Quarto capitolo

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"Or discendiam qua giù nel cieco mondo,"
cominciò Mark tutto smorto.
Io sarò primo e tu sarai secondo"


Mi risvegliai su una panchina situata su un marciapiede.
Il cielo non era più così cupo come prima, ma nemmeno soleggiato, possiamo dire che era annuvolato, molto annuvolato, come se una coltre di fumo perenne avesse velato il sole.
Di fronte a me avevo una colonna d'auto ferme a un semaforo che ben presto divenne verde. Erano auto abbastanza vecchie, modelli ormai fuori produzione da anni. Un taxista, situato in seconda posizione, se volessimo vedere il tutto come una gara automobilistica, urlò al conducente della macchina davanti di muoversi, accompagnando alle grida suonate di clacson. A suo dire infatti non aveva tutto il giorno da perdere. In risposta ottenne una mano alzata in segno di scusa, il signore, che a quanto potevo vedere era un uomo sulla quarantina, partì, seguito a ruota dal taxista e da tutte le auto incolonnate dietro di loro.
I palazzi che avevo davanti sembravano degli enormi casermoni tipici della Russia sovietica. Erano grigi, scuri, ricoperti da una sottile patina di smog caratteristica degli edifici che si affacciano su strade trafficate, molto probabilmente ne caratterizzava il colore. Sembrava una di quelle grandi metropoli asiatiche che si vedono nei notiziari. Si percepiva che quella non doveva essere la loro colorazione originale infatti, chissà quale fosse. Molto probabilmente non lo avrei saputo mai.
"Come pensavo, era tutto un sogno" dissi tra me e me "Mentre tornavo a casa devo essermi fermato su una panchina a riposare un attimo e si sa, da cosa nasce cosa e sono finito per l'essermi addormentato".
"Peccato, iniziava a piacermi quel sogno. Ora devo capire dove sono però".
Mi alzai di scatto dalla panchina e PUM.
Mi scontrai con una ragazza. Tutto ciò che aveva in mano le cadde per terra.
"Scusami, non volevo" furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.
"Sta' un po' attento! Ma dove hai la testa? Sulle nuvole?" mi rispose in modo comprensibilmente stizzito mentre si chinava per raccogliere ciò che le era caduto.
"Ti aiuto a raccogliere", era la sola cosa che potessi fare alla fine.

Raccolsi un libro di italiano, un romanzo di Spielberg e un walkman.
Quanto tempo che non vedevo un walkman, pensavo che la gente non li usasse più dopo la venuta di Mp3 e iPod.
Mi incuriosiva quell'oggetto, anche io da piccolo ne avevo uno, poi all'età di dodici anni mi regalarono un lettore mp3 e finì in pensione in soffitta insieme agli oggetti che non utilizzo più, dev'essere ancora lassù in qualche scatolone.
"Che c'è? Non hai mai visto un walkman?" mi disse sempre in modo irritato.
Me lo strappò di mano insieme ai due libri.
"E già il secondo che compro, spero che non si sia danneggiato con la caduta".
Lo guardò per qualche secondo accertandosi che non avesse subito dei graffi. "Ora scusami ma me ne devo andare. Ciao" e riprese il cammino nella direzione opposta da cui era venuta.
"Ciao anche a te" le risposi. Era già di spalle e a diversi metri da me. Si dirigeva a gran velocità verso la sua destinazione. "Scusami ancora, non volevo. Nel caso si fosse rotto scrivimi su Facebook che te lo ripago, sono Francesco Rossi".
Si fermò per qualche secondo, si voltò verso di me, fece una strana espressione come se le avessi detto qualcosa a lei ignoto e riprese il suo cammino. La osservai per qualche istante. Era una ragazza abbastanza alta, bionda, capelli lunghi fino alle spalle tenuti però con molta cura, sembravano dei fili elettrici disposti con attenzione e maestria uno accanto all'altro da qualche tecnico molto esperto. A suo modo sembrava avere una personalità prorompente anche se ci avevo parlato davvero pochissimo e non era il caso di giudicarla così, alla prima occhiata. Sarà che ho una specie di fissa per quelle che non mi filano, chissà, se andassi da uno psicologo mi direbbe che ho una malata inclinazione per le sfide perse in partenza. Vedi Martina.

