Quindicesimo giorno.

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 Uno scampanellio alle dieci di mattina è il peggior modo per iniziare la giornata. Perché tutti pensano che in una casa normale la gente sia già sveglia e pimpante, alle dieci di mattina. Ma questa non è una casa normale. Se proprio devi venire... non venire e basta. Scalcio via le coperte in modo molto poco femminile, mi aggroviglio un piede nella trapunta e lotto per qualche minuto tentando di liberarmi.
"Buongiorno..." mi saluta Steve, che ha già ripreso la normale routine di segretario che apre le porte/ che risponde al telefono/ che si sveglia per primo la mattina.
"Lascia, faccio io" rispondo quando finalmente riesco a liberarmi dalla coperta. Mi infilo in fretta i pantaloni di felpa e arrivo alla porta, sistemandomi i capelli meglio che posso.
Spalanco il portone e mi trovo davanti a due persone che, sinceramente, non mi sarei mai aspettata di trovare. E, a giudicare dalle loro facce, neanche loro si sarebbero mai aspettati di trovare me, ad aprire alla porta. Un uomo e una donna, uno alto e l'altra bassina, uno biondo platino con i pochi capelli lunghi legati in un codino, l'altra con un caschetto castano che le incornicia il viso.
"Ciao" mi saluta l'uomo. La donna è piantata a fissarmi, immobile.
"Ciao" saluta Steve con la mano facendo capolino dalla porta del bagno. L'educazione prima di tutto.
"E'... un tuo amico?" tenta di fare conversazione il signore, anche se ogni tentativo sarà vano, temo.
"Sì" rispondo semplicemente io, per poi scostarmi per lasciarli entrare.
Loro si guardano un po' intorno come fa sempre la gente appena entra in casa di qualcuno. Osservi incuriosito di qua e di là, cercando qualcosa da commentare, nel caso di un possibile vuoto nella conversazione. Ma di vuoti nella conversazione ce ne saranno ben pochi. Anzi, a dirla tutta è già tanto se ci sarà una conversazione.
"Vado a chiamare Jeff, voi fate come vi pare" dico piatta, scivolando velocemente in camera di mio fratello.
"Jeff..." provo a chiamarlo dalla soglia ma, tra il russare dell'interpellato e quello di Slash, è già tanto che io riesca a sentire la mia voce. Mi avvicino all'ultimo letto, dove, schiantato in tutta la sua eleganza, il mio fratellino dorme amabilmente.
"Jeff, sveglia" lo scuoto un po', ma niente.
"Cazzo Jeff ti alzi o no?" gli urlo nelle orecchie, svegliando pure gli altri due nella stanza e scatenando il malumore di mio fratello.
"Dio, sta calma. E poi che cazzo vieni a svegliarmi? Ti senti altruista oggi?"
"Sai, mi sentivo pure gentile, ma mi hai fatto passare la voglia" gli urlo dietro, uscendo di fretta dalla stanza e sbattendo la porta il più forte possibile, facendo sobbalzare i cari ospiti, che intanto si sono accomodati sul divano, sistemando ordinatamente la coperta in un angolo.
"Arriva quando arriva" comunico scocciata senza lasciar loro il tempo di aprir bocca. Si fotta Jeff. Si fotta la gentilezza. Si fotta la gente che dopo sedici anni ricompare di colpo nella tua vita a cambiarti i programmi.



Dopo che Jeanette è uscita sbattendo la porta, cosa di cui non sono così sconvolto, Slash ha ripiantato la testa nel cuscino, imitato da Izzy e da me. Adesso però mi scappa da pisciare. Ed è una cosa insopportabile. E sono quasi le dieci, tra un po' devo alzarmi per forza. Non posso perdere cinque minuti di sonno, non sia mai. Tento di pensare a qualcos'altro, a distrarmi, ma la mia vescica continua imperterrita a rompere le palle. Alla fine mi arrendo e mi alzo. Apro la porta e mi dirigo in bagno, senza nemmeno guardare dove si sia cacciata Jeanette. Non mi piace l'idea che lei sia libera per casa, incazzata così. Ma ho priorità più urgenti da svolgere.
"Ciao, William" mi saluta la voce di una donna.
Mi volto di scatto e, seduti sul divano, trovo i genitori di Jeff. E anche di Jeanette, a pensarci.
"Buongiorno. Come mai qui?" rispondo io, dimenticandomi completamente del fatto che la mia vescica chieda aiuto da un quarto d'ora circa.
"Siamo venuti a trovare Jeffrey, è tanto che non lo vediamo"
"Ah, capisco. Vado a chiamarlo"
Adesso capisco perché la moretta era venuta a svegliare Jeff. Entro in camera e tolgo via le coperte dal suo letto. E' un modo infallibile per far svegliare la gente.
"Ci sono i tuoi di là in salotto" gli dico tutto d'un fiato prima che cominci a brontolare come suo solito.
"I miei?"
"Sì, hai presente quelli con cui ha convissuto per tipo vent'anni? Avevi detto tu che dovevano venire, perché sei così sconvolto?"
Lui si alza in fretta e si cambia. Jeans e camicia.
"Che dici, vado bene?"
"Cazzo sono i tuoi, non è che devi fare una sfilata"
"Lo so, ma mi hanno dato un'educazione e devo mantenerla almeno di fronte a loro"
Guardo Jeff, stranito dalla sua ultima frase.
"D'accordo..." commento solamente. "Comunque sì, vai bene"
Torniamo in salotto, dove Jeanette sta cercando qualcosa nel comò, senza minimamente far caso ai suoi mamma e papà che continuano a squadrarla, seduti sul divano. Se Izzy ci teneva a far bella figura con i suoi, lei è di tutt'altro avviso. Con addosso un paio di pantaloni della tuta e una felpa probabilmente rubata a Duff, sembra più una che ha vissuto senza educazione o regole per gli ultimi vent'anni. E in effetti, è proprio così.
Vado a svegliare Duff e Slash e con loro mi rintano in cucina. Chiudo piano la porta, per poi appoggiarci un orecchio, ansioso di sentire quello che ha da dirsi la famigliola felice.
"Non è che sia tanto educato ascoltare qello che la gente si dice in privato" comenta Duff, seduto al tavolo a masticare tranquillo un biscotto.
"Taci" lo zittisco io. Educato o no, io sto morendo dalla curiosità.

Febbraio ha ventotto giorni.Where stories live. Discover now