NEI GIORNI BELLI, NEGLI ANNI BRUTTI

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"Signori Smirnov, la terapia non sta funzionando, il cancro si sta spargendo. Se non agiamo per tempo vostro figlio perderà la vita. Vi restano solo due opzioni o procediamo rimpiazziando il ginocchio o bisogna amputare la gamba"

Il ritorno in macchina fu molto silenzioso, e la situazione in casa non dava segni di miglioramento. Nostra madre piangeva lacrime amare tutto il pomeriggio mentre nostro padre se ne stava con la pipa spenta in bocca a fissare il vuoto dalla scrivania della camera da letto.

Ci vollero dei giorni prima che la vivacità per cui era tanto conosciuta casa Smirnov cominciasse a rifiorire. Il primo a rompere questo silenzio fu Ivan con una nuova poesia da imparare per la scuola, poi seguirono gli altri bambini e infine cedettero i nostri genitori che disperati dal disordine e il trambusto lasciato non aveva altra scelta che darsi alle urla. C'era una strana correlazione tra il rumore e la passione, non a caso questa nuova ondata di suono accompagnò l'arrivo di libri per comprendere quale delle due scelte sarebbe stata la più vantaggiosa. L'orso bruno si rimpossessò della possenza della sua figura e le lunghe giornate passate a fissare il vuoto si trasformarono in interminabili ore di studio per approcciarsi alla medicina e alle risposte che essa poteva fornirci.

A casa Smirnov uno sapeva che un meccanoso proggetto del grande orso era giunto a sua termine quando i bragliti di quest ultimo destabillizavano l'intero ambiente. E proprio così quel libretto di appunti venne lasciato cadere sulla tavola della cucina, a quella mossa teatrale noi poverelli guardavamo sempre con una certa curiosità l'oggetto esposto senza mai avere il coraggio effettivo di toccarlo. Allora si sedeva pure nostro padre che ce ne leggeva il contenuto da guida benevola che era e noi zitti, come dei bambini che ascoltano la favoletta della buona notte drizzavamo le orecchie per cogliere le briciole del sapere che ci stava affidando.

"Ma quindi a nostro figlio conviene rinunciare alla sua gamba?" Nostra madre aveva uno sguardo incerto certamente non le piacevano le parole che sentiva ma se avrebbero permesso a loro figlio di fare mille altri respiri spensierati non si sarebbe mai permessa di negargli questa possibilità.

"Corretto. Se si facesse sostituire il ginocchio con quello di un altro, perderebbe la fluidità dei movimenti e non sarebbe in grado di vivere la vita sportiva che ha sempre voluto. Stanno sviluppando nuove tecnologie che darebbero la possibilità al nostro Gregori di condurre una vita serena e attiva anche senza la presenza di un arto". Ogni singolo membro della famiglia aveva capito quale fosse il dilemma e come per tradizione la decisione venne fatta attraverso il voto comune. Io non ero sicuro di che fine avrei voluto che incontrasse questo arto ma di una cosa ero certo. Mi fidavo delle decisioni portate a compimento assieme. Alla fin fine l'unità faceva la forza e anche in questo caso non sarebbe stato differente. Per alzata di mano si decise che fine dovesse fare questo arto, io non essendone sicuro mi astenni e vinse l'amputazione.

Qualche settimana dopo mi trovavo in una stanza completamente sterilizzata con un telo bianco a coprirmi le membra, avevano finito tutte le analisi era il momento di passare all' operazione. Nostra madre sedeva vicino al letto e mi stringeva la mano :"Andrà tutto bene Gregori vedrai che la tua vita tornerà ad essere meravigliosa". Ne ero certo alla fine non c'era nulla di impossibile quando tutti si mettono in comune accordo per un fine condiviso.

Il medico che ormai seguiva il nostro caso da diverse settimane venne a controllare come stesse andando la saturazione, i livelli di sodio, a che punto fosse l'anestesia. Mi sentivo sonnolento e già davo i numeri e quella fu l'ultima volta che vidi la mia gamba sinistra.

"Come si sente signorino Smirnov" Aprii gli occhi e mi guardai intorno eravamo solo io e il medico che mi scrutava come se volesse raggiungere con lo sguardo ogni singolo angolo della mia persona. Non appena riuscii a focalizare bene lo sguardo mi accorsi che non mi avessero sottratto l'arto ma fosse ancora dove era sempre stato.

"Cos'è successo Dottore? Sono miracolosamente guarito?" mi alzai di fretta a togliere le lenzuola e uno sguardo di orrore mi pervase.

"Non c'è niente"

"Non c'è niente"

"NON C'È NIENTE"

Il panico, mi pervase il panico. No anzi tristezza. No anzi rabbia. Hanno tagliato la mia gamba, dannazione sono storpio. Una forza animalesca mi pervase e iniziai a ruggire a chiunque mi si avvicinasse, avevo un vaso sul tavolo accanto. Quel verme di un dottore se la rideva mentre noi poverelli stavamo qui a morire. La loro stupida terapia fallita mi aveva rovinato la vita. Questi decapestrati stanno qui a guardarci e non si impegnano per farci migliorare, una volta mi sono ammalato e quell'unica volta ci ho rimesso parte della mia anima.

"Quest'istituzione è il demonio!"

"Ladri del cavolo!" non so bene cosa mi passò per la testa ma se non fosse per la mano del grande orso bruno che mi strizzò il polso fino a farlo diventare paonazzo il nostro medico ci avrebbe lasciato le penne. Aveva uno sguardo severo, di dispezzo, gli occhi di uno che guarda un brutto uccelaccio che gli ha portato via il raccolto migliore. Cosa mi stava succedendo, da dove veniva tale collera, quello non ero io. Mille mani mi stavano addosso e mi fasciavano, una donnetta con una siringa in mano si avvicinava alla mia flebo

"No... mi dispiace...io ...non.." e fu buio di nuovo.

MioWhere stories live. Discover now