Capitolo 7 - Black coat

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Adorava il fatto che Aidan avesse capito ciò di cui aveva bisogno senza che lei avesse aperto bocca e ancora di più che non si aspettasse delle spiegazioni o non tentasse di tirarle fuori le parole.
Dopo qualche minuto in silenzio si agitò ripiombando nei suoi pensieri e mugolò confusa, ma lui cauto le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé. Affondò la faccia nell'incavo del suo collo e respirò a fondo, come se solo così fosse in grado di stare tranquilla.
Le veniva da piangere, avrebbe voluto buttare fiumi di lacrime, ma non si sentiva pronta a crollare davanti a qualcuno che praticamente non conosceva, quando era solita escludere dalla propria sfera emotiva perfino coloro che avevano trascorso secoli in sua compagnia; doveva ammettere però di nutrire una strana propensione nei suoi riguardi nonostante la stizza. Quando lo guardava scattava in lei una sorta di interruttore che la rendeva irriconoscibile anche a se stessa, e non era qualcosa che potesse accettare di buon grado: le dava terribilmente fastidio qualsiasi cambiamento, e se era lei a cambiare, l'odio per la sua persona superava di gran lunga per intensità quello che avrebbe potuto provare per chiunque altro.
Le posò le mani sulle spalle e la spinse leggermente indietro per guardarla.
Nelle sue iridi scure il ragazzo poté scorgere soltanto la stanchezza.
Non aveva la forza di staccarsi e lui lo capì subito; la prese delicatamente per un gomito e la condusse verso la panchina sul portico con un tacito invito.
Charity si sedette al suo fianco e si abbandonò nuovamente su di lui, guardandolo da sotto il mento, poi si alzò.
Aidan rimase perplesso, ma tutti i suoi pensieri svanirono nel momento in cui gli scostò il braccio sedendosi sulle sue gambe a riempire lo spazio che aveva lasciato.
Le braccia di lui erano mura di cinta per la fortezza inespugnabile che racchiudevano.
Posò una guancia sul suo petto mentre lui calmo le accarezzava mollemente i capelli con lo sguardo perso nelle distese cineree.
Charity vide attraverso lo spazio tra i primi bottoni la cicatrice sul suo cuore e li aprì per farvi combaciare la mano, sorridendo soddisfatta.
-Stai ammirando la tua opera, mh?- chiese facendo vibrare il petto.
L'orecchio della ragazza era perfettamente incollato ad esso e sentì la sua voce ancora più profonda.
Le si rizzano i capelli alla base della nuca.
- Forse- gli rispose guardando verso l'alto. Tracciò con l'indice il contorno della copia della sua mano mentre lui percorreva le dita di lei con le sue.
Non sapeva esattamente perché si fosse trovata in quell'ambigua situazione, né perché non stesse bruciando per un contatto che sfuggiva all'ampia gamma delle mosse di combattimento, né perché non gli avesse troncato di netto la mano quando l'aveva presa per il gomito iniziando quella strana recita.
Le pareva infatti di doversi attenere a un copione già scritto che metteva inevitabilmente a tacere i suoi bollenti spiriti.
-Cosa hanno detto di me quando sono uscita?
-Nulla, assolutamente nulla. Nessuno ti biasima, puoi stare tranquilla
-Sicuro?
-Certo, non ti mentirei mai.
Fissò lo sguardo nel suo e disse: -Ti credo.
Non vedeva altro che la verità in quelle due gocce di smeraldo fuso.
-Sai, anche se mette praticamente i brividi , non è poi così male questo posto.
Aidan deviò abilmente il discorso. Sapeva perfettamente che avrebbe capito il suo gioco, ma non interessava a nessuno dei due, e lei proseguì sul suo stesso binario.
-Com'è lì Sopra adesso?
-Niente di speciale, come al solito gente che cerca di mettere i piedi in testa ad altra gente...
-Non voglio sapere questo idiota - lo interruppe roteando gli occhi divertita suo malgrado - intendo, descrivimi cosa c'è... il sole, il cielo... mi mancano...
-Penso come prima- rispose ovvio.
-Vuoi semplicemente parlare e basta?- sbottò pentendosi di aver creduto che fosse intelligente, ma ridendo di lui.
-Beh, dove vivo io piove spesso, e mi infastidisce molto il fatto che debba uscire e bagnarmi. Mi piace quando posso rimanere a casa e fare quello che voglio.
-Io amavo leggere quando fuori pioveva... di solito preparavo anche una bevanda calda e mi sedevo vicino alla finestra. Lo amavo assolutamente.
-Che rimanga tra di noi, anche a me piace un sacco- disse mettendole due dita sotto il mento e alzandole il viso verso di lui, strizzando un occhio.
-Bene bene, più idiota di quanto credessi- scherzò.
-Me lo hai detto così spesso che non ricordo come mi chiamo- si grattò una tempia con l'indice, fingendo di essere pensieroso.
