UNO PER TUTTI

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"Ricordati, riscalda bene i muscoli e guarda dritto di fronte a te. Non ti sbilanciare troppo. Buona fortuna Gregori, rendi fiera la nostra nazione".

Il casco mi stringeva la testa mentre le parole della signorina Kozlov mi molestavano i pensieri come un disco rotto, mi sembrava di sentire nostro fratello Ivan ripetere quella maledetta filastrocca che tanto gli piaceva. Mamma, già lo vedevo girare per la tavola della cucina

"tutte le foglie da un unico ramo,

Tutti i fiumi in un solo mare,

Tutte le forze in un solo braccio.."

E non gli potevi urlare :" Ivan, stai zitto!" che ti rispondeva :" La nostra maestra ci ha detto che dobbiamo impararla a memoria!". Lui già la conosceva bene, non era l'ebbrezza di avere finalmente anche lui un'uniforme per andare a scuola che lo divertiva, bensì il concetto di unità che tanto faceva impazzire i nostri cittadini. La nostra nazione, il nostro lavoro, i nostri studenti, i nostri futuri, non c'era cosa migliore se non quella di sentirsi parte di una comunità, questo, Ivan ,lo sapeva bene e non smetteva di starnazzare per la cucina quelle parole unitarie, finalmente era anche lui parte di un gruppo e lo ero pure io. L'orgoglio del nostro paese dipendeva solamente da come sarebbe andata questa gara.

"Guarda dritto di fronte a te.." Miss Kozlov tralasciava sempre le parti più importanti delle frasi, era una cosa che la contraddistingueva da qualsiasi altro allenatore olimpico che avessi mai avuto. Lei si fidava dei suoi atleti e la loro discrezione nell'autogestirsi per arrivare ai propri obiettivi.

"Obiettivi" mi dissi a fior di labbra, dovevo guardare dritto al nostro obiettivo, il traguardo.

Scoccò il colpo di pistola e come per magia ero seduto sul sellino della bicicletta pedalando come un matto. Il vento mi tagliava i capelli e sia benedetta l'anima che ha inventato gli occhialini per i ciclisti che mi permettono di vedere il nostro tanto bramato arrivo.

Questa bicicletta ce la regalò lo Stato, poco più di sei mesi fa. Stavo in stanza da letto a studiare per un compito di fisica che avremmo sostenuto il giorno successivo quando sentii rimbombare per le pareti il vocione da orso bruno di nostro padre :"Svelto Gregori, ti cercano!". A casa nostra c'era un serio problema con le pantofole, quando ti servivano non ne trovavi mai un paio dello stesso colore, ma se la sorte stava dalla tua parte una babbuccia era sinistra e l'altra era destra. Io quel giorno non ebbi quella fortuna, e che gran vergogna ritrovarsi davanti a guardie di Stato con due ciabatte destre dello stesso colore di un albero natalizio.

Nostro padre mi lanciò uno di quegli sguardi che la dicevano tutta :"E che figuracce ci fai fare, figlio nostro!" Ma non fu nemmeno necessario lo sguardo accusatore perché il volto mi si tinteggiasse di un rosso più accesso del rosso della pantofola sinistra, beh, destra sul piede sinistro. Un colpo di tosse soffocato, riportò l'attenzione di tutti i presenti al motivo effettivo per cui ci trovavamo nel nostro cortile a discutere.

"Il qui presente Gregori Smirnov è stato selezionato per partecipare alla gara di ciclismo olimpico. Lo Stato vi è riconoscente del vostro servizio e vorrebbe agevolarvi con il dono di una bici alla famiglia Smirnov, così arriverete preparati alla competizione." Ed era proprio bella, rossa come la pantofola. Non so se fosse per la felicità di poter rappresentare il nostro popolo o per la generosità del Governo, ma avevo un sorriso così ampio in volto da sembrare un brutto asino, come diceva nostra madre quando con le nostre marachelle la facevamo adirare. La collera a quella povera donna impaffuttiva i ricci già gonfi, i quali parevano dei pelmeni buttati nell'acqua bollente che dopo pochi secondi già erano raddoppiati di taglia.

