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Era il decimo giorno da quando era stato ricoverato.

Quel giorno avrebbe inziato la terapia di gruppo.

Questo lo rendeva estremamente nervoso.
I gruppi gli avevano sempre messo moltissima ansia, e il fatto che avrebbe dovuto parlare dei suoi problemi con degli sconosciuti non aiutava di certo la situazione.

Probabilmente avrebbe anche dovuto parlare del suo tentativo.
Il peso sul petto si fece più pesante.

Probabilmente tutti coloro che erano lì avevano una vita di merda.
Famiglie abusive, orfani o persino gente che veniva dalla strada.

E lui? Lui non aveva questi problemi.
Anzi poteva dire di avere una bella vita, amici, una bella famiglia, una casa.

Eppure non trovava la ragione per vivere.
Per questo ci aveva provato.

In effetti doveva ammettere che dopo l'incontro con Tsukkishima, l'istinto di provarci di nuovo era tornato.
Ci aveva pensato molto, aveva riflettuto su tutti i metodi possibili, ma si dovette arrendere.
Quel posto era completamente a prova di suicidio.

Il che, ovviamente, era un bene.
Ma si sentì comunque frustrato.

I suoi genitori gli avrebbero fatto visita tra quattro giorni.
Non voleva assolutamente vederli.

Da quando era andato via di casa si sentiva in qualche modo, sollevato.
Non doveva più sopportare lo sguardo pieno di dolore della madre, o quello preoccupato del padre, e neppure quello deluso della sorella.

Miwa ancora credeva che fosse stato esagerato.
Lo aveva chiamato egoista quando lo avevano riportato a casa dalla stazione di polizia.

Lui non aveva risposto.
Era strano, era da tanto che una persona non riusciva a ferirlo
Ma quelle parole gli avevano fatto male.

Egoista? Probabilmente lo era.
Se non ci fosse stata Nami a fermarlo, non avrebbe dovuto sentirsi in colpa per questo.

Non riusciva a capire se era grato o no alla donna.

Di certo avrebbe preferito morire, eppure era ancora lì.

Si costrinse ad alzarsi dal letto su cui era stato disteso per decisamente troppo tempo.
Stava sdraiato sul letto a fissare il vuoto, dopotutto non hai molte alternative se l'unico intrattenimento possibile si trova al di fuori della tua stanza, e se richiedebbe di interagire con altre persone.

Si mise a sedere passandosi una mano tra i capelli, gli faceva male la testa.
Anche quel giorno era uscito dalla stanza solo per i pasti.
Probabilmente nella stanza si era creata la famosa 'aria viziata', e soprattuto l'ossigeno nella stanza doveva rimanere davvero poco ossigeno.

Doveva puzzare.
Lui e la stanza.
Non aveva idea dell'ultima volta che si era lavato.

Il secondo giorno era stato informato del fatto che si sarebbe potuto fare la doccia solamente con una persona presente nella stanza, per prevenire tentativi di affogamento con l'acqua.

Ovviamente aveva rifiutato, non c'era assolutamente nessun modo in cui si sarebbe fatto vedere nudo da uno sconosciuto.
Soprattutto con il corpo patetico che si trovava.

Aveva optato per la seconda opzione che gli diedero, un panno umido che avrebbe passato su tutto il corpo.
Di sicuro un'opzione discutibile, ma meglio della prima.

Guardò l'orologio fissato sopra la parete.
Tra dieci minuti avrebbe dovuto essere al piano di sotto nella stanza degli incontri.
Conosceva la strada? Assolutamente no.

In effetti, non conosceva per niente la struttura dell'edificio.
Sapeva che era un ospedale e che aveva un reparto di psichiatria, ma non aveva altre informazioni.

Si alzò dal letto e dovette stare fermo per almo due minuti, la testa aveva preso a pulsargli e la stanza a girare.
Dopo aver fatto stabilizzare la stanza, prese un bel respiro e uscì.

