Chi lascia la strada vecchia

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Rose Quartz custodiva una miriade di segreti, e Steven e la sua famiglia pian piano li svelarono tutti, uno dopo l'altro. Tuttavia, quando pensavano di essere finalmente liberi da lei, ecco che un ulteriore verità salì a galla, ma cominciamo dal principio per evitare di incasinarci ancora di più. Introduciamo una storia, la mia storia. Partendo da una comune domenica come tutte le altre.

Era il giorno della settimana che più preferivo, la domenica. Mi svegliavo con la consapevolezza di non avere nulla da fare, solo un bel riposo guadagnato dopo una lunga settimana di studio. Ma questa volta la musica cambiò, e mi svegliai con un forte peso sul petto. A quel punto mi guardai intorno, ancora stordita dal sonno, e notai l'immensa quantità di scatoloni da cui ero circondata. Solo in quel momento fui in grado di elaborare il tutto: era il mio primo giorno nella nuova città. Arrivammo a destinazione la sera prima, sul tardi, ed ero così stanca che non pensai nemmeno ad analizzare ogni meandro della nuova casa. Entrai in camera e mi buttai sul letto. Mi alzai con calma, senza la fretta di dover correre al piano di sotto felice per la colazione. Non c'era niente per cui essere felici oggi. Indossai le ciabatte, e scesi le scale grattandomi la testa e la schiena, con fare da rozza cavernicola. Fortuna che mamma si era arresa già in partenza, di fronte ai miei modi poco femminili. Al piano di sotto, finalmente dedicai un minuto del mio tempo nell'osservare la struttura della casa. Era bella, forse anche più grande rispetto a quella vecchia. Ma resta il fatto che ancora continuavo a chiedere il perché ci trovassimo lì, cosa eravamo venuti a fare? Stavamo bene, eravamo così felici nella piccola cittadina di Teryl, io avevo le mie abitudini, la mia compagnia di amici, i miei posti sicuri in cui potevo stare il pomeriggio senza che nessuno stesse col fiato sul collo. Dovevate vederla Teryl, era così florida, splendente, il paesaggio incantevole. E i bar, che dire dei bar, erano più delle persone. Ricordavo ancora il mio preferito, ci andavo sempre con mio nonno quando avevo solo sette anni. Era il bar più noto e malandato del posto, occupato specialmente da uomini un po' brilli. Molto probabilmente venivano lì per la proprietaria del locale, Denise, un'attraente donna dai biondi capelli ossigenati e il seno prosperoso. Ma io lo amavo con tutte le sue sfaccettature, e amavo anche Denise, che quando mi vedeva entrare mi offriva sempre il mio gelato preferito. Era un gelato sullo stecco a forma di anguria, se lo provassi adesso mi disgusterebbe per quel sapore di cocomero artificiale, ma in quei tempi era gustoso. E poi come dimenticare quell'assurdo giochino. Bastava infilare una monetina, girare, e in men che non si dica sarebbe uscita una gommosa pallina che puzzava di plastica bruciata. Ogni giorno imbucavo un soldino, e desideravo ardentemente quella pallina di colore rosa pallido, senza mai riuscirci. I miei genitori non mi diedero nemmeno il tempo di salutare per sempre quel Bar, chissà cosa starà pensando Denise in questo momento, sparire improvvisamente senza prima dire addio. Una schifezza. Ma i miei genitori sembravano così convinti, ancora mi domandavo cosa li aveva spinti a intraprendere una decisione così importante. Tuttavia alla fine cedetti, e anche abbastanza presto. In quel momento non importava più la sconosciuta causa di tutto quel viaggio. E non bisognava mai restare troppo attaccati ai ricordi del passato, avrebbe fatto ancora più male. Trovai la sala da pranzo dopo attente ricerche, e mi sedetti su una sedia di quel piccolo tavolo. Poco dopo mi raggiunse mamma con la mia tazza dai motivi floreali, quella che più preferivo. Solitamente bevevo caffè amaro con qualche biscotto ogni mattina, ma la caffeina cominciava a darmi delle martellanti fitte al petto, ed evitai il latte per l'acidità di stomaco. Per cui da quel momento optai per una tazza di thè caldo con un cucchiaio di miele, mi faceva stare bene. Guardai mio padre che nel frattempo sfogliava il giornale in religioso silenzio, portandosi alla bocca una fetta di toast leggermente bruciacchiato ai bordi. Io li tagliavo sempre i bordi, mi davano fastidio. <<Allora, quali sono i piani della giornata di oggi?>> Domandai sopraffatta dalla curiosità, cercando il lato positivo della situazione. Papà sollevò le spalle come a dire "non saprei proprio tesoro", me lo aspettavo, dopotutto non eravamo più a Teryl e io non conoscevo nemmeno il nome della nuova città. Mamma sfogliò il calendario con un ipnotico gesto della mano: <<Eve cara, oggi è il primo giorno di vacanza, puoi fare qualunque cosa tu voglia fare per quanto sia difficile per te staccarti dalle vecchie abitudini>>. Giusto, dimenticavo persino che fossimo arrivati al sette di Giugno. Avevo concluso il mio quarto anno di liceo, e sarei dovuta partire per un escursione con la mia amata 4 C, chissà se sarò mai in grado di rivederli ancora una volta. <<E quindi cosa dovrei fare?>>, <<esplora un po' le strade e i luoghi di questo posto, io e tuo padre purtroppo dobbiamo ancora svuotare tantissimi scatoloni>> sarei rimasta sola, mica male però. A me piaceva restare sola in compagnia dei pensieri interiori. Annuì e finì l'ultimo sorso di thè, dopodiché mi alzai dalla sedia e corsi a cambiarmi al piano di sopra. Abbigliamento estivo significava una classica maglietta a maniche corte e pantaloni larghi, un po' mi sarebbero mancati quegli outfit invernali così creativi. Tolsi la camicetta che usavo per la notte, e a quel punto mi guardai svogliatamente allo specchio, buttando lo sguardo sulla spalla destra. Lì avevo una voglia, o almeno così la chiamavano i miei genitori. Era una massa di medie dimensioni e forma circolare, di colore blu e con bianche striature intorno. Dubito che esistano voglie del genere. Eppure sono nata con questo mistero sulla spalla, e vi assicuro che in diciassette anni della mia vita non mi sono mai azzardata a sfiorarla anche solo con un dito, mi faceva troppa impressione. Conviverci non era per niente facile, ma non ero mai stata esclusa da un gruppo di persone per via del mio difetto fisico. Passai qualche altro secondo ad ammirarla, per poi indossare una maglietta. La voglia si intravedeva un po' dal lembo della manica, ma nessuno se ne sarebbe accorto. Sperai comunque di non essere presa in giro dai nuovi "amici" che avrei potuto trovare. Una sistematina ai capelli, braccialetti finti, un anello per ogni mano ed ero finalmente pronta. Salutai i miei genitori e mi diressi verso la porta, a quel punto accarezzai la maniglia dorata, fredda al tatto e chiusi leggermente gli occhi respirando a pieni polmoni. Eravamo quasi al capolinea, una volta varcata quella soglia avrei lasciato alle spalle i ricordi della mia città natale. Passo dopo passo mi avvicinavo sempre di più dall'uscire di casa, e nel mentre un flashback rapido di tutta la mia vita mi passò davanti, per assaporare ogni singolo instante appartenente al passato. E poi basta, uscì fuori chiudendo la porta e lasciandomi tutto alle spalle. Il passato è il passato, ora mi trovavo nel presente, con il futuro davanti a noi.

