Parte 2 - Matthew

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Stavo squadrando la tipa al bar. Era davvero un figa spaziale. Gambe chilometriche, tette enormi, viso dolce quanto bastava. Il tipo che era con lei, invece, no. Uno sfigato! Ma cosa ci faceva una così con un tizio del genere?

Lo disse anche Filippo, svaccato sul divanetto del nostro angolo riservato nel locale, mentre osservava le fighe con sguardo bovino:

– Ma quella tipa là, quella stagnocca da urlo con quella gonna che pare una mia cravatta, lo sa di essere insieme a uno sfigato? Cosa ci fa quella bomba insieme a quella mezza tacca?

– Forse è cieca e non sa di essere con uno così. – disse Emanuele, chinandosi sul tavolino con molta discrezione.

– Forse è solo il fratello e allora va bene. – ribatté Filippo, scolandosi la vodka.

Emanuele fece sparire tutta la pista di bamba dalla superficie a specchio del tavolino prima che Filippo finisse di dire "forse".

– Cazzo, Ema! – Filippo lasciò lo sguardo bovino per assumere quello da tossico incazzato verso uno strafatto Emanuele, svaccato sul divano già perso nel proprio nirvana bianco-puro colombiano. – Ma ti sei sniffato tutto! Cazzo, cazzo, cazzo. Matthew, amico mio, non è che tu, per caso... – Fili mi sorrise sornione. Era proprio disperato: pur di sballarsi ancora un poco, stava per leccare il tavolo dove forse, forse, era rimasta un'invisibile traccia di Bimba; Fili mi guardò da sotto in su con occhi da cucciolo bisognoso di un'altra striscia di barella. Ancora un po' e avrebbe sbavato come un bulldog.

(La cameriera di mia nonna aveva un bulldog: un cagnino che lasciava sempre le bave in giro nella cucina della villa. Bleah).

Io, che sono buono d'animo e mi piace dividere con gli amici – dopotutto ho tantissimi quattrini, in realtà sono del babbo, che adopero (anche) per comprare della barella pressoché pura, oltre che superalcolici, Viagra e altri ninnoli per divertirsi – mollai con fare generoso un po' di coca al tossico. Un bel sasso bianco come marmo di Carrara.

Filippo scodinzolò felice agguantando il sassolino. Io non ne presi perché avevo già fatto a casa: ero timido – see, di sicuro – quando sniffavo. E poi dovevo bere del latte dopo aver tirato, e non volevo bere latte davanti a tutti e sputtanarmi per la vita, primo e, secondo, essendo un ragazzo con un ottimo pedigree e una famiglia piuttosto conosciuta alle spalle, non volevo attirare l'attenzione di qualche giornalista ficcanaso a caccia di facili scoop.

Che finire diseredato e poi dentro a un orrido centro di recupero per i tossici era un attimo.

Sorrisi a Fili che aspirò la bamba peggio di un Hoover e poi tornai a piazzare le mie iridi azzurro ghiaccio sulla figa al bancone del bar.

Mhmm. Avevo fame.

Mi leccai il labbro inferiore e, dopo aver bevuto in un sol sorso il mio Jack, whisky del Tennessee, alzandomi dissi ai miei due amici:

– Signori, guardate e imparate.

Andando sicuro di me verso la figa in questione.

Era al bar, sola. Perfetto.

Le arrivai da dietro. Lei stava guardando altrove, forse cercava il cesso con cui si era accompagnata, e di lei vedevo solo la folta chioma scura, la schiena sinuosa e un culo da urlo con cui avrei potuto fare un milione di cose.

– Sai che a casa ho un accappatoio che è della stessa sfumatura dei tuoi occhi? – le dissi, ostentando quel tanto che bastava per non assomigliare alla voce doppiata di Stanlio il mio aristocratico accento londinese.

Non avevo la più pallida idea di che cazzo di colore aveva gli occhi quella lì: poteva benissimo averli anche gialli, per quel che l'avrei guardata in faccia...

Poi sfoderai il mio sorriso che – lo sapevo benissimo – piaceva a tutte. Avevo conquistato e ottenuto molte cose grazie a quel sorriso.

