21. Astinenza

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Nota autrice: so che volevate il suo pov 😍 Nello scorso capitolo mi è mancato 😔
(Tenete conto che avrebbe dovuto essere il suo).

Jamie:

È bastato distrarmi per qualche secondo e mi sono ritrovato in un ospedale senza riuscire quasi a muovermi. Se provo ad alzarmi sento un forte dolore dovuto alla costola rotta e la testa mi gira come una trottola.

Ho un forte capogiro e non so per quante ore sono rimasto senza sensi, so solo che quando mi sono svegliato, ho visto tutto doppio.
Mi hanno detto che ho perso parecchio sangue, per questo sono così debole, ma per fortuna tutto si è risolto nel migliore dei modi.

In questo momento sarei potuto essere già all'altro mondo e invece sono qui che abbraccio i miei genitori e li rassicuro che va tutto bene, anche se non si può dire che stia una meraviglia.
Appena loro vanno via è il turno dei genitori di Jillian.
Li hanno fatti entrare a due a due e non tutti insieme.
Mi abbracciano forte, entrambi. Di lei ancora però non c'è traccia.
Appena mi sono ripreso un po', è stata il mio primo pensiero e dopo essermi assicurato stesse bene, mi sono sentito meglio anche io, riuscendo a darmi un po' di forze per riprendermi e apparire al meglio.

"Meglio", per modo di dire. Ho una garza che occupa quasi tutta la fronte, in faccia sono pallido quanto un cadavere e ho un aspetto tremendo.
Detto in parole povere: sto una merda.

«Jillian sta aspettando in sala d'attesa. Vuole venire qui da sola e ha preferito che fossimo noi i primi a salutarti. Ha avuto tanta paura e ha pianto continuamente. È agitata e secondo me ha l'ansia di vederti. Avete litigato, Jamie? A noi puoi dircelo.»

Ashley, la madre, mi accarezza la guancia con fare materno.
Penso al fatto che abbia pianto, penso al nostro discorso prima dell'incidente, penso a noi due e mi sento profondamente triste, giù di morale, e allo stesso tempo felice di essere ancora su questa terra e poter risolvere tutto, ancora una volta.
O almeno, è quello che mi auguro.

«No. Non abbiamo litigato» la rassicuro.  In un certo senso è la verità.

«Va bene.» Sorride. «Adesso vi lasciamo soli, lei arriva subito. Ciao tesoro, riprenditi presto.» Mi dà un bacio sulla fronte e quando arriva il turno di Bryan, appoggia una mano sulla mia spalla.
«Guarisci presto, ti aspettiamo ancora per quella cena a casa.»

Annuisco, accennando un sorriso.
«Sarà fatto.»

Appena lasciano la stanza, fisso la porta in attesa che Jillian faccia il suo ingresso.
Il letto è alzato all'insù in posizione seduta, perciò ho l'ampia visione di tutta la stanza. C'è soltanto il letto e un comodino accanto a me. Le pareti sono di un bianco spoglio e ci sono appesi dei quadri di medicina.
Faccio un respiro, un po' agitato per il fatto di rivederla, ma appena riempio i polmoni d'aria, appoggio una mano all'altezza delle costole, mugugnando per il dolore.
Una fitta, che fa davvero parecchio male.
Stringo gli occhi, imprecando.

«Jamie!»
I suoi passi veloci, la sua voce che mi chiama, mi fa stare subito sull'attenti e li riapro di scatto. Jillian è qui, finalmente.

«Jilly...»
Pronuncio il suo nome con una voce che nemmeno riconosco io stesso. È dolce, allo stesso tempo carica di mille emozioni insieme.
Felicità e tristezza mischiate.
Continuo a pensare all'ultima frase che le ho detto, a cosa ha detto lei, e ci sto da schifo. Allo stesso tempo sono felicissimo che stia bene, che sia qui con me.
Fanculo, non voglio pensarci. 
Mi godo solo il momento.

Si avvicina rapidamente e mi avvolge le braccia intorno al collo, abbracciandomi fortissimo.
Sorrido, appoggiando il viso alla sua spalla e circondo come riesco, un braccio sulla sua schiena. Purtroppo i movimenti sono limitati, se mi muovo troppo mi fa male. Annuso il suo profumo, sa di casa. Il mio posto sicuro.

«Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Per tutto. Per ogni cosa. Per quello che è successo, per quello che ti ho detto.» La sua voce si incrina. «Scusami.»
«Dispiace anche a me» mormoro, malinconico.
Scoppia a piangere. «Ho avuto una paura tremenda che tu... che tu fossi...»