ORE 8:17, e il sole era già alto nel cielo. Mi investì in pieno con i suoi raggi, che mi riscaldarono dalla leggera aria fresca del mattino. Proseguì per la stradina guardandomi intorno, le case sembravano ancora spente, segno che una parte della città era ancora a letto. Camminai, senza fretta, con passo moderato e tranquillo. Volevo analizzare bene ogni singola parte del posto, creare nuovi ricordi. Imboccai una direzione verso destra, imbattendomi questa volta in una zona più viva della città. Una serie di locali, pizzerie e street food vario lungo la riva di una spiaggia. I raggi del sole questa volta si buttarono sull'acqua del mare, facendola brillare di sfumature. Mi ci potevo specchiare in quell'acqua così limpida e pura. I granelli di sabbia sembravano tanti cristalli di zucchero. Quel luogo brulicava di adolescenti, sembravano tutti così simpatici e ben vestiti, mi chiedevo se sarei stata in grado di catturare la loro attenzione. Non avevo uno stile così interessante come il loro, e non sapevo dire se il mio umorismo fosse discutibile o meno. Pensavo se buttarmi nella mischia e presentarmi oppure fare la misteriosa così che qualcuno si sarebbe accorto di me, prima o poi. Dovevo portare le cuffie, funzionavano sempre in situazioni come queste. Tuttavia, Immersa nei miei pensieri, non fui nemmeno in grado di sentire un colpo improvviso sulla mia spalla, e una profonda voce bisbigliare all'orecchio: <<Sei nuova percaso?>>

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