Da quando avevo imparato a usarlo, ovvero con la mia prima tata (inglese, of course).

Anche i miei occhi molto azzurri e molto nordici facevano la loro porca figura.

La stragnocca si girò di scatto, forse con l'intenzione di mollarmi un ceffone (ma certo, che cazzo di frase da rimorchio avevo adoperato?) ma evidentemente il mio sorriso, il mio viso d'angelo e i miei occhi blu come il mare – quante stronzate, eh? – le fecero cambiare idea.

Poi avrebbe nuovamente cambiato idea riguardo al darmi un ceffone quando l'avrei rimandata a casa senza troppe cerimonie, e poi forse avrebbe nuovamente cambiato idea quando avrebbe ricevuto o le rose o una collana o qualche altra cazzata che piace alle donne e che la mia segretaria si sarebbe premurata di inviare, dopo la notte di passione che questa fantastica puledra mi avrebbe sicuramente regalato.

Aveva delle labbra carnose e rosse. Fatte apposta per farmi un bel pompino.

La bocca della figa era a forma di broncio infastidito in quel momento. Parlò con voce come unghie sulla lavagna: – E perché mai dovrei venire a casa tua? Solo per vedere uno stupido accappatoio? – Con gli occhi mi fissava seria, ma le labbra erano curvate; già con un mezzo sorriso pronto a spuntare.

Occhi scuri, orientali. Ciglia folte, matita nera. Bellissima.

Lanciai veloce un'occhiata al suo drink, riconoscendo la brodaglia che stava ingurgitando.

Mi chinai appena su di lei, all'orecchio lasciato libero dai folti capelli:

– Perché ho anche, nel frigorifero, una bottiglia di Crystal. Raro. Potrei prepararti un Mimosa da leccarti le labbra, così buono tanto da farti chiedere di volerne... ancora. – Che culo avevo avuto: Miss Stragnocca stava bevendo un Mimosa da due soldi (bleah) e io avevo colto la palla al balzo. Continuai, la voce bassa e l'accento calcato: – Perché dopo ti farei indossare quell'accappatoio mentre ti scaldi al fuoco del caminetto e ti accarezzo con un dito la caviglia nuda e ti bacio la pelle morbida.

O la va o la spacca. Arrivato a quel punto, le femmine si dividevano in due categorie: quelle che ti davano del maniaco, e se ne andavano – magari lanciandoti il drink in faccia – ed erano le tipe che me lo facevano indurire di più, specie quando poi riuscivo a farle cadere nella trappola, e poi c'erano le tipe che ci cascavano con tutti i tacchi e si squagliavano poi a qualsiasi cosa dicevo, e facevo, loro.

Se poi riescono a vedere la Porsche, e le più fortunate anche il mio appartamento, non solo poi me la danno su un piatto d'argento, ma anche tutte le volte che ne ho voglia.

La tipa sorrise, si mise meglio una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Prese un po' di quel drink che io detestavo tanto e si leccò le labbra.

Come da copione.

Ci avevo visto giusto. Poche volte cannavo la mia valutazione.

– Programma interessante, signor playboy, ma non sono sola stasera...

– Sei con tuo cugino? Scaricalo. Io ti farò divertire di più.

– Non sono con un cugino. Sono con un tipo che ho conosciuto da poco.

– Uh, uh. E ti lascia sola al banco del bar? Un tipo mica tanto sveglio...

– Credo sia andato a salutare qualcuno. Hai ragione, non è troppo sveglio. Se mi aspetti all'uscita vado a dirgli che ho trovato un passaggio. Odio essere trascurata, e mi sa che lui l'ha proprio fatto.

– Dolcezza, stai tranquilla che io non ti trascurerò, stasera. – Domani è possibile che non ricorderò neppure il tuo nome, ma stasera sarai la mia regina.

– Allora piacere di conoscerti. Mi chiamo Elena.

– Con quel nome... Niente di meno che la bellezza per eccellenza, dunque. Io sono Matt e se vuoi stasera sarò il tuo Paride.

– Il mio cosa?

Vabbè, lasciamo perdere.

Una botta e via con questa. Come con tutte.

La notte prima d'incontrarci (Emma e Matthew)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora