Accanto a lui apparve Max, fratello della vittima. I suoi capelli biondi e ricci ondeggiavano alla brezza leggera, gli occhi azzurri, determinati ma pregni di tristezza, erano focalizzati in un punto vuoto dell'orizzonte. La barba folta, che di norma incorniciava un viso virile e gioioso, si impossessava in segreto di quelle lacrime abbondanti che gli rigavano le guance paffute, partorite dalla disperazione e che davano voce al baratro interiore in qui si trovava.  Poi si asciugò gli zigomi con il dorso della mano, cercando di trattenere l'emozione che minacciava di travolgerlo ma non ci riuscì. Con gesto deciso, chiuse l'ombrello che lo riparava dal temporale e si accasciò per terra. Si coprì la faccia e si lasciò risucchiare dal patema dell'animo. 

Dave si inginocchiò di fianco a lui e lo sostenne con il suo corpo. Con la respirazione affannata, cercò di confortare il suo migliore amico, vestendolo della sua stretta. Aggrottò le sopracciglia, le labbra tremarono impercettibili mentre continuava a ripetergli come un mantra che tutto sarebbe ritornato al suo posto. 

Max alzò le iridi brucianti verso l'altro; una sottile traccia di muco scendeva dal suo naso arrossato, i sospiri profondi e interrotti si accordavano con la sua angoscia. Con l'espressione carica di una preghiera silente, depose in lui la sua fiducia. 

Insieme, si rialzarono per assistere alla fine dei riti cerimoniali.

Il prete lesse il Salmo ventitré e concluse le onoranze funebri. I presenti si diressero con le loro macchine alla residenza del defunto per proseguire la commemorazione della giovane con cibo e bevande.

La modesta dimora dei Morris rifletteva il duro lavoro e le fatiche fatte nel corso degli anni. Situata in un quartiere tranquillo ai confini di Manhattan, la casa aveva un aspetto semplice ma accogliente. Le pareti, dipinte di un giallo ormai scolorito, mostravano i segni del tempo, mentre il tetto di tegole color mattone proteggeva con fierezza i proprietari dal sole cocente e dalle intemperie. All'interno, mobili pratici e di seconda mano occupavano lo spazio, mentre numerosi vasi artigianeschi punteggiavano l'ambiente, conferendo alla sala una spiccata singolarità. Il divano del soggiorno, dalla pelle un po' usurata, testimoniava le molte serate trascorse a guardare la televisione insieme. Il tavolo da cucina era il punto focale delle riunioni e delle cene di famiglia. Su un armadietto, colmo di immagini e disegni, delle piccole fotografie dei figli li sorridevano, ricordando loro il motivo di tutti quei sacrifici. La camera di Melanie era un rifugio di speranza e ambizione. La vecchia scrivania, ingombrata di libri e appunti, raccontava di lunghe notti passate a studiare per il college. Nonostante le difficoltà finanziarie e il mutuo salato, la loro casa era satura di fede e d'amore. Ogni centesimo risparmiato, ogni ora di straordinari, era stato investito nel futuro della loro prole.

Rick e Hannah iniziarono a mostrare gli album e i video della figlia minore.

 Dave arricciò la fronte; il telefono nella sua saccoccia aveva incominciato a vibrare con energia, perciò si mise in disparte per rispondere alla chiamata. Raggiunse il corridoio vuoto e si appoggiò a un lato della finestra, alla ricerca della giusta privacy per poter conversare nella calma. Poi afferrò l'aggeggio e rispose con tono soffocato. 

Dall'altro capo della linea, Markus si scusò per l'interruzione e lo informò sul motivo dello squillo. «L'equipe di Elias e Ramon mi ha dato una mano a controllare i messaggi e i tabulati telefonici degli ultimi mesi di Melanie...»

Dave sussultò in balia di una lieve euforia, ogni scoperta era un passo per completare il puzzle; lo lasciò parlare.

Il collega tossì leggermente e annuì con fierezza: «I messaggi sono stati rintracciati fino a un individuo di nome Levis Cage, ma procedendo nell'indagine, ho scoperto che non si trattava affatto di un ragazzo. Il numero associato ai messaggi ha lo stesso indirizzo IP del cellulare di Celine Brooke. È possibile che Melanie abbia scoperto la tresca, il che potrebbe spiegare la sua reazione nelle videoregistrazioni. Spulciando nelle chat, sembra che ci sia stata tensione tra loro per un po'. Forse è scaturita una rivalità legata all'università», poi si passò una mano tra i capelli e aggiunse: «Sienna sta per interrogare di nuovo i genitori. In questo, lo sai che è la migliore.»

Dave serrò con tenacia la mascella e salutò di fretta e furia l'interlocutore. Tornò in soggiorno e comunicò a Max che sarebbe andato via prima del previsto. Doveva mettersi all'opera. Con la sua usuale camminata risoluta, pervenne al battente di legno per riedere al lavoro. Non poteva permettersi di oziare. Chiuse la porta alla sue spalle e digrignò i denti dall'ira. Si grattò il mento e iniziò a rimuginare sugli elementi che avevano raccolto fino ad allora. 

Sbuffò, fuori di sé. Montò sulla motocicletta e ripeté nella mente le parole di sua nonna: "Nell'abisso delle menzogne, l'uomo si perde sempre come una nave senza timone, trascinato dalle correnti oscure della sua falsità."

Afferrò le chiavi della sua Harley nera, intento ad accendere il motore, ma un odore acre lo colpì come un granello di sabbia nella cornea, fastidioso e persistente. Lamentandosi, scese dal due ruote e ispezionò la zona finitima con circospezione. 

Come un Bloodhound che bracca con l'olfatto le sue prede nei giorni più cruenti della caccia autunnale, così Dave seguiva quell'effluvio penetrante ma invisibile. 

Nonostante la sua investigazione attenta non trovò nulla di sospetto tra i veicoli parcheggiati sul ciglio del marciapiede. Tuttavia, il garage della famiglia Morris era aperto di appena dieci cinque centimetri, un'impercettibile fessura che non avrebbe dovuto esserci. Sopra il bitume, già umettato dal perpetuo acquazzone, si diffondeva una macchia dai toni scuri e viscosi come il catrame. La sua consistenza oleaginosa spiccava nelle pozzanghere e tracciava un percorso irregolare verso la via principale. 

Iniziò a giocherellare con il plettro del suo portachiavi, girandolo e rigirandolo nella tasca dei suoi pantaloni. Con passo attutito, si appressò all'autorimessa. Si chinò verso terra, le sue dita si protesero in direzione del liquido, ma prima che potesse toccarlo, un boato assordante squarciò l'aria.  

Un bagliore accecante lo colpì, e il mondo intorno a lui si dipinse di una sfumatura punicea. Il calore gli avvolse il corpo e i detriti si conficcarono nell'epidermide scoperta. Un impatto violento lo scaraventò all'indietro, contro la carrozzeria di un'auto parcheggiata. Le ossa vibrarono, e un respiro gli fu strappato via. 

L'esplosione avvolse l'abitazione in un turbine di fuoco e fumo, le fiamme divoravano i muri e danzavano furiose tra le stanze e le scalinate di legno. Il crepitio del fuoco risuonava come un gemito voglioso e vorace mentre le finestre scoppiavano sotto la pressione dell'incendio, proiettando schegge di vetro rovente ovunque. 

Il tempo si piegò su se stesso, e il buio lo inghiottì.

Prima o poi, come il canto del poeta, come l'eco dei dannati nell'averno, ogni peccato verrà condotto davanti al giorno del giudizio. 

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