Capitolo 1

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Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.

Paracelso

«So che ricominciare la scuola a programma inoltrato potrebbe non essere facile, ma sei sempre stata una studentessa modello...» la professoressa Hawkins parlava, ma non riuscivo a prestare attenzione alle sue parole.

Il mio sguardo era perso, si mischiava all'azzurro del cielo terso. Avrei voluto essere come lui, limpida e immacolata, invece non lo sarei più stata.

Fuori, la vita sembrava sospesa nei primi raggi di sole di quell'autunno che, nonostante mancassero pochi giorni a Novembre, era ancora piuttosto mite. Gli alberi erano smossi da una brezza fresca e leggera, mentre una miriade di pettirossi cinguettava, le zampette appoggiate ai rami delle piante secolari che circondavano la scuola.

L'orologio appeso alla parete produceva un debole ticchettio cha mi faceva sentire inquieta, ansiosa. Mi mossi sulla sedia, a disagio. Era sempre così, ormai, quando si trattava del trascorrere del tempo. Presi a mordicchiarmi un labbro, notando con disappunto che le lancette segnavano le sette e cinquanta. Meno di dieci minuti all'inizio delle lezioni.

Osservai il piccolo sette che sembrava sorridermi beffardo da dietro il vetro del quadrante. Sette, era sempre stato un numero importante nella mia vita. Sette, come le note musicali. E gli anni che avevo quando papà era morto. Sette, come i nani di Biancaneve. E le settimane che avevo passato in coma, sdraiata sul letto di un'ospedale, con il terrore di non svegliarmi mai più. Sette miliardi di istanti che avevo perso e non sarei mai riuscita a recuperare...

«Jennifer, mi stai ascoltando?»

Feci una smorfia, a sentire il mio nome pronunciato per intero. Nessuno mi chiamava così da anni, ormai. Puntai il mio sguardo penetrante sulla professoressa, come se potessi leggerle in faccia la domanda che mi aveva posto e che io non avevo udito a causa dei miei pensieri rumorosi.

Di fronte al mio silenzio, la Hawkins sospirò. Si sistemò meglio gli occhiali dalla montatura smeraldo, osservandomi di sottecchi. I miei occhi si spostarono sul fascio di fogli che teneva in mano. Era lì che la donna doveva aver trovato tutte le informazioni sul mio conto. Non era tra i miei professori, e l'idea che un'estraneo sapesse così tanto su me e la mia vita mi infastidiva. Anche se, come aveva detto lei, avrei avuto modo di conoscere meglio quella signora dai modi zuccherati che avevo davanti negli incontri che sarebbero seguiti a quello. Non aveva idea di quanto si sbagliasse.

«Ti ho chiesto se ti andrebbe di seguire i corsi di recupero al pomeriggio, per rimetterti in pari con il lavoro svolto...»

Mi irrigidii.

«No» risposi secca, prima che potesse aggiungere altro. Di fronte all'occhiata truce che mi lanciò, fui costretta ad ammorbidire i miei modi.

«Non ce ne sarà bisogno. Ho sentito che nella maggior parte delle materie non è stato svolto alcun argomento importante, perciò...» la campanella suonò l'inizio delle lezioni, e io mi alzai di scatto, desiderosa di uscire da quell'ufficio dalle pareti giallastre. Ero sconcertata della facilità con cui le bugie mi erano uscite dalla bocca.

«Mi scusi, ma ora devo andare» dissi, afferrando lo zaino e dirigendomi verso la porta. Senza aspettare di essere congedata, afferrai la maniglia e la aprii, rivelando i corridoi pieni di armadietti blu della scuola.

Nonostante sarebbero dovuti essere in classe, un cospicuo numero di studenti era ancora lì, incurante delle regole e di tutto ciò che aveva attorno. O, almeno, finché non mi incamminai a passo svelto nel corridoio. Cercai di tenere la testa alta e lo sguardo fisso davanti a me, ma le occhiate perforanti degli altri ragazzi sembravano volermi scavare l'anima, senza chiedere il permesso. Ignorarle era impossibile.

Sentii la mascella irrigidirsi, una rabbia velenosa nascere dentro di me. Non era giusto, che si ritenessero in diritto di guardarmi come se gli appartenessi. Ma non avevano niente di meglio da fare?