Rido piano, perché anche questa è una cosa che non posso fare. Dannazione, mi fa male anche se provo a ridere.
«Morto?» continuo, scherzandoci su. «Ci vuole ben altro che un incidente per mandarmi K.O.
Tranquilla, avrai a che fare con me ancora per tanto, tanto tempo.»

Nonostante tutto, la faccio ridere perché appena scioglie l'abbraccio, mi guarda negli occhi e afferra le mie guance con le sue mani. «Possibile tu riesca a scherzare anche quando si tratta di qualcosa di serio? Hai rischiato davvero tanto. Quella macchina ti ha preso in pieno.»
Chiude gli occhi e scuote la testa, rabbrividendo e di nuovo il suo sguardo diventa ansioso, sta di nuovo per piangere.

Per farla sorridere nuovamente, continuo. «È la macchina a essersi fatta peggio, tranquilla. Non mi vedi? Sono tutto intero, più o meno.»

Sposta le mani dalle mie guance e fissa la garza che mi avvolge la fronte. «Ti fa tanto male? Come stai?»

«Sto bene, Jilly. Ho solo un po' di capogiro, ma i dottori dicono sia normale. Stai tranquilla, okay?» dico dolcemente. Poi la stringo di più sulla schiena, anche se i nostri visi sono già vicinissimi.
Non voglio che si stacchi da me, voglio tenerla qui.
«Non mi dai nemmeno un bacio?»

Sorride e si asciuga le lacrime che stanno scorrendo sul viso. «Voglio prima sapere se tra noi va tutto bene.»

«Dipende» dico, ironico. «Se mi baci, sì. Se no...»
Qualsiasi cosa stessi per dire, lei la blocca schiantando le sue labbra sulle mie. Schiudo la bocca, chiudo gli occhi e la mia mano la stringe sulla maglietta, dietro la schiena, con fare possessivo.
Il bacio diventa più spinto di ciò che pensassi, lingue che si scontrano e il rumore dei nostri baci che riempie il silenzio della stanza.
Sono costretto a fermarmi, quando il dolore diventa più intenso per via del respiro irregolare e di nuovo, impreco dentro di me.

«Se continui così, si sveglierà anche qualcun'altro, oltre me.»
Le faccio l'occhiolino, usando un tono di voce malizioso.
Jillian ride di nuovo. «Smettila. Sei tremendo.»
«Sei più tremenda tu che pensi sempre ad Ector. Possibile non abbia altro per la testa?» la prendo in giro.

Scuote la testa divertita, poi mette un dito sul mio naso, sulla punta. «Il dottore ha detto che per almeno tre settimane dovrai stare a riposo, questo significa che non potremmo nemmeno...»
«Col cazzo» borbotto. «Tre settimane sono troppe. È come chiedermi di stare in astinenza per dieci anni.»
«Esagerato» scoppia a ridere.
«Qui non c'è niente da ridere. Stiamo parlando di cose serie.»
Con la mano scendo sul suo gluteo e lo pizzico leggermente. Jillian sussulta e io sorrido divertito. «Non mi fermerà nemmeno una costola rotta.»

Mi muovo piano, per potermi avvicinare di più, ma grido per il dolore subito dopo. «Ecco, vedi? Stai fermo» mi prende la mano e la riporta sul letto. «Dovrai fare il bravo per tre settimane.»
Sbuffo, irritato.
«Sembri un bambino capriccioso, lo sai, vero?» ride.
«Ector e io stiamo soffrendo e tu te la ridi così?» faccio un finto broncio. «Guarda che anche Jamielly deve stare in astinenza, eh. Ci hai pensato?» dico, con la vittoria in tasca.
«Smettila» non riesce a smettere di ridere. «Siamo in un ospedale, potrebbe entrare chiunque.»
«Non mi importa un accidente» sorrido.
«E adesso vieni qui.»

Circondo il braccio sulla sua schiena e la attiro verso di me, prendendomi un altro bacio. Si rilassa contro le mie labbra e sorride. «Ti amo» sussurra, dolcemente.
«Non sai quanto ti amo io.»

Non vedo l'ora di uscire da questo ospedale, ma soprattutto spero che queste tre settimane passino velocissime perché sto già male al pensiero di non poter fare nulla.
Astinenza.
Jamie Brown in astinenza.
Diamine, non l'avrei mai detto.


















Io, tu e un lavoro. (Vol. 2)Место, где живут истории. Откройте их для себя