"Peccato, era molto carina" pensai tra me e me.
"Non posso lasciarti un attimo da solo che combini subito dei guai."
La voce proveniva da dietro di me, mi girai di scatto. Conoscevo quella voce, aveva lo stesso tono e la stessa inflessione insofferente di un professore che bacchetta i suoi alunni insolenti per l'ennesima volta.
"MARK?!" Esclamai.
"Che c'è? Sei sorpreso di vedermi?"
"Io, io pensavo di essermi svegliato, cioè io pensavo che alla fine fosse tutto un sogno e che ero di nuovo nella mia città cioè capisci... non pensavo che tutto ciò fosse vero, cioè io..."
"Ancora con questa storia del sogno?" mi interruppe lui, accennando il solito sorriso.
"Cos'è che non ti è ancora chiaro del fatto che non stai sognando e che è tutto reale?"
Rimasi in silenzio per qualche secondo. "Hai ragione, pensavo di essere tornato nella mia città, tutto qui."
"Tua città?"
"Sì."
"Ti pare la tua città questa?"
"In effetti no, sembra molto più vecchia."
"Esatto, perché questa non è la tua città. Siamo nel Limbo."
"Limbo?" domandai perplesso ."Immagino proprio che non sia la danza dove devi passare sotto un bastone..."