-Allora ho raggiunto il mio obiettivo.
-Tutto qui? Questo era il tuo grande progetto?
-Può darsi.
-In tal caso, se è questo che vuoi rinuncerò al mio nome, potrai chiamarmi Amore.
-Contaci.
-Potrei farlo- ironizzò.
Una scintilla indecifrabile turbò per un attimo il cielo terso delle sue iridi, solo per un istante, ma Charity non stava più guardando.
-Non ci spererei troppo.
-Scommettiamo?
-Ti prego.
-Okay scommettiamo- disse affermandosi come vincitore.
La ragazza non condivideva l'esito di quella battaglia unilaterale, ma scelse di non prestare attenzione.
-Mi stavi parlando della pioggia- si arrese.
-Uhm, sì. Ovviamente quando c'è il sole è bellissimo. Di solito mi piace, anzi mi piaceva, starmene da solo. Non sono una persona che può definirsi esattamente socievole.
-Ma dai... Pensavo che facessi l'animatore per bambini- si finse stupita.
-Spiritosa- frignò arricciando il naso come per farle il verso.
Non era nella sua indole tentare di essere simpatico e nonostante ciò riusciva continuamente a strapparle dei risolini nascosti terribilmente male.
-Lo so- chiuse gli occhi e alzò le sopracciglia altezzosa.
-Sei cosi buffa.
-Perché?
Mentre parlava la afferrò per i fianchi e la spinse facendola cadere dalle sue gambe.
-Per questo ovviamente- ghignò vittorioso.
Il viso distorto dal dolore della botta e dal fastidio la rendeva davvero buffa, ma pensò che adesso avrebbero dovuto tecnicamente essere alla pari, dato il capitombolo che gli aveva causato, anche se lui non l'avrebbe mai saputo. Di certo non sarebbe mai riuscito a cavarglielo di bocca, né lei avrebbe raccontato il misfatto di sua volontà. Sarebbe rimasto all'oscuro di tutto. Era il loro segreto di cui lui non era a conoscenza.
Si preoccupò subito di tornare in vantaggio e non si lasciò sfuggire l'occasione: essendo letteralmente seduta sotto le sue lunghe gambe divaricate, dopo averlo distratto, gli sferrò un calcio non troppo forte nel suo punto debole.
Gemette portando le mani sul cavallo dei pantaloni e bisbigliò qualcosa che Charity non capì.
-Anche tu lo sei- sorrise innocente.
-Sei...terribilmente...stronza.
-Dimmi qualcosa che non so già- ribatté facendogli l'occhiolino e risedendosi sulla panchina.
Questa volta si posizionò a debita distanza da lui, che tentava di raccogliere le briciole in cui aveva ridotto la sua dignità.
-Dovremmo andare a riposarci, Persefone ha detto... che tra un paio d'ore dovremo essere ad Hourglass...Hill,e tu devi allenarti... per portarci su- disse fermandosi di tanto in tanto.
-Non ci riesci proprio eh?
-A fare cosa?
-A non farmi saltare i nervi ogni dieci secondi.
-Scusa.
-Okay.
-Dovresti ritenerti fortunata, io non chiedo mai scusa.
Era serio, fissava l'orizzonte superbo e disarmante.
-E come mai adesso lo hai fatto?
-Perché era giusto così.
Evitò di rispondergli e si appoggiò sul bracciolo della panchina.
-Non vuoi andare dentro perché hai paura di quello che dovrai fare.
Si voltò senza dire una parola, frustando l'aria con la sua chioma di rame vivo.
-Ma non devi, non devi sentirti così perché non ne hai motivo. Una volta arrivati su non è detto che tu debba stare male, non hai la certezza che la tua missione sia una cosa negativa. Puoi tornare a vivere, da capo. Non devi ripetere assolutamente nulla che tu non voglia. E noi saremo con te, se lo vorrai. So che tu non ne hai bisogno, ma noi abbiamo bisogno di te, io compreso. Voglio capire chi sono, cosa sono, e devo farlo con te, di questo sono certo. Adesso non credere che mi sia affezionato o qualcosa del genere, ma quel che ci tocca è questo, quindi...
-Oh povera me! Ed io che volevo sposarti...- ironizzò roteando gli occhi.
-Mi dispiace, ma hai sbagliato indirizzo- ridacchiò divertito.
-È incredibile come tu riesca a cambiare atteggiamento così repentinamente... insomma mi citi Shakespeare e dopo due minuti mi dici tranquillamente che lo fai solo perché sei obbligato.
-Non ti sarai mica offesa, principessina?
-A dire il vero, credo che non potrei esserne più felice.
Si girò verso di lei corrugando le sopracciglia interrogativo.
