquillamente. Mangiai la brioches e bevvi il latte macchiato. Una volta finito riposi tutto nella lavastoviglie senza, però, farla andare. Purtroppo in queste cose facevo proprio schifo, non ero mai riuscita ad imparare. La chiusi e mi diressi verso la mia camera. Appena aprii la porta della mia camera sentii quella di John aprirsi. Giustamente erano le otto. Ed entrambi dovevamo andare a lavoro. Sarei dovuta andare in libreria con John ma solo l'idea mi faceva arrossire e imbarazzare. Dopo quello che era successo la sera scorsa mi vergognavo troppo. Mi aveva accolto tra le sue braccia per senso del dovere, per compassione. Non serviva che me lo dicesse lui: io lo immaginavo. Me lo sentivo. Girai il viso, rimanendo di spalle, giusto per vedere John venire verso di me. Mi rigirai in fretta e mi chiusi in camera, sbattendogli la porta praticamente in faccia. Non riuscivo a guardarlo in faccia. Provavo solo una gran vergogna. Mi appoggiai contro la porta e gli diedi una testata contro. Una fitta di dolore attraversò la mia testa e mi portai, istintivamente, la mano dietro la testa. Tastando il punto dolente. Ero proprio una scema. Risi di me stessa e sbuffai, seppur ridendo. Andai verso i miei borsoni, che oggi avrei rimesso via, e presi una paio di pantaloncini di jeans, che avevo indossato il giorno prima, una canotta nera totalmente in pizzo, dell'intimo nero, le mie ballerine nere e il mio spazzolino. Mi infilai gli occhiali, che avevo lasciato precedentemente sul comodino a lato del letto, e socchiusi la porta, per controllare se lui era nei paraggi. Zero. Via libera. La aprii lentamente e, in punta di piedi, come una spia, uscii dalla camera e, silenziosamente, richiusi la porta alle mie spalle. Azzerai la distanza tra a me e il bagno, frettolosamente. Proprio mentre stavo per chiudere la porta del bagno una mano bloccó la sua chiusura. Mi girai di scattò e, distinto, mi portai una mano sul cuore, che batteva troppo forte. John. Lo guardai negli occhi e provai a chiudere la porta ma, purtroppo, la mano di John me lo impediva. Abbassai gli occhi e sbuffai, dondolandomi sui piedi...avanti e indietro. Sembravo una bambina. Mi afferrò il mento con la mano, quella non occupata a tenere ferma la porta, e me lo alzò. Mi strinse la mascella tra le dita, spaventandomi. Un brivido di paura mi percorse la schiena, facendomi irrigidire. Avevo, stupidamente, paura che potesse farmi del male. Sapevo che non lo avrebbe mai fatto ma quella leggera stretta mi aveva fatto tornare indietro nel tempo, quando chi mi stringeva era mio padre e a quando sapevo, con certezza, che non lo faceva teneramente.

Inizio flashback
Presi mr. Taddy e lo feci scivolare dalla mensola il più silenziosamente possibile. Papa me lo aveva ritirato perché le mie risate gli davano fastidio. Ora stava dormendo sulla sua poltrona, con la tv accesa, e io ne avevo approfittato per riprendermi mr. Taddy. Mi mancava e io mancavo a lui...lo sentivo. Lo strinsi forte al mio petto e lo sbaciucchiai tutto. Guardando mio padre, che ancora stava dormendo, decisi che era ora di tornare nella mia cameretta. Se si svegliava, ubriaco e stanco, avrei corso dei guai seri. Stavo per tornare in camera quando, per sbaglio, urtai uno dei vasi del salotto, che cadde a terra frantumandosi in mille pezzi. Mi portai le mani davanti alla bocca e mi misi a saltellare per evitare i cocci. Li spostai usando mr. Taddy e cercai di continuare a camminare senza far rumore. Mentre stavo per partire senti dei passi venire verso di me. Mi immobilizai e lentamente mi voltai. Guardai in basso e vidi le scarpe di mio padre. Inghiotti a vuoto e rialzai lo sguardo, incontrando quelli iniettati di sangue e arrabbiati di mio padre. Indietreggiai, impaurita, ma la sua mano afferrò il mio mento, strattonandomi verso di lui. Lanciai un lamento di dolore e lasciai cadere per terra il mio pupazzo. Mi strinse più forte e mi piegò il viso, con forza. Mi lamentai di più e incominciai a piangere. Si avvicinò a me e io mi scostai leggermente. "Piccola vipera, questa me la paghi!" Lo guardai negli occhi e un brivido di paura mi attraversò la schiena. Sapevo che le sue punizioni erano toste. Con tutta la forza che avevo tirai su il naso e gli tirai un calcio nello stinco. Lui urlò e involontariamente mi lasciò andare. Io raccolsi il mio pupazzo e scappai velocemente. Non potevo fermarmi. Talmente andavo di corsa che sbattei contro la porta della stanza di mio fratello. Intanto sentivo papa imprecare. Aprii in fretta la porta e me la richiusi alle spalle. Urlai e mi buttai sopra mio fratello, infilandomi sotto le coperte di fianco a lui. Si alzò di scatto e mi guardò accigliato. "Ti prego chiudi! Chiudi! Mi vuole fare male!" Lui capì immediatamente e si precipitò a chiudere la porta a chiave. Poi venne da me e mi abbracciò, cantandomi una ninna nanna per coprire il rumore dei pugni contro la porta.
Fine flashback

