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Valerio si passò una mano fra i capelli, esausto. Oggi sapeva di aver rischiato, ma ne era valsa la pena.
Fissava la schermata dei messaggi sul cellulare. La risposta di Giacomo era arrivata prima di quanto si aspettasse.

"Stasera al Red Ice alle nove con tutto il gruppo, bruna compresa. Studia per il compito di algebra della settimana prossima, mi raccomamdo ;-)"

Valerio era sempre stato molto determinato, otteneva sempre quello che voleva. Ma non gli era mai capitato di desiderare qualcosa così tanto da decidere di scendere a patti con altri, pur di raggiungerla.
Sospirò e si guardò allo specchio, fissandosi negli occhi:
Aveva le pupille dilatate, chiuse gli occhi e sul retro delle palpebre esplosero mille immagini di lei, del suo viso, dei suoi occhi neri come la pece. Erano due settimane che sognava di perdersi dentro quegli occhi bui.
Scosse la testa e si lavò il viso. Quando risollevò lo sguardo, l'iride ambrato degli occhi era solo un'ombra intorno alle pupille enormi.

Erica si bloccò a metà frase quando vide chi era l'amico di Giacomo.
Stava parlando con Dario e Sofia davanti al Red Ice, tutti e tre si voltarono alla vista del ragazzo rasta che usciva dalla smart rossa insieme ad un moro vagamente familiare: indossava dei jeans consumati e una maglietta nera a maniche lunghe. Ad Erica fece venire il ragazzo sfigato ma carino che aveva visto con Sofia quella mattina, si disse che era impossibile. Giacomo non avrebbe mai fatto amicizia con uno del genere.
- Bella Già. Chi è questo? - chiese subito Dario con gli occhi verdi accesi di curiosità, indicando con il mento il ragazzo accanto a Giacomo.
Erica anche lo guardò, spalancando gli occhi. "Non è possibile. Deve essere un sosia" pensò, sapendo che in realtà il ragazzo difronte a lei, con gli occhi ambrati fissi a terra e le mani affondate nelle tasche, era il nuovo sfigatello del college.
- che ci fa lo sfigatello qui? - chiese acida. Non lo voleva intorno, le faceva ricordare troppo...
- è l'amico di cui vi avevo accennato - rispose Giacomo con una scrollata di spalle. Quando Erica spostò di nuovo lo sguardo verso il moro, sorprese due occhi ambrati che la fissavano.
- ok. Entriamo? - chiese impaziente Sofia, scuotendo il braccio di Erica, che si riprese di botto.
- Valentina e Andrea sono già dentro - rincarò Dario. Sofia sgranò gli occhi, guardandolo con fare accusatorio:
- e quando avevi intenzione di dirmelo? - chiese con la voce leggermente alterata. Senza aspettare una risposta, prese Erica per un braccio e la trascinò dentro il locale. Dario guardò Giacomo, poi scrutò diffidente il ragazzo accanto a lui, infine ripuntò gli occhi interrogativi su Giacomo;
quest'ultimo scrollò le spalle con disinvoltura ed entrò.
- non vieni? - chiese Dario sulla soglia. Ora che le chiacchere erano svanite, si sentiva nell'aria il rimbombo della musica a tutto volume dall'interno del locale.
- si, un attimo e arrivo - rispose frettolosamente Valerio, tirando fuori il telefono dalla tasca e trovando così una buona scusa per temporeggiare. Si allontanò col telefono all'orecchio, anche se dall'altro capo della linea non c'era nessuno, mentre Dario entrava.
Appena il ragazzo dai capelli rossi entrò, Valerio rimise il telefono in tasca e tirò un sospiro di sollievo.
Si era reso conto che la conquista della bruna era un'impresa più ardua di quello che pensava.
Non aveva intenzione di rinunciare, ma il tono acido della ragazza era bastato a crepare la sua sicurezza apparentemente inattaccabile.
In più, non appena l'aveva vista dal finestrino dell'auto, bella come una stella cadente nel cielo estivo, si era accorto di aver perso lucidità, trasformandosi in quello che ci si aspetterebbe faccia un "secchione sfigato" come lui: testa bassa, l'espressione imbarazzata di uno che vorrebbe sprofondare sotto terra per il resto dei sui giorni. Non aveva parlato, sicuro che altrimenti la voce gli avrebbe tremato.
Doveva darsi una calmata, pensò, doveva entrare e comportarsi come se fosse uno di loro, doveva comportarsi come si comportava con i suoi vecchi amici. Incurvò le labbra in una parvenza di sorriso, ma gli occhi erano malinconici: i suoi vecchi amici, in realtà, erano esattamente uguali a quelli di ora, solo che prima veniva accettato dal gruppo perché... bhé, non gli andava di ricordare.
Le labbra ben disegnate tornarono inespressive, la malinconia fu sostituita dalla determinazione ceca, seppur attraversata da una nube di tristezza.
Quella ragazza sarebbe stata sua, non importava quel che gli sarebbe costato. Le assomigliava troppo, non poteva appartenere a qualcun' altro che non fosse lui. Aveva la possibilità di ricominciare, una meta dopo tutto quel dolore, un'opportunità per occupare la mente e, allo stesso tempo, il cuore.
Fece un respiro profondo e si girò. Il rimbombo della musica scandiva i suoi passi decisi. Doveva entrare in quel locale e prendersi ciò che era suo.

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