1

34 3 0
                                    

Tobio era seduto al tavolo della mensa.
Guardava con disgusto il piatto davanti a sé.
Pasta al pomodoro, non gli era mai piaciuta.

Dopo aver passato i primi cinque giorni in isolamento, gli era stato dato il permesso di unirsi agli altri pazienti.

Gli avevano spiegato che l'isolamento serviva per assicurarsi che non si sarebbe fatto del male o attentato nuovamente alla propria vita.
Era stato cinque giorni in una stanza con un'infermiere che lo sorvegliava.
La stanza era piccola, la porta del bagno non esisteva, dovevano assicurarsi che non avesse provata a fare qualcosa mentre era in bagno.
Le finestre erano sbarrate, e la porta apribile solo con una tessera posseduta dallo staff.

Di solito l'isolamento era di sette giorni, ma dopo l'incontro con lo psichiatra era stata fatta un'eccezione.

Il terzo giorno di isolamento, un uomo sui quarant'anni era entrato nella sua stanza.
Tobio non lo guardò.
Gli aveva fatto molte domande, inaspettate.
Si aspettava gli avesse chiesto perché aveva provato a suicidarsi, erano domande sul resto della sua vita.

Quando se ne era andato, si era sentito strano.
Il sesto giorno l'infermiere lo aveva accompagnato in un'altra stanza.
Uno studio.
Lì aveva parlato di nuovo con il signore.

Gli aveva diagnosticato un disturbo depressivo.

Tobio già lo sapeva, o meglio, sospettava.

Era in terapia da due anni, la sua psicologa glielo aveva detto, lo voleva far diagnosticare, ma lui si era rifiutato.
A cosa serviva la conferma se lo sapeva già?

Nonostante questo, sentirselo ebbe un effetto strano su di lui.

Lo psichiatra gli spiegò che era stato dimesso prima dall'isolamento perché non era stato un tentativo che aveva portato danni fisici.

Non aveva mai commesso autolesionismo, non era ferito, l'unica cosa che non andava era il suo cervello.

Quando uscirono, l'infermere gli disse che lo avrebbero trasferito in un'altra stanza e che avrebbe iniziato la terapia di gruppo.

Era anche il motivo per cui era in quella mensa.
Si poteva mangiare solo a orari specifici, e solo insieme agli altri.

Lo odiava.

In quei due giorni non aveva parlato, aveva studiato gli altri.

C'era una ragazza che gli ricordava se stesso.
Aveva i capelli marroni, e un fisico fragile, come se si stesse per spezzare.
Non parlava, sembrava quasi che avesse un coltello puntato alla schiena.

E un ragazzo, che non aveva mai visto toccare cibo.
Non sapeva chi fosse.
Aveva i capelli verdi, le lentiggini e uno sguardo sempre spento.
Sconsolato ogni volta che guardava il cibo.

In fondo non tutti quelli che erano lì, avevano attentato alla propria vita.
Tutti potevano essere lì per milioni di motivi.
E lui probabilmente era lì per un problema alimentare.

Tornò a guardare il suo piatto.
I suoi genitori lo avevano chiamato il giorno prima.
Gli avevano chiesto come stava, se pensavo che stesse migliorando.
Gli avevano detto che non potevano vederlo fino a due settimane dall'avvio nel programma.

Ancora tre giorni e avrebbe iniziato la terapia di gruppo.
Non voleva farlo.
Aveva sempre avuto difficoltà a parlare con la sua stessa psicologa.
Non ce l'avrebbe mai fatta ad aprirsi con più persone.
Fortunatamente avrebbe seguito un percorso individuale con uno psicologo contemporaneamente.

Quanto sarebbe rimasto lì?

Gli era sempre piaciuto starsene in disparte, a osservare.

Ma dopo un settimana, era come se si sentisse solo.

Non aveva parlato con nessuno, non conosceva nessuno.

Ma nessuno si era avvicinato a lui allo stesso tempo.

Vedeva tante persone in quella mensa, ma nessuno parlava.
Nessuno sorrideva.

Erano tutti estranei tra di loro.

Si guardò intorno.
Tanti di quei ragazzi avevano delle cicatrici.
Alcuni persino delle bende.
Se le erano procurate da soli?

Guardò le sue braccia.
E lui?
Perché non lo aveva mai fatto?
Perché tentare di togliersi la vita ma mai di ferirsi?

Non ne aveva idea.
Cosa lo aveva trattenuto?

Mentre pensava un ragazzo si avvicinò a lui.
Lo guardò.
Era alto e biondo, aveva gli occhiali.

<Come ti chiami?> gli chiese.
<Kageyama Tobio> rispose, rimanendo sorpreso alla sua stessa voce, non la sentiva da giorni ormai.

<Perché sei qui?>
<Tentato suicidio>

Il tizio alto torse il naso.
<Fai schifo>

Tobio lo guardò male.
<E tu chi cazzo sei per dirmelo>

L'altro lo guardò ridendo.
<Io posso fare quel cazzo che mi pare, io sono meglio di tutti quelli che sono qui dentro>

<E in che modo saresti meglio di me?> Tobio lo guardò freddo.

<Io non ho provato a togliermi la vita>
Disse sedendosi in fronte a lui.

<E allora perché sei dentro?>
<Dipendenza da sostanze>
<E questo ti rende meglio di me?>
<Sì, non ho provato a suicidarmi>
<Non ho provato a drogarmi>

L'altro lo guardò schietto.
<Touché>

<Come ti chiami?> chiese Kageyama.
<Tsukkishima Kei> gli tese la mano.

L'altro la strinse.
<Da quanto sei qui?>
<Un mese, tu?>
<Sette giorni>

<Quindi non hai ancora visto niente>
<Che intendi?>

Tsukkishima rise.
<Siamo in un reparto di psichiatria, ti rendi conto che qui la gente non è normale vero?>

Tobio annui.
Se lo immaginava, ma si chiese: quanto poteva essersi perso?
Cosa non aveva ancora visto?

<Finché resterai qui?> chiese al biondo.
<Tre mesi, tu?>

Tobio si ammutolì, quanto sarebbe rimasto lì?
Come poteva saperlo? Era arrivato solo da una settimana.

<Non lo so>
Tsukkishima lo squadrò dalla testa ai piedi.
<Hai già parlato con lo psichiatra?>
<Sì>
<Ti hanno diagnosticato qualcosa?>
<Disturbo depressivo>
<Ti tengono qui finché ti curano> dichiarò Kei giocando con una forchetta che teneva in mano.

Tobio non rispose.
Lo guardò semplicemente giocare con quell'oggetto.

<Cosa non ho ancora visto?> chiese poco dopo.
L'altro sorrise.
<C'è un tizio>
Fece una pausa.

<Tendou Satori, stagli alla larga.>
<Perché?>

Tsukkishima rise.
<Hai presente cos'è un maniaco psicopatico?>
Annuì.

<Lui è l'esatta definizione di questo>
Tobio lo guardò confuso.
<Ha aggredito diverse persone da quando è qui, spesso lo devono legare al letto e sedarlo>
<Davvero?>
<È qui da quattro mesi>
Tobio ne rimase sorpreso.

<Posso farti una domanda>
<L'hai appena fatta>

Ignorò la risposta.
<Quanti anni hanno le persone qui?>
<Dai quattordici ai diciotto>

Il biondo si alzò dal tavolo.
<Ci vediamo alla seduta di gruppo>
Se ne andò.

Parole: 1018

𝐼𝑙 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑖 𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒 - 𝑲𝒂𝒈𝒆𝒉𝒊𝒏𝒂Where stories live. Discover now