Mi lanciò una strana occhiata.
"No, il Limbo è quella zona dell'inferno dei Social Network dove stazionano le anime meritevoli morte prima dell'avvento dei Social. Coloro quindi che non hanno mai avuto un profilo su qualsiasi piattaforma online."
"Ecco perché mi sembrava tutto così antiquato qua. Le case, le macchine, una ragazza con il walkman."
"Vieni, seguimi, ora dobbiamo proseguire, hai dormito fin troppo e hai fatto saltare tutta la tabella di marcia."
"Dove siamo diretti?" gli chiesi.
"Te l'ho già detto, dobbiamo continuare il nostro viaggio." E per l'ennesima volta non mi restava altro che seguirlo.
Proseguimmo percorrendo tutto il marciapiede per una decina di minuti, a un incrocio svoltammo a destra, camminammo ancora per altri cinque minuti fino ad arrivare a una fermata dell'autobus.
Mark si sedette sulla panchina, dopodiché si rivolse a me: "Tra un minuto dovrebbe arrivare".
"Che cosa?"
"Che cosa potrebbe mai arrivare a una fermata di un autobus? Un elicottero?"
"Perché no? Ha molto senso invece uscire da scuola, perdersi, e ritrovarsi a vagare per gli inferi vero?"
"Ha molto senso invece perdersi per una strada che fai tutte le mattine, sei giorni alla settimana, da circa quattro anni vero?"
"Ha molto senso invece portare una tunica nel 2014?"
"Sicuramente ha più senso che cambiare gli abiti ogni anno e il proprio stile solo per seguire le mode, non trovi?"
Era riuscito a zittirmi, effettivamente non aveva tutti i torti.
1-1.
Mentre ancora ripensavo a come mi avesse chiuso con l'ultima frase, arrivò il pullman.
Mark salì per primo, io per secondo.
L'autobus era pieno ma nonostante tutto riuscimmo a trovare due posti vicini e a sederci. Le porte si chiusero e quell'enorme ammasso di ferraglia ripartì sbuffando. Doveva essere in servizio da molto tempo, i sedili erano sgualciti e di vecchia fattura, la plastica che ricopriva il corridoio in molti punti increspata, contro ogni mia aspettativa però era molto pulito, i finestrini erano lindi, non vi era alcuna cartaccia per terra o una briciola sui sedili. Nella sua vecchiaia era comunque un mezzo più che dignitoso.
Nessuno su quell'autobus parlava, erano tutti intenti a farsi i cazzi loro.
Chi leggeva il giornale, chi un libro, chi ascoltava la musica, chi ancora si gustava il viaggio guardando fuori dal finestrino la città circostante. Cosa avessero da osservare non lo so dato che era tutto un susseguirsi di palazzi grigi uguali tra loro. Sembrava che fossero stati progettati da un unico architetto e che quest'ultimo avesse usato uno stampo per produrli in serie, uno dietro l'altro, uno accanto all'altro e così via. Un po' come quando da bambino utilizzi secchiello e paletta per costruire un castello di sabbia sul bagnasciuga. Le torri di questo castello saranno sempre uguali dato che la forma gli è conferita da quell'unico secchiello che utilizzi per ciascuna di esse.
"Posso chiederti una cosa?" gli dissi spezzando il nostro silenzio.
"Aspetta un attimo" mi disse.
Si girò e con la mano destra batté delicatamente due colpetti sulla spalla del ragazzo che era seduto dietro di noi.
Questo sorpreso tolse le cuffie attaccate al walkman.
"Posso chiederti un favore?"
"Mi dica."
"Puoi abbassare il volume della musica? È molto fastidioso, soprattutto in un ambiente chiuso come questo."
"Certamente, mi scusi"
Il ragazzo abbassò il volume della musica, irritato.
Mark si rigirò. "Scusami ma è una cosa che mi dà fastidio."
"Uhm" mugugnai, cercando di rimanere abbastanza neutrale sulla questione. In realtà io ero proprio uno di quelli che si pianta gli auricolari nella tromba di eustachio al massimo volume.
"In realtà era buona musica, Pink Floyd per l'esattezza."
"Band che ascolta mio padre, roba vecchia per vecchi."
Mark mi lanciò un'occhiataccia.
"Aldilà dei tuoi pessimi gusti musicali, quel ragazzo poteva ascoltare anche il cantante che più ti piace, solo che sentire la musica che fuoriesce da quelle cuffie in questo modo equivale a percepirne solo una parte di essa. Risultando alle nostre orecchie come fonte di disturbo."
Mark sospirò. Certo che era veramente un precisino da lasciare secca la Signorina Rottermeier e tutto il gregge del Vecchio dell'Alpe.
"Lasciamo stare. Torniamo a noi: che volevi dirmi?"
"Come mai nessuno parla qua dentro?"
"E che dovrebbero dirsi degli sconosciuti?"
"Non saprei, una volta non si comunicava maggiormente l'un con l'altro?"
"E chi te l'ha detta questa cosa?"
"Mia mamma. Mi ripete ogni giorno che i social network ci hanno rovinato. Spesso quando viene una sua amica a casa a trovarci e mi vede con il telefono in mano le dice sempre la solita frase: "Questi ragazzi sono sempre attaccati a questi marchingegni, Facebook, Twitter, YouTube, non socializzano più, ai nostri tempi era diverso, si parlava tra di noi."
Mark si rilassò sul sedile, poi di colpo prese a parlare. "E tu ci credi?"
"Be', io non c'ero ai suoi tempi, magari ha ragione lei."
"Non è così. Non è che l'uomo ha smesso di comunicare per colpa dei Social Network. Semplicemente non gliene è mai fregato nulla dell'altro.
"Perché mai una persona dovrebbe mettersi a chiacchierare con chi non conosce?
Con buona pace di Socrate, l'uomo non è per nulla un'animale sociale anzi, tutt'altro. È difficile che si metta a parlare di sua spontanea volontà con uno sconosciuto, pochissime persone lo fanno e quando lo fanno be', non succede come nei film che attaccano a raccontare tutta la loro vita per filo e per segno e magari scoppia pure il grande amore.
"Guarda tutte queste persone: chi legge, chi dorme, chi ascolta la musica. Ognuno sta facendo qualcosa. Tutto fuorché comunicare con il suo vicino.
"Se prendo un pullman domani mattina in qualsiasi Paese del mondo civilizzato vedrò sostanzialmente le stesse scene: ovvero persone che si fanno i cavoli loro.
Non vedrò persone con un libro in mano ma magari con un tablet, non vedrò un ragazzo con un giornale in mano ma magari con un telefono intento a rispondere a un messaggio o a controllare la casella di posta elettronica.
"Insomma, l'unica cosa che cambia è ciò che viene utilizzato per isolarsi. Ma nemmeno isolarsi sarebbe il termine corretto, diciamo più che altro per passare il tempo in attesa di arrivare a destinazione. Cambia lo strumento, non di certo lo spirito di condivisione con l'altro."

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⏰ Last updated: Nov 10, 2015 ⏰

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