-Sei il classico deficiente abituato ad avere ragazzine che gli urlano attaccate ai piedi e credi di potermi sottomettere allo stesso gioco con il tuo fascino da cretino bipolare e misterioso, ma citando quello che mi disse una volta uno stupido, hai sbagliato indirizzo.
-E saresti felice di...?
-Della tua faccia da imbecille quando sarai in ginocchio davanti a me, e mi supplicherai.
La guardò ancora una volta, già pronto a rispondere, quando lei semplicemente si alzò e rientrò avviandosi verso la sua stanza.
Mentre si addentrava nuovamente nei budelli di roccia Charity lanciò uno sguardo attraverso il vetro decorato dell'ingresso dell'Aula Magna e vide che Persefone non si era ancora mossa, sola sulla poltrona, che fissava il fuoco scoppiettante nel camino decorato. Le volute della roccia in cui era scolpito le ricordavano ammassi di nubi tempestose e scure.
Non si sentiva pronta a parlarle, avrebbe detto solo un mucchio di cattiverie che non sarebbero state utili a nessuno. Proseguì per la sua strada e sentì dei passi leggeri che non appartenevano a lei.
-Connor smettila di giocare con quel dannato Elmo e vieni fuori.
-Beccato- strinse le spalle materializzandosi poco a poco.
-Devi perfezionare il suono. Ho sentito i tuoi passi.
-Per favore, era tutto sotto controllo- finse facendo una smorfia altezzosa.
-Come mai tutta questa simpatia oggi?
-Un uccellino mi ha detto che se approfitto di questi momenti potrei farmi odiare di meno.
-Sei sicuro che non sia stato un corvo a beccarti il cervello?
-Sinceramente no, tu che dici?
-Opto per la seconda.
-Cosa ne pensi di questa faccenda?- chiese mentre passavano davanti alla stanza di Brian e Jasper, diventando improvvisamente serio.
-Troppe persone mi chiedono la stessa cosa.
La ragazza sospirò, esausta.
Forse era lei stessa a interrogarsi troppe volte al riguardo, a perdersi nel labirinto intricato dei pensieri tentando di sbrogliare il gomitolo intrecciato dal fato.
-Perché ci fidiamo di te. Se tu dicessi che rimanere qui è più sicuro noi lo faremmo.
-È un'ipotesi valida.
-Ma sai, dentro di te, che non è quella giusta.
-Connor a questo punto io non ho più idea di cosa sia giusto o sbagliato! È tutto confuso e... diamine non voglio morire ancora! Non voglio trascinarvi nella mia schifosa esistenza destinata a finire in modo pietoso! Non voglio questo!
-Hey hey, calma- sussurrò prendendole le spalle. -Non lasceremo che ci accada qualcosa. Ricordi quando all'inizio Aaron ci fece giurare di proteggerci sempre, a costo di distruggere il resto del mondo? È stato fatto per questo Cher, anche se tutto l'Universo crollasse tu potresti crearne uno nuovo, come piace a te, e saremmo ancora tutti uniti.
Si passò le mani sul viso e riprese a camminare, un po' più calma. Migliaia di conclusioni le tempestavano l'immaginazione, e nessuna di esse era positiva, dalla morte dei suoi cari all'implosione universale.
-G-grazie, Connor.
-Di nulla, gli amici servono a questo.
-Credo di sì.
-Quindi adesso non mi odi più?- si impettì tornando il ragazzo impertinente e divertente di sempre.
-Ci penserò su, ma sei a buon punto.
-Non desidero altro
Lo scrutò, in cerca di qualsiasi trucco, e vide la sincerità nei suoi occhi.
-Meglio così- rispose contenta che i loro trascorsi fossero stati dimenticati con una banale conversazione, senza strapparsi i capelli come al solito.
-Ci vediamo tra un po' allora.
-Fammi indovinare, un paio d'ore?- disse girando la chiave nella toppa.
-Ovvio, pare che Aaron conosca solo questa misura temporale- sorrise.
-A dopo, Connor.
-Ci sarò.
-Non avevo dubbi, sono io quella che può scappare- sorrise sporgendosi fuori dalla stanza solo con la testa.
-Ah ah, davvero divertente- la prese in giro sarcastico.
-Vai via, mi hai salutato una settimana fa!
-Sei tu che continui a parlare!
Lo guardò divertita e si chiuse la porta alle spalle. Scosse la testa rassegnata e serena e si slacciò i tacchi. Si avvicinò al letto con la testa da tutt'altra parte e quando alzò lo sguardo rischiò di soffocarsi con la saliva: c'era qualcuno seduto sulla poltrona. Provò a muoversi ma non riusciva più a governare il suo corpo. La figura non si spostò di un millimetro, incappucciata e nera, altera e silenziosa.
Fece per parlare ma la bocca non collaborava e non riuscì ad emmettere alcun suono neanche quando l'intruso alzò la testa e scoprì che la mantella scura non aveva volto.

Storm of Souls (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now