23 - Stop trying to always control everything. You have to let you go...

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Con il cervello che ancora non connette per via della somiglianza con lei mi avvicino al negozio.
Apro la piccola porta in legno e il campanello sopra tintinna, facendo girare lei nella mia direzione.

Da vicino è ancora più bella.
Penso di star per svenire.

Mentre accarezza la testa al bambino, che tiene la mano alla madre, si avvicina a me con una camminata delicata. Quando si trova a qualche passo da me tolgo i miei occhiali da sole per poterla osservare meglio e sorrido.

«Posso aiutarla?» Domanda cordialmente vedendo la mia espressione spaesata.
Mi tocca abbassare leggermente la testa, dovuta alla nostra notevole differenza d'altezza.

Kai che cazzo aspetti a risponderla?

Mi riprendo subito e mi schiarisco la gola. «Sono qui solo per qualche informazione», mormoro incrociando le braccia al petto e inizio a guardarmi intorno per cercare di memorizzare tutti i dettagli.
Ormai il suo volto lo so già a memoria.
«Da quanto tempo c'è questo negozio?» Domando.

Mentalmente mi sbatto una mano sulla fronte, che cazzo di domanda è?
Sto andando in panico.

I suoi occhi verdi luminosi si assottigliano un secondo per la confusione. «Da marzo duemila diciannove.»

Il mio volto diventa un secondo sorpreso. Cinque anni che c'è e non mi sono mai reso conto di questo negozio, tantomeno di lei.

Annuisco. «E tu da quanto tempo ci lavori?» Chiedo di nuovo. Mi guardo di nuovo in torno e vedo che siamo rimasti solo noi due all'interno del negozio.

«Beh oddio, non capisco il perché di tutte queste domande. Il negozio non è in regola?» Risponde con la preoccupazione che le fuoriesce da tutti i pori.

Complimenti Kai, sei riuscito a traumatizzare anche quest'altra ragazza.
Scuoto immediatamente la testa e le mani colto da un improvviso panico e inizio a scusarmi: «Oddio no, è solo che io abito in fondo alla strada e non ho mai fatto caso a questo negozio.» Ammetto passandomi una mano tra i capelli.

Vedo che i suoi occhi verdi seguono il movimento delle mie mani e poi si rilassa.
«Ci lavoro da poco, sono la nipote della proprietaria. Mi chiamo Ava», sorride e mi porge la mano.

L'afferro prontamente e la stringo con un sorriso sornione sul volto. «Kai, Kai Miller.»

Le sue gote si tingono di rosso e siccome entrambi non accenniamo minimamente a staccare la presa, a malincuore abbasso la mano per primo.
«Non per risultare invadente, ma chi è tua nonna?» Domando curioso incrociando le braccia al petto, mentre nella mano destra ho ancora i miei occhiali afferrati per una stecca.

Lei sorride e quando sente un frastuono dietro di lei ridacchia e la indica con un cenno di testa. «È lei, il suo nome è Bernadette.»

La mascella si spalanca di colpo e posso giurare di averla vista sfiorare il pavimento.
Bernadette, la nostra vicina di casa è la nonna di Ava.

I suoi tatuaggi e piercing le danno l'aria di una malavitosa e i suoi vestiti in stile rock la fanno ringiovanire di quasi dieci anni.
Non pensavo che Bernadette avesse dei figli, tantomeno dei nipoti belli come la ragazza davanti a me.

«Nonna, qui c'è qualcuno che ti vuole conoscere», ridacchia Ava indicandomi con il pollice.

Quando Bernadette finisce di sbadigliare e di scroccarsi la schiena, i suoi occhi verdi - come quelli della nipote - si spalancano.
«Cosa ci fai nel mio negozio, delinquente?» Incrocia le braccia al petto e barcollando leggermente si avvicina a noi.

Wicked GameWhere stories live. Discover now