"Vi ringraziamo di questo dono, lo tratteremo con rispetto" dette queste parole i due si congedarono e come una mandria di Yaroslavl i nostri fratelli si fiondarono nel giardino a toccare il nuovo arrivato.

"Fermi!" Disse l'orso bruno. "Questo è un oggetto molto delicato di cui è concesso l'utilizzo solo al nostro Gregori. Con questa nuova bicicletta porterà onore a tutto il popolo". Onore e popolo, le uniche due parole che avrebbero messo a riposo qualsiasi cittadino, persino quelli più irruenti come nella famiglia Smirnov.

Amavo quella bici, la tenevo come un piccolo gioiello, aveva uno spazio riservato nella nostra rimessa. La guidavo ogni giorno che ci fosse la neve, il vento, la pioggia era indifferente, lo Stato ci aveva fatto un regalo e io non potevo darlo per scontato, ci era stato affidato il compito di mostrare al mondo la grandezza del nostra gloriosa nazione. Fattesi le cinque di pomeriggio, il cielo era già buio ma non era buona scusa per non pulire questo gioiellino, passare un po' di olio sulla catena e assicurarmi che fosse sempre nella migliore delle condizioni. Se si bucava una ruota, allora ci rimanevo fino alle dieci di notte a riparare qualsiasi piccolo buchino e dare un "bacino passa bua" nel punto in cui un sassolino aveva bucato la camera d'aria, eh si mi ero proprio innamorato di questo gioiellino.

Miglioravo a vista d'occhio cosicchè la signorina Kozlov iniziò a dubitare del fatto che io fossi un essere umano come tutti gli altri, ed accipicchia se ero diventato bravo anche se iniziava a gonfiarmisi il ginocchio e il dolore aumentava di giorno in giorno ero pur sempre il primo in classifica: se non mi avesse fermato il dolore, cosa mai mi avrebbe potuto separare dall'amata sella?

"Vai Gregori! Vai!" avevo il sangue alla testa e il cuore mi batteva all'impazzata, mancava pochissimo alla vittoria, gli incitamenti del nostro popolo mi davano speranza, ma ero comunque dietro a Smith. Le mie gambe quasi non le sentivo da quanto pedalavo veloce, eppure non era abbastanza. Sentii allora un dolore lancinante allo stesso ginocchio che non mi aveva dato un minuto di tregua per questi mesi di allenamento. Il fiato iniziava a farsi pesante e la meta sembrava ormai lontana, dannazione stavo per perdere. Cercai di dare il massimo, ma c'era veramente qualcosa che non andava sembrava che qualcuno mi avesse gettato del gasolio sulla gamba e ci avesse appicato fuoco. "Vai, Gregori, vai!" Le urla della folla mi sembravano ormai così distanti, mancavano solo duecento metri. Mi sentivo come un leone in gabbia, mancava pochissimo e già ero qui che mi immaginavo di perdere.

Non ce la facevo e per un secondo gettai lo sguardo alla bici rossa che stavo pedalando:"Ma cosa stavo facendo? Il governo ha avuto fiducia nelle mie capacità, mi ha offerto le lezioni di preparazione con la signorina Koslov, ci ha regalato il gioiellino, se avessi mollato adesso allora non sarei stato degno di mostrare mai più il volto alla nostra nazione". Fu in quel momento che sentii quelle catene che mi avevano trattenuto fino a pochi istanti prima spezzarsi rovinosamente. Mi sentivo un dio, come se avessi potuto compiere qualsiasi azione con la sola forza del pensiero.

"Per la gloria e per l'onore del nostro popolo!" e ci fu silenzio.

Grida di gioia riempivano il velodromo, sentii un peso opprimere il petto "Il nostro Gregori ce l'ha fatta" erano mamma, papà e i piccoli che mi abbracciavano e allora capii. Avevo vinto. In quel momento però il ginocchio non resse più e fui travolto dal dolore.

MioWhere stories live. Discover now