capitolo 19

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Erano due settimane che non vedevo quegli occhi e mai come in quel momento mi sembrarono perfetti. Indossava una maglia con una stampa e dei jeans strappati eppure non potevo fare a meno di pensare che, anche vestito così, avrebbe potuto fare invidia agli attori da Oscar.

"Ti accompagno a scuola a piedi, così parliamo un po'." "Sam, non posso camminare troppo, mi porta mio padre in macchina." Sussurrai senza voce. Lui si avvicinò a me, le sue mani vagarono sulle mie guance e poi si fermarono sul mio collo. Quel contatto mi fece rabbrividire nella mia felpa. Fece un altro passo verso di me, le nostre scarpe si toccarono con le punte e la mia pelle si infuocò.

Una lacrima solitaria scese inumidendo le mie ciglia poi lui rapido, la catturò con un bacio sul mio zigomo, e in quel momento sentii che non m'importava se mi faceva piangere, se dopo mi baciava le lacrime.

"Parliamo a scuola, va bene?" Disse con un piccolo sorriso. "Okay."
Fortunatamente mio padre uscì dalla casa nello stesso istante in cui Sam girò l'angolo sparendo così dalla nostra vista e permettendomi così di non subire un vero e proprio terzo grado. Papà non mi rivolse la parola per tutto il viaggio e stringeva il volante con tanta forza da avere le nocche bianche: era arrabbiato. "Dopo scuola ti vengo a prendere e stai nella tua stanza, non puoi uscire, nemmeno con Sarah e Abby, non voglio altri nipoti indesiderati." Disse dopo aver parcheggiato davanti ai cancelli della scuola. Non scesi dall'auto, tanto eravamo in anticipo. "Eri sempre stata una figlia perfetta, non capisco cosa è successo alla mia piccolina. Alla tua età dovrebbero piacerti i cagnolini, non le parti intime dei ragazzi. Chissà quante altre volte hai rischiato con altri ragazzi. E io che me ne stavo tranquillo a sapere che eri in giro con le tue amichette. Ma proprio adesso che io e tua madre stiamo divorziando? È una sorta di punizione?" Divorziando? D'un tratto mi mancarono le parole. E il fiato. E la voglia di respirare.
"Tu e mamma.. cosa?" "Merda, aveva detto che te lo avrebbe detto lei. Non l'ha.. Che stai facendo?" Ero uscita e mi stavo dirigendo verso il portone della scuola.
Di nuovo, in quella settimana, stavo piangendo a dirotto.
E non c'era nessun Samuel George Claflin a consolarmi.
Il cortile interno cominciò a riempirsi di ragazzi e ragazze in piccoli gruppi e vidi da lontano Logan Daniel e Theo che chiacchieravano con Abby e Sarah e ridevano felici.
Ahia, questa faceva male, vederli felici senza di me faceva male. Mi avviai verso l'ingresso solo quando udii suonare la campanella, e mi sentivo osservata; gli occhi di tutti erano puntati verso di me scrutandomi e giudicandomi anche senza parlare, anche senza conoscermi, senza sapere chi ero. Per loro ero solo la ragazza stupida, quella che si era fatta mettere incinta da un ragazzo.

"Campbell!" sentii urlare, e mi girai.

Alex Pettyfer mi corse incontro e mi abbracciò con un sorrisone sul volto. "Ehi, Alex." Dissi con la guancia sul suo petto. "Sono giorni che non ti vedo in giro, ero preoccupato." "Uh, sono stata in ospedale, per un problema, sai... il bambino.." "Oh... certo. Va meglio adesso?" "Sì, solo che non posso fare sforzi, non posso correre, non posso fare un passo senza che mio padre non mi tenga d'occhio. In pratica per lui sono diventata una prostituta da quando ha scoperto che..." "Sono sicuro che non è così, dai entriamo." Annuii e lui appoggiò un braccio sulle mie spalle, come a proteggermi dagli sguardi delle persone. E in particolare dagli sguardi di quelli che erano stati i miei migliori amici. Feci scorrere una mano intorno alla sua vita e lui mi rivolse un mezzo sorriso guardandomi con quegli occhi verdi.

Avevamo parlato una volta sola eppure mi sentivo piú protetta che con i miei amici di una vita.

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