Vagò un po' nei corridoi e, quando trovò delle scale scese; fu immensamente fortunato poichè trovò un cartello con le indicazioni per trovare la stanza della terapia di gruppo.
Le studiò e dopo non molto trovò una porta bianca con i brodi di metallo e un cartello attaccato con dello schotch, che recitava le parole "ufficio del dottore... terapia di gruppo", il nome dello psicologo era sbiatito.

Prese un respiro profondo e abbassò la managlia.
Entrò nella stanza e vide una ventina di ragazzi seduti in cerchio.
Subito, si sentì a disagio.
Tutti lo guardavano.

Un uomo dai capelli bianchi si alzò.
<Kageyama Tobio, giusto?>
Lui annuì.
<Benissimo! Siediti pure stiamo per iniziare>

Annuì di nuovo e trovò un posto vuoto tra un ragazzo dai capelli neri e una ragazza bionda.
Si guardò intorno e notò la ragazza del giorno prima e persino il ragazzo con le lentiggini, notò anche che c'erano
altre due sedie vuote.

L'uomo dai capelli bianchi si guardò intorno e sospirò.
La porta si aprì di nuovo e Tuskkishima entrò.
<Kei, devi essere puntuale>
<Scusa>

Senza dire niente si sedette vicino al tizio dai capelli verdi.
L'uomo sorrise.
<Molto bene, per oggi siamo tutti, Tendou non si unirà a noi>
Ci fu un sospiro di sollievo generale, Tobio iniziava a chiedersi cosa avesse fatto quel ragazzo per essere fatto odiare così tanto.

<Visto che oggi abbiamo un nuovo compagno, mi presenterò io e poi ti presenterai al resto del gruppo>

L'uomo si girò verso di lui.
<Mi chiamo Koushi Sugawara, sono uno psicologo, e responsabile della terapia di gruppo è un piacere averti con noi>
Sorrisse.
Tobio ne rimase sorpreso.
Non era uno dei ragazzi che partecipava alla terapia?
Eppure sembrava... Giovane.
Avrebbe avuto massimo venticinque anni, di sicuro non superava i trenta.

<Tocca a te>
<La ringrazio...>
<Dammi del tu, qui non vogliamo troppe formalità, voglio che tu ti senta completamente a tuo agio>
Sugawara gli sorrise, aveva un'aura decisamente solare.
<Ah.. Grazie>
Raccosce le forze e iniziò a parlare.
<Mi chiamo Kageyama Tobio e ho diciassette anni>
<E perché sei qui Tobio?>

Esitò un attimo prima di rispondere ma prese comunque un respiro profondo e rispose.
<Ho provato a suicidarmi>

Stranamente, o forse come al solito, non ci furono reazioni particolari, persino Sugawara anni semplicemente alle sue parole.

<Molto bene, Tobio, sappi che questo è un ambiente sicuro di cui possiamo parlare di tutto, ovviamente quello che tutti voi direte qui, non verrà a conoscenza di nessuno oltre ai presenti, quindi ti prego di sentirti libero di parlare nel modo in cui ti senti più a tuo agio>

Facile da dire, pensò Tobio.
Aggrottò la fronte, non ci credeva neanche lontanamente, di sicuro qualcuno avrebbe parlato al di fuori dell'aula.

<E soprattutto che non sei solo, ci sono molti ragazzi nella tua stessa situazione>
Sorrise di nuovo in direzione del ragazzo.

Quanta forza mentale doveva avere quell'uomo per essere circondato da ragazzi suicidi, e comunque sorridere?

<Iniziamo pure, in senso orario, parliamo dei progressi di questa settimana, e già che ci siamo presentatevi, così Tobio potrà conoscervi tutti>

Riprese il giovane psicologo.
<Tadashi, inizia tu>

Il ragazzo dai capelli verdi e con le lentiggini sussultò.

𝐏𝐚𝐫𝐨𝐥𝐞: 1111

𝐼𝑙 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑖 𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒 - 𝑲𝒂𝒈𝒆𝒉𝒊𝒏𝒂Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon