Capitolo 1

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Kali



Come liberarsi di un peso che si ha sul cuore?

Come si può continuare a vivere sapendo di essere la figlia di un mostro?

Ormai me lo chiedevo da fin troppo tempo... rimuginavo e rimuginavo sul passato della mia intera famiglia. O quasi famiglia.

Figlia di un assassino.

Mi dicevano: "Come fai a vivere sapendo di essere figlia di un assassino?" "Non sei altro che un mostro come tuo padre!" "Perché sei ancora viva?"

Queste domande mi hanno tormentata per anni. Ma ho sempre cercato di non dargli il peso che effettivamente avevano.

Sono Kali Lawrence, e questa è la mia storia, ho 19 anni e frequento l'Accademia delle Belle Arti di Manhattan.

Mia madre si è suicidata, bipolarismo post-partum. Non ha mai dato la colpa a me, ma in un certo senso è proprio mia la colpa, poteva abortire e non l'ha fatto, ma arrivata a questo punto, avrei desiderato tanto che mi avesse uccisa.

Si è impiccata, e io ho visto tutto. Il suo corpo penzoloni dal soffitto, il cappio che le stringeva la gola viola e arrossata, i suoi occhi spalancati e spenti che mi trasmettevano terrore. Avevo solo cinque anni quando è successo. Ero una bambina allegra a quel tempo, una bambina come tutte le altre. Ma quando qualcuno ti racconta che sei nata perché un pezzo di merda psicopatico ha stuprato tua madre, comincerai a pensare che in un certo senso sei un piccolo mostro stato allevato da una famiglia che, nonostante il tuo aspetto simile al suo, nonostante non fossi figlia di quell'uomo che chiamavo papà, ti ha cresciuto perché eri una vittima innocente. Come tua madre. "Non è colpa tua Kali" , continuava a dirmi colui che ormai chiamavo padre, nonché lui che dopo essersi assicurato che fossi cresciuta, già nel periodo di pubertà e di adolescenza, mi raccontò di non essere mio padre. E quel giorno fu il giorno più brutto della mia intera esistenza.

Colui che chiamavo padre morì in un incidente stradale il 26 Agosto del 2015. Finn Lawrence, l'uomo che mi ha cresciuta, che mi ha accudita nonostante non fossi sua figlia, l'uomo che mi ha dato il suo cognome per non farmi sentire una bambina inutile e nata soltanto da quello stupro.

Ma era ciò che ero. Una bambina ingenua che non aveva bisogno di essere messa al mondo. Una bambina di cui il mondo non se ne sarebbe fatto niente. Inutile, niente di più.

Mio fratello Ian aveva sedici anni quando Finn morì. Non ci era poi così legato come lo ero io, e non era nemmeno il mio vero padre. Ha provato a darmi una felice infanzia e poi mi ha raccontato tutto quanto e io gli sono davvero grata per avermi detto il motivo della mia nascita. Si pensa che chiunque di buon cuore non dovrebbe mai raccontare ad un innocente creatura questo genere di cose, gli rovini la vita. Ma Finn era un uomo di buon cuore, e mi ha raccontato tutto, non per cattiveria, ma perché voleva che io sapessi tutto, per filo e per segno. Finn mi amava nonostante non fossi sua, è una cosa che un padre di oggi non potrebbe mai fare, perché troppo orgoglioso.

Ian era ormai un adulto con il cuore di un ragazzino. Mi aveva sempre odiata: ero la ragione per cui la sua dolce mamma non era vissuta al lungo. Non poteva raccontarle come erano andati i suoi allenamenti di basket, non poteva dirle che a scuola faceva davvero schifo, non poteva parlarle delle sue piccole prime cotte, semplicemente di come gli andava la vita.

The eclipseWhere stories live. Discover now