II. Odore di guai

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Sono le sette del mattino quando lo squillare compulsivo della sveglia mi infastidisce abbastanza da farmi decidere che forse è ora di alzarsi e, come al solito, sono in ritardo per andare a scuola. Quanto odio queste mattinate immerse nella pressione di avere un impegno e un compito da svolgere!
Prima che io possa realizzare che giorno è oggi, mio padre bussa alla porta di camera mia.
«Posso entrare?» mi chiede con la sua voce roca rovinata dalle sigarette e dopo qualche secondo di silenzioso assenso entra, quando i miei occhi già straripano lacrime dagli argini di orgoglio che ho costruito, infrangendoli.
«Mi mancherai, papà.» bisbiglio affranta mentre l'abbraccio che mi dà ha il sapore di una tenera rassicurazione. Se ne andrà lasciandomi con la paura di non rivederlo mai più.
«Anche tu piccola, anche tu.» dice e mentre versa qualche lacrima innocente ricambia la stretta e la rende sempre più salda.
Mi cade il cuore.

Oggi no, non mi muovo da qua, non voglio andare a scuola, non senza la sicurezza di tornare a casa e sapere che qualcuno che mi ama mi aspetta.
Mi aspetta comunque qualcuno, ma non è qualcuno che voglio incontrare. Sbuffo mentre faccio uscire una nuvola di fumo dalla mia bocca che tartasso di morsi da almeno dieci minuti. Afferro il cellulare, compongo il numero e faccio partire la chiamata.
«Buongiorno eh..» sibila Ned, mezzo addormentato.
«Se mi hai risposto suppongo che tu non sia a scuola.» osservo sarcastica dopo aver sentito la sua voce impastata dal sonno.
«Noto che il tuo livello di perspicacia è molto alto di prima mattina.» ridiamo insieme e almeno c'è qualcosa in grado di tirarmi su.
«Ti va di fare un giro? Andiamo a fare colazione da Starbucks, offro io.» sbuffo, proponendogli la mia offerta non poco gradevole visto lo stomaco del ragazzo.
«Me lo devi dopotutto.» ribatte scherzoso. Finalmente qualcuno che abbia voglia di farmi sorridere.
«A tra poco.» sorrido e chiudo la chiamata.
Penso che qualcosa possa ancora cambiare.
Faccio una doccia veloce e mi vesto come meglio posso, un paio di jeans scuri, un magliettone degli Slayer e una felpa nera, ricordandomi di prendere le cuffie prima di uscire, non ho voglia di sentire quanto faccia casino il mondo. Mentre attacco il flag -ovvero, un simbolo di riconoscimento che per noi è la tipica bandana rossa che caratterizza la nostra gang- al passante della cintura dei pantaloni e penso a Ned: alto e possente, con i suoi capelli folti e scuri pronti a coprire i suoi occhioni verdi fatti di dolcezza e forza. Lo conosco da ormai cinque anni, praticamente da quando io e papà siamo arrivati qui; mi è sempre rimasto accanto. Esco di casa e nel frattempo penso che senza papà nulla avrebbe più il senso di pace e serenità che spesso mi fa provare; spero che uscire un po' possa farmi dimenticare anche solo per un secondo l'assenza che riempie l'abitacolo da un'oretta circa. Quando abbandono il vialetto di casa e imbocco la via principale un rumore di fracasso mi riscuote dai miei pensieri, facendomi scordare anche della canzone che stavo ascoltando strada facendo. Alzo lo sguardo e incrocio gli stessi occhi, coperti dalla visiera del casco, osservarmi come la sera prima.
Una Harley sta entrando nel box di casa mia... Spero che non sia davvero così e distolgo lo sguardo chiudendo gli occhi, ma quando li riapro il ragazzo è scomparso dentro il garage e tutto ciò che sento è il motore rombante della sua motocicletta placare il suo canto. Sospiro prima di procedere sulla strada sbagliata della mia vita.

