TUTTE LE FOGLIE DA UN UNICO RAMO

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Non mi parlavano più. Era da quando cercai di... che non sentivo la voce della nostra famiglia. Entravano all'interno di quelle quattro mura spoglie, malapena mi osservavano in viso e via, come se non ci fosse nessuno in questa stanzina. Come cambia la vita senza un arto! Basta così poco e tutto è perduto.

Quella sera mi misi a fissare le goccie della flebo cadere una dopo l'altra, si lasciavano e si riunivano in un punto nuovo. Ecco, io stavo cadendo, da solo dimenticato dal mondo, non mi restava che riflettere sulle mie azioni, eppure non ci riuscivo. Iniziava sempre con un "come ho potuto"e finiva sempre con "la mia gamba", non avrei mai più gareggiato per la nostra nazione, non avrei mai più portato la bici in giro per le stradicciole del nostro paesino, come era bello sentirsi l'aria in faccia e ringraziare i nostri antenati e la natura del magnifico luogo che ci avevano lasciato. La gratitudine, la possedevo ancora? Mi si riscaldava il cuore al solo pensiero del laghetto di fronte alla nostra scuola, le rane che gracchiavano alle due di pomeriggio, quella tranquillità che sentivo nel stendermi sul prato a guardare il cielo ora si era tramutata in ansia, la riconoscenza in rabbia. Ero arrabbiato, non avevo il diritto di esserlo, tutti avevano lavorato duramente perché io soppravivessi eppure la morte mi sembrava così dolce in quel momento. Per cosa avrei dovuto vivere adesso? Dall'errore la nostra famiglia aveva smesso di provare affetto nei miei confronti, non so come io abbia potuto solo pensare di commettere un atto così estremo verso un benefattore, era disdicevole, mi sarei dovuto scusare sebbene una parte di me ardeva di un qualcosa che nemmeno io sapevo distinguere con certezza. Questa ira da dove proveniva? Non ne ero sicuro e nemmeno si poteva giustificare, non potevo continuare a nascondermi dietro le mie azioni era il momento di agire con maturità e così avrei fatto.

Non passarono molti giorno che mi fu concesso di tornare a casa, con un nuovo regalo, cortesia dell'ospedale da parte dello stato. Diverse ruote con dei sedili blu notte, non sapevo ancora andarci su questa nuovo mezzo di trasporto e per questo nostra madre molto gentilmente spingeva la carrozzina fino all'interno dell'abitazione. Ogni qual volta quando nostra madre tornasse dall'ospedale, veniva accolta da dei palloncini davanti al corridoio principale con un bigliettino che citavano quanto fosse preziosa una donna. Da un cuore pieno d'amore cresceva l'albero della fertilità, la natura donava ai puri di cuore la possibilità di avere una nuova vita a riempire di gioia le case, i cari e la nazione. Era un ruolo importante il suo e per questo meritava il riconoscimento che gli veniva attribuito anche il bimbo veniva celebrato a casa Smirnov gli si regalava una copertina con le iniziali incise, gli si legava un nastro rosso al braccio e gli si augiurava tanta felicità e prosperità. Era sempre una gioia l'arrivo di qualche caro lontano, fin dalla tenera età conservo ricordo del grande orso che ci svegliava presto la mattina dell'arrivo degli ospiti per dare una mano ai fornelli o nelle faccende domestiche. La radio riproduceva canzoni e noi al lavoro felici cantavamo e ballavamo fino a quando non c'era nulla che fosse rimasto incompleto e così uno dietro l'altro andavamo in bagno per darci una rinftrescata prima dell'arrivo degli ospiti. Il Signor Smirnov ne andava fiero dei complimeti sull'educazione e la rigorosità fisica e civile che possedeva la nostra famiglia, uno lo comprendeva da come iniziasse a traballare l'estremità del baffo destro prima che aprisse bocca per dire:" Si figuri facciamo del nostro meglio". Noi fratelli a quella frase sogghignavamo sempre un po', era una fortuna che nesssuno dei nostri parenti fosse conoscito per la propria tendenza ad arrivare in anticipo e che trambusto avrebbero trovato! Essere calorosi era anche un po' quello che rendeva gli Smirnov la famiglia rispettata che era e proprio per questo quando non trovai l'ombra di un biglietto o di un palloncino di auguri di pronta guarigione mi pianse il cuore. "Ragazzi, Il nostro Gregori è ancora un po' debole dalla malattia non vi sarà possibile giocarci per un po' di tempo" tuonò il grande capo a cui i piccoli orsetti non batterono ciglio e tornarono ad azzuffarsi tra di loro. Incredibile, ero stato via per più di un mese e non avevo sentito nemmeno un "Ci sei mancato Gregori". Un bravo atleta deve sempre tenere una posizione corretta nelle attività giornaliere, eppure la schiena iniziò a cedere fino a sprofondare totalmente sullo schienale leggermente inclinato della carrozzina che fino a quel momento non aveva nemmeno sfiorato. Era grezza, faceva prudere la pelle ma non mi rimaneva forza per raddrizzarla nuovamente, era anche questa la maturità, sopportare il dolore. Una volta nella camera da letto di noi fratelli notai una diversa predisposizione degli oggetti, il letto su cui ero solito dormire era disfatto il che non era inusuale visto la poco attenzione all'ordine dei piccolini, ma non per questo non rivolsi uno sguardo interrogatorio a nostra madre,la cui non esitò a dirmi contestuali parole. " Visto le tue nuove circostanze Gregori, abbiamo pensato che in fondo in fondo un letto così grande non ti servisse, senza una gamba può andarne benissimo anche uno per i più piccolini no, abbiamo quindi ritenuto opportuno passarlo a tuo fratello Serghei che a breve entrerà nella puberta e sai quanto sporadicamente crescono i ragazzini, lo hai fatto pure tu" Il ragionamento era sensato, in effetti non era neccessario tutto quello spazio per uno storpio, anche se più stretto avrebbe fatto il suo lavoro:" Lo capisco" mi limitai a rispondere.

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