Ogni cosa al suo posto

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Capitolo 12


Mi guardo le scarpe nervoso, sono agitato e molto, è da un sacco di tempo che non mi sentivo così e ora non so più se ho fatto bene a venire o meno. Anzi, forse è stata l'idea peggiore della mia vita o forse no, con tutte le cose che sono successe da gennaio non ho fatto altro che collezionare pessime scelte, una dietro l'altra ...e questa è l'ennesima. Ma non posso starmene qui fermo ancora a lungo, ad aspettare cosa poi? Un segnale dall'alto che mi dica cosa fare?!

No, è stata decisamente una pessima idea venire qui, mi volto quindi per l'ennesima volta verso la mia bambina pronto ad andarmene e ringrazio il cielo che finalmente ho ripreso a guidare, nonostante le lamentele di Scott e mio padre; ma quando mi ritrovo sul punto di usare le chiavi per entrare finisco per girarmi un'altra volta su me stesso, avanzando di un altro passo nella direzione opposta, maledicendomi. Chiudo gli occhi e mi chiedo perché sto indugiando in questo modo, quando è così semplice... «Era più facile quando ero una volpe» borbotto fra me e me zoppicando fino al portone d'ingresso dell'edificio davanti, avanzando piano e con calma mentre salgo su, arrivando finalmente davanti alla porta del loft che non mi è mai parsa così minacciosa.

Alzo una mano e mi rendo conto che non posso bussare perché ho entrambe le mani impegnate, sbuffo nervoso e inizio con poca eleganza a tirare dei calci, in mancanza di una alternativa decente e le testate non sono contemplate. «Aprimi sourwolf!» gli dico ad alta voce, so perfettamente che c'è. Ho le mie fonti e sono nonostante tutto attendibili, quindi che non faccia il furbo con me fingendo che non è in casa, peccato che oltre di essa senta solo il silenzio. Sospiro, dovevo immaginarmelo...

«Guarda che non me ne vado via, sappilo e non mi interessa se non apri, perché rimarrò qui a parlare e parlare e dato che hai l'udito sensibile so che non mi puoi scappare. Per cominciare... ho abbandonato la mia stampella ieri in camera e da allora non la uso più, è stato però triste lasciarla perché ormai mi ci ero affezionato e mi ha accompagnato anche nella mia lotta contro il distributore automatico e a proposito, non prendere mai niente da quello dell'ospedale, è sicuramente truccato per mangiarti i soldi. Comunque Hale non so se te ne sei reso conto, ma sono le dieci del mattino e non è carino tenere le persone davanti alla porta ad aspettare, credo che potrei perdonarti solo ed effettivamente se...» si spalanca di colpo la porta, lasciando che lui appaia davanti a me in tutto il suo tetro splendore, avvolto da una nuvola di vapore acqueo con poco e niente addosso. «...s-sei sotto la doccia. Disturbo per caso?» chiedo rauco desiderando sotterrarmi o saltargli addosso, da questo punto di vista sono molto combattuto.

«Cosa vuoi Stilinski?» mi chiede con uno sguardo severo che mi passa da parte a parte, squadrandomi da capo a piedi, come se lui non si fosse visto allo specchio. Ma si rende almeno conto di come è venuto ad aprirmi? Almeno una idea ce l'ha?!

«S-sono...» inizio, boccheggiando per qualche secondo, inumidendomi poi le labbra che si sono fatte improvvisamente secche così come la bocca. «...venuto a portarti il caffè» gli dico veloce alzando le due tazze d'asporto che ho fra le mani davanti al suo viso.

«Il caffè?» chiede scettico.

«Sì, il caffè? Perché sei troppo tenebroso per berlo? Eppure in questi ultimi giorni ne hai consumato tantissimo» gli dico serio, anche se effettivamente non so come ha passato queste giornate e non mi stupirei se venissi a sapere che non è uscito da questo buco che lui chiama casa, ma che diciamolo... non assomiglia ad una casa. Per niente.

Si fa da parte e mi lascia entrare, anche se lo fa decisamente con qualche riserva. «È amaro almeno?» mi chiede afferrando il bicchiere che gli allungo, guardandolo con scetticismo. Ma perché la gente non ha fiducia in me?! Poi è un normalissimo caffè.

Before your eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora