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24. La linea sottile

Gi-hun si guardò attorno, sentendo il cuore battere sempre più forte. Il rumore delle guardie che si muovevano nel corridoio, le voci confuse che giungevano da lontano, tutto sembrava sfocare in un unico, ineluttabile pensiero. In-ho. Il Front Man. Il suo nemico, ma al tempo stesso... qualcosa di più. Una figura enigmatica che aveva ormai occupato ogni angolo del suo cuore, per quanto Gi-hun volesse negarlo.

Non riusciva a capire cosa lo spingesse ancora a proteggerlo. Era la paura di perdere ancora una volta, il desiderio di riavere quella connessione che avevano avuto prima, o forse, semplicemente, il bisogno di non sentirsi solo in quel caos? Non lo sapeva.

"Gi-hun," la voce della 120 lo distolse dai suoi pensieri. "Non ti rendi conto che stai rischiando la vita per un uomo che non merita nulla da te? Lui ti usa. Ti ha usato dal primo giorno, e tu non puoi ignorarlo più a lungo." Le parole della 120 penetrarono nel suo cuore come una lama affilata. Era vero, lo sapeva. In-ho lo aveva usato, lo stava usando ancora. Ma qualcosa dentro di lui si rifiutava di accettarlo. Forse era il modo in cui lo aveva guardato prima, quel momento di vulnerabilità che aveva intravisto nei suoi occhi. Forse erano solo scuse, ma Gi-hun non riusciva a negare che c'era qualcosa di più, qualcosa che lo legava a lui in un modo che non avrebbe mai potuto spiegare.

"Sai cosa farò?" disse Gi-hun, voltandosi verso la 120 con un sorriso amaro. "Farò la cosa giusta. Ma non sarò il tuo nemico."

La 120 non rispose. Si limitò a guardarlo, come se stesse cercando di capire se quelle parole fossero davvero sincere. Ma Gi-hun sapeva che non c'era più spazio per tornare indietro.

Si avvicinò lentamente a In-ho, che ora era circondato dalle guardie. In-ho non lo guardava, ma Gi-hun sapeva che lo stava sentendo, sentendo ogni passo che faceva. Non aveva bisogno di parole ora. Sapeva cosa doveva fare.

"Mi scuso," disse Gi-hun, fermandosi davanti a lui. "Per tutto questo. Ma non posso permetterti di rovinare tutto. Non così." In-ho lo guardò, ma non si mosse. Non aveva bisogno di parlare, non in quel momento. C'era una calma mortale nel suo sguardo, una calma che tradiva la sua determinazione.

"Non ti faccio male," Gi-hun aggiunse, cercando di far trasparire un pizzico di quella speranza che provava. "Non voglio fare la guerra. Ma non ti lascerò distruggere tutto quello che ho costruito. Non ti lascerò vincere."

Un sorriso sottile si fece strada sul volto di In-ho, ma non era un sorriso di felicità. Era un sorriso vuoto, come se avesse già capito che il destino di Gi-hun fosse ormai segnato. Ma qualcosa nei suoi occhi rivelava che forse, in fondo, non voleva che la situazione finisse così.

Gi-hun si girò verso le guardie, che ora stavano osservando con attenzione. "Mi servirà il tuo aiuto," disse, e la sua voce non tremò, nonostante il peso che sentiva sul cuore. "Lasciateci parlare."

Le guardie si scambiarono uno sguardo esitante, ma non dissero nulla. Gi-hun e In-ho si trovarono finalmente soli, un'aria pesante a separarli, come se stessero camminando su un filo sottile che poteva spezzarsi da un momento all'altro.

"Lo sai cosa stai facendo?" chiese In-ho, la sua voce bassa ma minacciosa. "Non sei mai stato una persona che si arrende facilmente, Gi-hun. Ma questa volta è diverso." Gi-hun lo guardò negli occhi, cercando di decifrare cosa stesse provando. "Non è una questione di arrendersi," rispose. "E non è una questione di vinta o vinto. È una questione di fare ciò che è giusto."

In-ho non rispose, ma Gi-hun vide qualcosa nei suoi occhi. Un'ombra di vulnerabilità. Forse anche lui, in fondo, stava cercando una via d'uscita. Ma era troppo tardi per cercare scuse. Il gioco era diventato troppo grande, e ora Gi-hun lo capiva.

La decisione era nelle sue mani. Non sapeva cosa sarebbe successo dopo, ma una cosa era certa: non sarebbe stato più lo stesso uomo che aveva varcato quella porta giorni prima.