Benvenuti nel 2060

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La luce squarciò il retro del furgone nel quale eravamo ammassati aprendo una linea dritta, che si allargò davanti ai miei occhi. Dopo tutto quel tempo passato al buio, la luce mi colpì come una pugnalata. Distolsi lo sguardo e mi coprii il volto con entrambe le mani, mentre qualcuno mi afferrava le braccia e la vita per spingermi giù dal veicolo. 

Sentii le voci concitate di un centinaio di persone. Alcuni stavano ridendo, altri borbottavano e dicevano cose che non riuscivo a comprendere, perché il brusio era sovrastato dal tono perentorio degli ufficiali. 

«Scendete!» 

«Muoversi, forza!» 

Qualcuno mi strattonò in avanti, ma il mio equilibrio era buono e proseguii con passo stabile.

«Avanti, novellini!»

Sbattei più volte le palpebre, riparandomi dal sole con l'avambraccio. All'inizio scorsi sagome indefinite, che si muovevano come un'accozzaglia disordinata di braccia e gambe. Strizzai gli occhi e mi sforzai di mettere a fuoco, e le ombre divennero nitide. 

Eravamo accerchiati da decine di ragazzi e ragazze di ogni etnia o altezza, ma dal fisico tonico e longilineo. Ci stavano studiando. Sentivo i loro sguardi addosso come pizzicotti lungo la schiena; con un'occhiata, si sentivano in grado di decretare chi era il migliore tra noi e loro. 

Ci trovavamo in un enorme radura circondata dal bosco fitto. Diverse strutture, simili a case di villeggiatura, campeggiavano distanti diversi metri. Per alcuni, quello poteva essere un tuffo indietro di mille anni. Niente a che vedere con la tecnologia alla quale erano abituati.

L'ufficiale che ci stava scortando era un uomo sulla quarantina, sbarbato e con la testa lucida come uno specchio. Il sole vi si rifletteva come se si divertisse a farla brillare. 

«Che cazzo guardi! Muoviti!» Mi spinse avanti e finii addosso a una ragazza che, come me, si era fermata per osservare. Mi raddrizzai a proseguii decisa insieme al gruppo di novizi verso un grosso capannone di legno con il tetto a spiovente. 

Percepii l'erba appiattirsi sotto i piedi nudi. Ci avevano tolto le scarpe per paura che qualcuno potesse usarle come arma. Come se non bastassero le mani. 

Strinsi gli occhi e ricambiai sfacciatamente lo sguardo degli spettatori, senza curarmi di quello che stavano facendo gli altri. 

Ci fecero entrare nel capanno, e scoprii decine di sedie di legno poste in file davanti a un palco. Mi sedetti sulla prima libera che trovai e attesi che gli altri facessero lo stesso.

L'aria era carica di eccitazione, passava da una persona all'altra come una corrente elettrica.

L'ufficiale che mi aveva spinta si posizionò di fianco alle sedie con le braccia incrociate. Scrutava la marea di teste tutte uguali come un falco pronto ad attaccare, come se la decina di guardie non fosse un deterrente abbastanza forte per impedirci di alzarci e dare fuoco al capanno.

Si sentì un suono di passi. L'attimo dopo, un uomo abbastanza giovane salì sul palco. Non gli passarono nessun microfono, ma non ce ne fu bisogno, perché appena iniziò a parlare, l'intera platea si zittì come sotto incantesimo. La sua voce era rauca e abbastanza forte per sovrastare qualsiasi altra cosa. 

«Sono il capitano Murphy!», esclamò, a pieni polmoni. La faccia rossa e incazzata. «Benvenuti al campo di selezione!» 

Uno scroscio di applausi si innalzò dagli ufficiali che ci fiancheggiavano. Mi allungai sulla sedia per vedere chi ci fosse all'altro capo della sala, ma ero troppo bassa. 

«Ci aspettiamo fegato. Vogliamo vedere gente che desidera sopravvivere, che brama un posto sull'astronave.» Murphy iniziò a camminare sul palco, a destra e a sinistra. Enfatizzava il discorso con gestualità eccentrica. «Volete restare qui sulla terra, senza ossigeno? Volete che la vostra vita duri appena il tempo di vedere il mondo appassire?»

BREATH. Respiro cortoМесто, где живут истории. Откройте их для себя