«Non.Ci.Posso.Credere.» strilla il mio amico tra l'emozionato e lo sconcertato. Dopo avergli raccontato tutto e avergli offerto la colazione, Ned, che sa sempre cosa è giusto fare è solo stato in grado di strillazzare mentre guardava un ragazzo probabilmente carino. Le vostre intuizioni sono giuste; lui è omosessuale, ma a me va benissimo così, lo rende una persona molto empatica e sensibile. Ciò non condiziona il mio modo di volergli bene, anzi, rende il bene che gli voglio incondizionato. Non sarebbe il mio migliore amico se non fosse così.. così Ned, ecco.
Quando volto lo sguardo noto che ha dei buoni motivi per dirlo; è appena entrato Jake dalla porta di ingresso del negozio e appena ci vede, ci sorride e saluta.
«Sta venendo verso di noi!» sussurra Ned con fin troppo entusiasmo per i miei gusti. È carino, ma non è tutto sto granché: capelli scuri quanto i suoi occhi che oggi sembrano bramare una luce spenta e torbida. Non lo temo, ma non è di certo la persona con cui passerei il mio tempo libero.
«Mi sento come se le cose stessero per peggiorare.» sussurro in risposta, inizia già a farmi male la testa al solo pensiero di mettermi nei guai a neanche due ore dalla partenza di papà. Tipi come Jake non portano mai, e dico mai, bei momenti, anzi: chissà che sospensione si deve essere subito per essere qua a quest'ora.
«Sesto senso femminile?» mi chiede Ned aggrottando le sopracciglia, disturbato e dubbioso sulle mie parole.
«No, non credo, solo che a scuola non girano belle voci su di lui e non mi va di stare con il pensiero di essere in pericolo.» ribatto e il mio migliore amico sgrana gli occhi e solleva un sopracciglio:«Okay, non posso essere di certo io a giudicarlo, sono figlia di un b..- mi schiarisco la voce, come a farglielo capire senza dirlo -...ma questo non giustifica in nessun modo ciò che fa.» alzo gli occhi al cielo mentre lo vedo arrivare a grandi falcate verso di noi, esegue passi ampi e ondeggianti, come se avesse dei tentacoli al posto delle gambe coperte dai Kani larghi. Papà perché mi conferisci tutto l'onore di essere tua figlia? Che cazzo, a volte è così straziante il pensiero che chiunque conosca il flag possa sapere chi sono e aggredirmi senza un vero movente se non la rabbia che è stata tramandata di generazione in generazione, di cultura in cultura, di famiglia in famiglia. Se solo lui non fosse il capo di tutto ciò sarebbe anche meglio. Ma famiglia è quello che siamo, noi della Detroit Downtown.
«Ehi ragazzi, balzato scuola oggi?» ci chiede, la voce forte e mascolina risuona nella mia testa come un urlo agghiacciante. Lo so, lo so cazzo, che c'è qualcosa che non va! Come faccio ad avvisare Ned?
«Già, anche tu a quanto pare.. Come mai?» gli sorride quello psicopatico seduto accanto a me.
«Mmh, dopo la rissa di ieri non mi andava di tornare in quel postaccio.» Jake scuote la testa, aspettandosi un cenno d'assenso nei confronti delle sue parole da parte nostra. Io non ho di certo intenzione di parlare degli affari miei con lui, a malapena ne parlo con me stessa, figuriamoci a doverne parlare con uno scemo come questo. Non ho voglia di sentire i suoi discorsi assurdi e stupidi che inneggiano alla violenza. È un paradosso visto che faccio parte della gang ma l'appartenenza -fisica e morale- alla mia famiglia non implica che io debba fare a botte con chiunque osi rivolgermi parola.
«Noi avremmo dovuto avere qualche verifica che per oggi preferiamo evitare.» osserva Ned, tirando fuori l'argomento "scuola". Bella stronzata, mi auguro che stia più attento nel manipolare le bugie che dice, visto che la settimana scorsa si è trovato invischiato in guai seri.
«Come mai, oggi c'è qualche ricorrenza importante?» detto, fatto. Sentivo Ned sudare freddo a distanza. Ti fa una domanda a trabocchetto e tu ci caschi anche? E che diamine. Nonostante la frustrazione, mantengo un tono annoiato ma tranquillo, il suo fare sospettoso non mi influenza di certo.
«In realtà no, non in particolare, solo che è tutta settimana che tra verifiche, interrogazioni e tutti i corsi pomeridiani siamo un po' stanchi e ci siamo presi un giorno di pausa.» spiego, sorridendogli con aria vaga, pressoché gentile. Quando i nostri occhi s'incotrano un brivido mi scuote e capisco che non sarà una mattinata semplice.
Destino, perché? Karma, Dio, Allah o come volete chiamarlo, come faccio ad uscirne indenne? Come faccio a liberarmi di lui?!
«Brr, che freddo, con la porta che continua ad aprirsi e a chiudersi mi becco tutti gli spifferi d'aria fredda.» mi lamento inutilmente, distraendo sia l'uno che l'altro idiota. Jake mi sorride e si sposta, catapultandosi dietro le mie spalle:«Così va meglio?»
Sorrido e annuisco, ringraziandolo. Questa volta sono io a fare troppi passi falsi. Sento che mi accarezza le spalle e scende in un lento abbraccio in cui al solo contatto mi irrigidisco. Mi percorrono i brividi, cosa c'è che non va?! Cazzo allontanati da me!
«Grazie mille, comunque mi sa che noi andiamo, è tardi e abbiamo parecchio da fare» inizia Ned che finalmente ha sentito odore di guai e decide di battere in ritirata:«Grazie mille comunque, è stata una piacevole compagnia» sorrido, fingendo sentimenti che non provo e lui sembra cadere dentro questa piccola trappola. Il problema è che lui pensa che io sia caduta nella sua.
Ci saluta e una volta congedato usciamo dal locale e iniziamo a camminare tenendo una sigaretta fra le dita ed esalando fumo dalla bocca:«Mi prometti di stare attenta?» mi chiede una volta lontani da Starbucks. I suoi occhi sono intimoriti come quello di un cucciolo sotto la pioggia.
«La puzza di guai non è ancora sparita, tieniti in guardia anche tu.» lo avverto, poco dopo sento dei passi veloci avvicinarsi e un fruscio causato dai jeans che sfregano.
«Stella, fermati!» urla Jake a pochi metri di distanza da me. Guardo Ned e con gli occhi gli indico la direzione da prendere in caso questo idiota volesse restare solo con me.
Giro il busto e lo osservo:«Dimmi tutto»
«Ti andrebbe di fare un giro?» speranzoso nel tono con cui mi parla, ascolto la sua voce falsa e guardo i suoi occhi truci fingersi ben intenzionati. Non devo accettare.
«In realtà avrei degli impegni importanti, puoi accompagnarmi alla fermata dell'autobus, è un problema se c'è anche Ned?» chiedo fiduciosa nella sua risposta, dicendomi che va bene così.
«In realtà preferirei che fossimo solo io e te.» schietto e chiaro, perfetto. Lancio un'occhiata fugace a Ned, annuisce e poi si avvicina per salutarmi stringendomi la mano e dandomi due baci sulla guancia. Saluta Jake e capisco che si sta immettendo in una strada secondaria che fa comunque parte della nostra zona.

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