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Cara Elizabeth Bishop,

voglio raccontarti due cose che sono successe oggi, durante l'ora d'inglese. Abbiamo letto una tua poesia, e io ho parlato in classe per la prima volta. Frequento le superiori da due settimane ormai, e finora avevo trascorso quasi tutte le lezioni guardando fuori dalla finestra, osservando gli uccelli che volavano tra i cavi del telefono e i pioppi scintillanti. Stavo pensando a quel ragazzo, Sky, e mi stavo domandando che cosa vede quando chiude gli occhi, quando ho sentito il mio nome. Ho sollevato lo sguardo. Le ali di quegli uccelli mi frullavano nel petto.

La professoressa Buster stava parlando con me. «Laurel, vuoi leggere, per favore?»

Non sapevo nemmeno dove fossimo arrivai, ma poi Natalie si è chinata sul mio banco e ha girato le fotocopie fino alla pagina giusta. La poesia attaccava così:

Dell'arte di perdere si è facili maestri; Ogni cosa pare così colma dell'intento d'andar persa, che perderla non è un disastro.

All'inizio ero molto nervosa. Mentre leggevo, però, ho cominciato ad ascoltare quelle parole, e ho capito.

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta l'estro delle chiavi perse, dell'ora senza sentimento. Dell'arte di perdere si è facili maestri.

Poi allenati a un perdere ulteriore, a un perdere più lesto: luoghi, nomi e ogni dove che la mente voleva visitare. Nulla di ciò sarà un disastro.

Ho perso l'orologio della mamma. Impiastro! E di tre amate case non ho salvato niente. Dell'arte di perdere si è facili maestri.

Ho perso due città stupende. E in quel contesto, diversi regni miei, due fiumi, un continente. mi mancano, ma non è stato un disastro.

Perfino nel perderti (un riso nella voce, un gesto che amo) non avrò mentito. E' evidente, dell'arte di perdere si è facili maestri anche se può sembrare (e scrivilo!) un disastro.

Credo che la voce mi tremasse parecchio, come se la tua poesia mi avesse scosso profondamente. Quando ho finito di leggere, in aula non voleva una mosca.

La professoressa Buster ha fatto quello che fa sempre, ha guardato la class con i suoi enormi occhi da insetto, e ha chiesto: «Che ne pensate?»

Natalie si è voltata verso di me. Probabilmente era a disagio perché i compagni stavano fissando me, anziché la professoressa. Così ha alzato la mano e ha risposto: «Bè, è chiaro che mente. Non è facile perdere una cosa.». A quel punto, si sono girati tutti verso di lei.

«E perché è più facile perdere certe cose, piuttosto che altre?» ha chiesto la la professoressa Buster.

Nella voce di Natalie c'era una punto da sarcasmo, quando ha replicato: «Dipende dall'amore, è ovvi. Più si ama una cosa più è difficile perderla.».

Ho alzato la mano prima ancora di rendermene conto. «Io penso che, quando perdiamo una cosa molto vicina, è come se perdessimo noi stessi. Per questo, alla fine, l'autrice ha difficoltà persino a scrivere. Perché adesso non ricorda quasi come sia successo. Perché non sa più che cos'è diventata.». Di nuovo, gli sguardi di tutti sono tornati su di me, ma grazie a Dio in quel momento è suonata la campanella.

Ho preso in fretta le mie cose. Ho lanciato un'occhiata a Natalie, e ho avuto l'impressione che mi stesse aspettando. Forse mi avrebbe chiesto di pranzare con lei, e così non sarei più dovuta andare a sedermi accanto al recinto.

Ma poi ho sentito la voce dell'insegnante. «Laurel, ti posso parlare un momento?» L?ho odiata, perché Natalie è uscita dall'aula. Sono andata alla cattedra. «Come va?» mi ha chiesto. Avevo ancora i palmi sudati per aver parlato davanti a tutti. «Ehm, bene.»

«Mi sono accorta che non hai consegnato il primo compito che vi ho assegnato. La lettera.»

Gli occhi bassi, ho fissato la luce fluorescente che si rifletteva su pavimento e ho mormorato: «Già, mi scusi. Non l'ho ancora finita.».

«D'accordo. Per questa volta ti concederò un un po' più di tempo. Ma vorrei che me la facessi avere entro la prossima settimana.»

ho annuito.

Poi, ha aggiunto: «Laurel, se avessi bisogni di qualcuno con cui parlare...»

L'ho guardata, senza capire.

«Prima di venire qui, insegnavo alla Sandia.», mi ha spiegato, «May era nella mia classe, il primo anno.»

Mi si è fermato il respiro. La testa ha cominciato a girarmi. Ero convinta che nessuno, qui, sapesse...o, per lo meno, che nessuno mi avrebbe parlato di questa storia. invece, adesso la professoressa Buster mi stava fissando come se aspettasse il mio aiuto per chiarire un orribile mistero. E io non potevo fare nulla.

Alla fine, ha concluso: «Era una ragazza speciale.».

Ho ingoiato la salita: «Si», ho detto, e sono uscita.

Il chiasso nel corridoio si è trasformato nel fiume più impetuoso e rumoroso che avessi mai sentito. Ho pensato che forse avrei potuto chiudere gli occhi, e tutte quelle voci mi avrebbero portato via.

Con affetto, Laurel.








Noi siamo grandi come la vita. - Ava DellairaWhere stories live. Discover now