Un lampo di paura attraversò i miei occhi e lui non se lo fece scappare. Capì. Allentò la stretta alla mia mascella e si piegó, lasciandomi un bacio sulla fronte. Io arrossii e gli sorrisi, imbarazzata. Stava facendo questo perché lo sentiva o perché gli facevo pena? Scossi la testa. Mi liberai dalla sua presa e mi voltai, guardando la mano di John che teneva la porta aperta. Lui si staccò dalla porta e guardò l'orologio che portava al polso. "Hai mezz'ora di tempo per prepararti." Lo guardai dubbiosa e gli afferrai il braccio per vedere l'ora: erano le otto e mezza. Se io avevo mezz'ora di tempo lui quando si sarebbe preparato? "E tu quando ti prepari?" Lui rise e mi spinse dentro il bagno. "Il mercoledì è il mio giorno libero." Rise e mi chiuse la porta del bagno. Stranamente non la chiusi a chiave, mi fidavo. Aprii la doccia e mi spogliai lentamente, poggiando il mio pigiama a terra e i vestiti da mettere sul wc. Mi infilai velocemente nella doccia e mi lavai testa e corpo, facendo il più in fretta possibile. Non avevo tempo da perdere. Uscii dalla doccia e avvolsi il mio corpo con uno degli asciugamani appesi all'apprendiabiti di fianco alla doccia, presi quello rosa che avevo già usato in precedenza. Mi asciugai il corpo con l'asciugamani e mi vestii. Mi scossi i capelli, per togliere il grosso del bagnato, e li pettinai con la spazzola nell'armadietto della stanza. Presi l'elastico, che tenevo sempre al polso, e mi feci una semplice treccia laterale. Mi lavai i denti accuratamente e poi lo lasciai accanto a quello di John, nel bicchierino. Mi piaceva vederli insieme. Come se fossimo noi due. A quel pensiero arrossi. Uscii dal bagno e rientrai in camera mia. Rifeci velocemente il mio letto e sistemai il pigiama disordinatamente sotto il cuscino. Indossai gli occhiali e presi la borsa con dentro tutto l'occorrente. Usci dalla camera e raggiunsi John in salotto. Era seduto sul divano, bevendo del caffè. Picchiettai leggermente la sua spalla, per fargli capire che ero pronta per andare. Lui si girò verso di me e annuì. Si alzò dal divano e, dopo aver posato la tazza nella lavastoviglie, prese le chiavi e insieme uscimmo di casa. Lo osservai attentamente e notai che indossava il pigiama. Non riusci a trattenermi e scoppiai a ridere come una scema. Lui si girò verso di me e mi guardò in modo interrogativo. Indicai la sua mise e lui rise con me. "Non è mica colpa mia se qualcuno ci mette mezz'ora per prepararsi...." E sorrise. Io lo guardai e, imbarazzata, smisi di ridere. Lo superai e uscii dall'edificio, avviandomi verso l'auto. Lui mi raggiunse velocemente e fermò la mia camminata prendendomi per il braccio e facendomi girare verso di lui. Lo guardai negli occhi e strattonai il braccio per liberarmi. Abbassai lo sguardo, mortificata. Non sapevo cosa mi stava succedendo. "F-Farò tardi al lavoro." "È questo che vuoi?" "Cosa voglio?" Lui mi ignorò, aprì l'auto e, dopo esserci entrato, mise in moto. Io girai intorno all'auto e aprii la portiera, entrando in macchina. Chiusi la portiera sbattendola. Mi girai verso di lui e gli presi la mano destra tra le mie. "Che cos'è che voglio? Cosa?" "Vuoi davvero passare questo tempo, con me, litigando continuamente? Creando problemi per nulla? Parlami, per favore." Gli accarezzai la mano e poggiai la testa contro il suo braccio. "Giurami che tutto quello che fai per me non è dettato dalla pena e dalla compassione. Io mi sento un'approfittatrice, sento che ti sto obbligando ad aiutarmi." Lui mi accarezzò i capelli e mi bació la fronte. Sentii un piccolo brivido passarmi per la schiena...e stavolta non era di paura. "Nulla di quello che sto facendo per te è dettato dalla pena o dalla compassione, nulla. E, ti prego, credimi. So di non essere obbligato a fare quello che sto facendo, ma voglio aiutarti. Lo sai che è così, te lo ripeto da sempre." Mi scostai dal braccio di John e annuii. Lui mi prese il viso tra le mani. "Per quanto possibile io ti starò vicino." Io annuii. "Sai che non sei obbligato a rinunciare a lui." Lui mi lasciò andare il viso e si girò verso il volante. Solo ora notai l'orario: nove e dieci. Cacchio, ero in ritardissimo! Lo guardai e lui partì. Il viaggio, durato più o meno dieci minuti, passò velocemente e silenziosamente. Peccato che non fosse un silenzio rilassato ma un silenzio nervoso, tirato. Sapevo di essere io il problema, dovevo smetterla di essere così prevenuta verso gli altri, verso John. Dovevo essere più sicura di me stessa e più sicura dei sentimenti degli altri per me. Non che John provasse dei sentimenti per me. Ovvio. Sbuffai e in quel momento arrivammo in libreria. Scesi dall'auto velocemente, per l'enorme ritardo in cui ero, e, dopo aver salutato velocemente John, mi fiondai in negozio. Aprii la porta e, una volta richiusa, mi ci appoggiai contro, chiudendo gli occhi. "E tu chi saresti?" Aprii gli occhi di scatto e ne incontrai un paio color ghiaccio.

Noi e il frutto del nostro amoreWhere stories live. Discover now