CAPITOLO 10

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Dopo la discussione con Allison sono passata in ospedale a consegnare i moduli e mi hanno confermato che stanno applicando le procedure per la spedizione del farmaco. In questo modo tra pochi giorni potranno smettere di sedare papà e lo faranno ritornare cosciente. Solo il pensiero di poterlo finalmente riabbracciare mi fa esplodere il cuore di gioia. Non sentirlo parlare, non vederlo per tutto questo tempo è stata un'agonia. Da ciò, ho compreso quanto davvero io abbai bisogno che lui viva, perché la mia vita senza il mio amato padre non avrebbe più senso. Ho bisogno dell'uomo che annaffia i suoi fiori, e che mi chiama continuamente "paperotta", come se avessi ancora cinque anni. Ho bisogno del mio papà, perché una madre non la ho, e la solitudine è qualcosa che mi fa davvero troppa paura.

Nonostante ciò, però, i miei pensieri ritornano sempre a quella lettera spedita in Inghilterra, e soprattutto ad Edith. Non sono certa che quello era realmente il suo nome di battesimo, o se quella lettera appartenga ad un'altra donna, fatto sta che la curiosità mi sta uccidendo ora più che mai. Curiosità che mi induce a chiedermi se lei sia ancora viva, se si sia mai pentita della sua scelta, se ci abbia mai cercato...

Oltre il suo ipotetico nome però, non conosco altro, e quest'informazione non è abbastanza per provare a fare una ricerca su internet. Forse potrei chiedere a mia zia, magari lei sa qualcosa, magari può raccontarmi tutto quello che io non ho mai voluto sapere su di lei in questi anni. Questa voglia di sapere di più, di indagare, deve essere alimentata, perché sento il bisogno per la prima volta nella mia vita di conoscere il motivo di tutto questo. Ma sono anche consapevole del fatto che questo non è il momento adatto per mettermi a giocare a Sherlock Holmes, perché la priorità più grande è che papà stia bene; di conseguenza, l'altra priorità più grande è il mio lavoro, e devo cercare di risolvere la questione di Alex, del mio vero nome, della mia identità, per non farmi cacciare di casa. L'unico modo per farlo quindi è parlargli, e dove farlo se non a casa sua?

Per questo motivo ora mi trovo nuovamente a casa Wonder, seduta sul divano a mordicchiarmi le unghie dal nervosismo, in quanto non so bene cosa dirgli, come convincerlo ad aiutarmi a restare. Non mi va di raccontargli tutti i fatti miei, a mala pena lo conosco. Ho chiesto ad Adrian a che ora dovrebbe rientrare dal lavoro e lui mi ha risposto che solitamente rincasa per le sette ma sono le sette e mezza e la sua figura non ha ancora varcato la porta. Ogni tanto mi affaccio alla finestra per vedere se la sua auto bianca decide di attraversare nel lungo vialetto, ma fino ad ora, ciò non è successo.

Ad un tratto però, sento la porta d'ingresso aprirsi e dei passi spediti riecheggiare nell'eco silenzioso dell'abitazione. Che non mi sia accorta dell'auto? L'agitazione sale ancora di più, così chiudo gli occhi e ripeto nella testa la mia solita frase portafortuna "ce la posso fare". I passi si avvicinano sempre di più alla camera dove sono seduta da un'ora, ed è a quel punto che riesco a distinguere il ticchettio di un paio di tacchi sul parquet. Questi passi non sono di Alex.

<<Oh cielo!>> la voce femminile e soave di una donna mi fa alzare in piedi per ammirare la sua bellissima figura.

È bellissima, non avrà più di una cinquantina di anni. I suoi capelli lunghi sono biondissimi e sopra di essi è adagiato un grande cappello bianco, di quelli che si mettono per andare al mare, mentre i suoi occhi cinerei sono ornati da un leggero eyeliner nero. Le sue labbra tinte di rosso sorridono verso di me, ma la sua eleganza mi lascia di stucco. Indossa un semplice tubino nero e dei tacchi rossi che richiamano il colore del suo rossetto. Ha delle bellissime gambe slanciate e snelle.

<<Non sapevo avessimo ospiti>> dice, poggiando la borsa su una poltrona ed avanzando verso di me che a mia volta mi avvicino a lei.

<<Buonasera, lei deve essere la signora Wonder>> dico cordiale porgendole la mano.

Lettere dalla LunaWhere stories live. Discover now