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Dove mi trovo?
Non ne era sicuro.

Tentò di aprire a fatica gli occhi – le ciglia sembravano esser state meticolosamente incollate tra loro – ma dopo qualche tentativo fallito, riuscì a proiettare il proprio sguardo sull’ambiente circostante.

Una lunga distesa di moquette scura, un morbido tappeto e il piede di un tavolino da caffè, riempivano tutta la sua visuale.

Quello era il suo soggiorno.
Era a casa sua.

I pensieri iniziarono a fluire in modo incontrollato, ricordandogli in sequenza tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti durante l’apparentemente infinita mezz’ora precedente.

Il primo ricordo che emerse nella sua mente stanca e offuscata, fu anche il più importante: la discussione con Jeongin avuta nel parcheggio del locale.
Sembravano essere passati dei giorni.

Ci baciamo.
Chiuse nuovamente gli occhi, stringendoli un poco, tentando di attenuare il dolore che il ricordo di quelle parole aveva provocato.

Ancora, ricordava di essersi allontanato carico di rabbia e paura – paura di entrare dentro il locale e fare quell’unica cosa che avrebbe potuto rovinare seriamente la serata a tutti – camminando senza una meta attraverso le auto parcheggiate, aveva intravisto la sua moto.

Era stato totalmente un caso – o forse il suo sesto senso a guidarlo – perché era certo di esser stato troppo ubriaco per ricordarsi dove l’aveva parcheggiata.

Non si era dato troppo tempo per pensare.
L’ultima cosa che ricordava di quel parcheggio, era la voce di Jeongin che alle sue spalle urlava disperata il suo nome, ma lui non si era mai più girato indietro.

Sono tornato a casa vivo.
Non era un pensiero scontato.
Sarebbe potuto non succedere.

Riusciva a ricordare – anche se con un po' di fatica – i momenti di buio che l’avevano investito mentre guidava attraverso le strade umide della periferia di Seoul.
I momenti in cui la sua coscienza sembrava essersi totalmente scollegata, e il suo cervello aveva lavorato da solo per portarlo a casa.

Era entrato letteralmente strisciando sulle ginocchia, incapace di mettersi in equilibrio sulle gambe.
Non aveva idea di come fosse riuscito ad inserire correttamente la chiave nella toppa.
Patetico.

Nessuno lo attendeva oltre le mura di casa, e fu davvero grato di questo.
I suoi genitori erano spesso assenti per lavoro, ma in quel periodo erano andati a stare dalla nonna materna – per aiutarla e farle compagnia – in seguito ad un intervento che la donna aveva subito.

Aveva gattonato lentamente verso il divano – raggiungere il proprio letto al piano superiore, era assolutamente impensabile – ma a pochi passi da esso, le braccia avevano ceduto.

Era caduto con la guancia premuta contro il tappeto e si era addormentato lì, infondo anche il tappeto non era poi così male.

Ma perché si era svegliato da quel torpore così intenso?
Voci. Fastidiose voci che urlavano.
Pugni che sbattevano prepotentemente contro la sua porta.

Chi diavolo è?
Erano stati proprio quei suoni a destarlo dal sonno.

Perché non mi lasciano in pace? - si domandò infastidito rigirandosi meglio sul tappeto, poi un altro pensiero prese il sopravvento – Probabilmente li ho fatti preoccupare a morte.

Si concentrò meglio su quel vociare agitato.

«Diamoci una calmata, maledizione! – sbottò quella che sembrava essere proprio la voce di Changbin – Era talmente ubriaco che ormai si sarà già addormentato in qualche angolo, e mai ci aprirà la porta, inoltre se la sua moto è qui significa che è arrivato sano e salvo e questo è ciò che ci interessa, giusto?».

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⏰ Last updated: Mar 11 ⏰

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