Raggiunsi il mio armadietto, fingendo di non essermi accorta di nulla. Come se fosse possibile. Mi bloccai, cercando di ricordare la combinazione. A quell'ora, sarei già dovuta essere in classe. Appoggiai la schiena al metallo, esausta. Da quando mi ero svegliata, bastava il minimo sforzo a prosciugare le mie energie.

Strinsi i denti, feci un respiro e mi incamminai verso l'aula, rinunciando ad aprire l'armadietto. Ci avrei riprovato al primo intervallo.

Davanti alla porta di legno, mi fermai. Sentivo dall'altra parte la voce del professore che incominciava a parlare.

Perfetto, un altro ingresso teatrale è proprio quello che ci vuole.

Mi feci forza e bussai. Avevo passato cose ben peggiori di una strigliata per un ritardo.

La porta si aprì verso l'interno.

«Ma guardate un po' chi abbiamo qui, la signorina Miller che ha deciso di venire a farci compagnia...» il prof di storia mi lanciò un'occhiataccia irritata.

Studiai i suoi capelli brizzolati, più radi dell'ultima volta che l'avevo visto, il viso scavato e pieno di rughe e gli occhi piccoli che lo facevano somigliare a una tartaruga.

Sostenni il suo sguardo finché lui non lo distolse. Era certo meglio che affrontare l'intera classe.

Cercai un banco vuoto in cui sistemarmi. Lo trovai subito, ovviamente, di fianco a Lauren. Prima, noi due, eravamo amiche. Sperai che quello non fosse cambiato, come aveva invece fatto tutto il resto.

Quando mi vide, gli occhi verde smeraldo le si illuminarono e sul suo viso si aprì un sorriso raggiante. La raggiunsi, e mi sentii subito più leggera al suo fianco.

Lauren era un concentrato incredibile di energia. Bastava guardarla, con i capelli rosso fiammante che sembravano sfidare il mondo e il viso ricoperto di lentiggini che non si lasciava mai sfuggire l'occasione di fare smorfie. Un angolo della mia bocca si sollevò, al pensiero che una cosa l'avrei recuperata in fretta. Con la parlantina logorroica della mia amica, in un intervallo sarei stata aggiornata sui gossip degli ultimi tre mesi.

«Oh, Jen, sono così felice di vederti!» sussurrò, per non farsi sentire dal professore «Allora, come stai?» mi chiese con interesse sincero.

«Io...» iniziai a torcermi le mani, sempre troppo fredde. Cosa avrei dovuto risponderle?

Non stavo bene, in nessun senso. Rabbrividii, al pensiero del veleno che avevo avuto in corpo per chissà quanto tempo, e che forse era ancora lì. E poi, c'era quella strana sensazione di disagio che mi portavo sempre dietro, un manto invisibile che non mi abbandonava mai. Ma non era solo questo a terrorizzarmi, no...

«Sto bene, grazie» mentii.

«Ti va di venire a studiare da me, oggi pomeriggio?»la sua voce trasudava speranza. Lo studio per lei, era solo una scusa come un'altra per passare del tempo insieme. Non credevo che Luren avesse mai aperto un libro di scuola, figuriamoci mettersi a leggerlo per cercare di capirci qualcosa. Aveva accettato di prendere ripetizioni da me solo quando, alla fine della seconda, le avevano detto che rischiava di essere bocciata.

«Oggi non posso, mi dispiace. Magari un'altra volta»

«Oh, okay» sembrava davvero dispiaciuta. Non avevo mai rifiutato un suo invito, prima d'ora.

«Ho lezione di violino» mi giustificai con voce piatta.

Sentivo rovi pieni di spine che mi grafffiavano il cuore. Era già la terza bugia della giornata, sarei dovuta andarci piano. Rimanemmo un po' in silenzio, io che cercavo senza successo di prendere appunti sulle guerre di secessione, Lauren che disegnava distrattamente suo suo quaderno, cercando di nascondere la delusione.

Qualche volta, avevo paura che il veleno avesse lavato via ogni mia emozione. O, peggio, mi avesse trasformata in qualcosa di nuovo, affascinante e pericoloso. Come la mela di Biancaneve. Rossa e perfetta, fuori rubino ma marcia dentro.

Cacciatore Di CuoriWhere stories live. Discover now