Bonus track: Like the shadows

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"Like the shadows cover me, rising from my ecstasy ..."

Anno Domini 1602, 24 gennaio

Ho lasciato la locanda al confine già da due giorni e quel poco che vi ho sostato è servito a ben poco: il mio corpo sembra soffrire i patimenti di questo viaggio ancor più di prima e mi impedisce il cammino; i dolori si sono amplificati, in corpo e spirito, mi si stringono alle ossa in abbracci invadenti, inchiodandomi al suolo, alla croce sul mio cuore.
Non sono più a piedi, per mia fortuna, ma su di un carro di mercanti diretto ad ovest: li ho trovati al villaggio successivo alla locanda e li ho pregati (e pagati) per avere un passaggio a casa, o giù di lì.
Ti sto scrivendo quindi dall'interno del carro, seduto su un duro sedile di legno e circondato da casse impilate e legate l'una all'altra, stringendo a fatica la penna tra le dita che non sento più e donandoti tutto ciò che la mia mente ancora possiede e riesce ad elaborare con un senso logico.
Ti amo, Helena.
Non smetterò mai di ricordartelo, di ricordarmelo, di dirlo a voce alta o solo nei miei pensieri, non smetterò per non perdere me stesso, quel me stesso ancora meritevole di te e del tuo amore, desideroso di poter essere ancora degno di starti accanto.
La tua ombra mi copre, sempre mi segue, innalzandosi dal mio dolore e dall'estasi che provochi in me.
Ti ho detto che sono praticamente fuggito dalla locanda, ma non ne conosci il motivo.
Quando mi sono svegliato, mentre ero ancora sdraiato in quel lettuccio misero, ho pensato che fossi al mio fianco: così ho allungato il braccio per sfiorare la tua pelle nuda, ma le mie dita hanno incontrato l'anonima carezza dell'aria e nulla più.
È stato un attimo.
Il tempo si è fermato ed ho realizzato.
Tu non c'eri.
Non ci saresti stata mai più.
Un'atroce consapevolezza mi ha attraversato da capo a piedi, più forte di un brivido ha scosso il mio corpo, ha aperto i miei occhi sul serio, ha strappato il velo che offuscava la realtà intorno a me.
Tu non ci sei.
Tu non ci sarai mai più.
Ed è mia la colpa di tutto questo, mia e mia soltanto.
È stata la mia brama a spingermi verso la vetta che oramai è irraggiungibile per un animo corrotto: colpa mia e di nessun altro.
E ci ho anche provato, a scaricare il peccato su di un animo innocente ...
Ho dato la colpa a Mephisto (anche se del tutto innocente non può dirsi).
Ho dato la colpa a Dio.
Ho sognato noi due, quella notte nella locanda, da solo. Ho sognato i giochi che facevamo da bambini d'estate: correvamo nella piazza della chiesa e ci inseguivamo per ore, gli adulti che ci gridavano di smetterla, perché disturbavamo i mercanti con i loro banchetti stracolmi appoggiati ai muri delle case, e noi li ignoravamo, continuando a correre e ridere e poi a nasconderci e cercarci.
Ho sognato quella domenica in cui, subito dopo la messa, venisti a giocare con me: indossavi un vestitino verde scuro, con le manichine un po' gonfie e un fiocco sulla schiena, nuovissimo; lo mettevi per la prima volta, quel giorno. Tua madre, che l'aveva cucito con tanta cura e dedizione, ti pregò di andarti a cambiare, ma tu non l'ascoltasti e ti precipitasti nel bosco fuori del paese al mio inseguimento. A quel punto decisi di fermarmi per proporti un altro gioco: avremmo corso tra gli alberi, ovviamente, ma tu non avresti mai toccato terra con i piedi.
Quando te lo dissi, ridesti tanto, non capivi come sarebbe stato possibile.
"Farai qualche magia?" chiedesti con un sorriso in viso, senza aspettarti che ti avrei caricato sulle mie spalle per poi lanciarmi in una corsa folle come un cavallo imbizzarrito, facendone anche il verso per farti ridere.
Non te lo dissi, quel giorno, perché ero piccolo e timido, e non te lo dissi neanche più avanti, ma quel vestito verde mi piaceva molto. E anche la tua risata mi piaceva molto.
Sembravi una principessa, una di quelle delle fiabe che alla fine sposano il principe e vivono felici e contente in grandi castelli dorati.
Per questo quel gioco: una principessa non può sporcarsi il vestito, soprattutto se è un bel vestito. Soprattutto se è una bella principessa felice e contenta.
Mi fa male pensare che i nostri genitori, fin da quando eravamo bambini, si scambiassero occhiate complici e sorrisi d'intesa (le nostre madri, soprattutto), adocchiando noi due di tanto in tanto.
Loro sapevano e lo volevano.
Pensavo di volerlo anch'io, anzi, lo volevo anch'io ... ma ... qualcosa è andato storto.
I miei libri mi hanno avvelenato l'anima, disorientandomi, cancellando i miei riferimenti alla vita vera. Cancellando te, che eri la mia vita e che lo sarai sempre.
La vetta che volevo scalare la lascio dov'è, per ora.
Vorrei ... che tu mi dicessi cosa fare.
Che tu mi dicessi cosa vuoi che faccia, che sia per espiare la mia orrenda colpa o perché mi ami ancora e vuoi il mio bene nonostante tutto.
Sono libero, Helena?
Sono libero?
Devo lasciarmi guidare dalla mia antica brama e fuggire da questo esilio auto imposto oppure no?
Tu cosa vorresti, Helena?
Parlami attraverso il vento di questa notte, così che io possa respirare di nuovo; sappiamo entrambi che la sua parola è onesta, quindi parlami attraverso le sue spire gelide e taglienti.
Non parlarmi attraverso la luna, lei non può capire quanto dirai, non può comprendere noi uomini che erriamo all'ombra della sua luce bianca.
Helena, aiutami.
Io non so cosa fare.
Tirami fuori da questo dolore.
Avvolgimi con la tua ombra e mostrami la via.
Tu che hai la grazia di Dio dalla tua parte, illustra a questo misero peccatore che ti ha tanto amato la retta via per uscire dall'Inferno che ha creato.
Io aspetterò, Helena.
Aspetterò come tu mi hai aspettato.
Tornerò a casa e ti aspetterò.
Sono nelle tue mani, amore mio.
Consegno la mia anima a te.



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