IL SOGNO DI JULIA

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Pianeta Kepler 2565b

Gli occhi di Julia si aprirono di scatto, e il buio della sua incoscienza si riempì del nero della camera da letto. Un nero sfumato dalla luce verde del display della sveglia elettronica. Il corpo lo sentiva immobile, le palpebre non sbattevano, non sentiva nemmeno il proprio respiro o quello del suo animale domestico. Temmi era probabilmente avvinghiato alla coperta della sua cuccia che riposava. Era dormiglione e fifone, ad ogni minimo rumore dell'esterno se ne andava a nascondersi nel suo giaciglio. A volte si arrampicava sul soffitto fino alla grata di ricambio aria e se ne stava lì quasi coprendola del tutto.
Julia si era addormentata con il sonaglio di legno sul terrazzo che suonava come un'orchestra diretta dal dio del vento in persona, ma non sentiva nemmeno un debole sibilo di quello che poteva essere un soffio d'aria che filtrava dalla finestra con gli arrugginiti infissi metallici. Tutto era quieto. Non si accorse immediatamente di essere dentro ad un sogno; si accorse di essere viva per un brivido che le corse sulla schiena. Ad un certo punto, a rompere quel momento congelato nel tempo, fu una debole luce bianca che filtrava dalle imposte: saranno state le nuvole a lasciar spazio alla luce della luna più vicina. Senza spostare le coperte, senza muovere un muscolo, si sentì trasportare alla finestra per sbirciare di fuori, sembrava potesse spostarsi nello spazio solo grazie alla forza della mente e delle sue sensazioni ed emozioni. La curiosità la portò a recarsi in direzione della luce. E quello che vide la trasportò di nuovo nel letto, questa volta sotto alle coperte. Ciò che la mosse era la paura. Non era uno dei satelliti naturali del suo pianeta che vide di fuori, ma sempre dal cielo era una stella luminosissima che le puntava direttamente negli occhi, nella testa, infatti per quanto fosse intensa non illuminava le case intorno o la strada. Sembrava solo diretta a lei.
Julia, da sotto le coperte, senza l'impiccio del proprio corpo, immaginò un posto ancora più sicuro della sua camera, e all'improvviso venne inondata da un profondo senso di tranquillità, sembrava di percepire l'abbraccio di sua madre quando era appena venuta al mondo e luci, rumori, freddo la minacciavano in questo mondo esterno rispetto a quel posto magico e confortevole che è il ventre materno. In verità era abbracciata a qualcuno, ma non era sua madre. L'odore che sentiva dagli organi olfattivi ai lati della testa era qualcosa di completamente nuovo. Allo stesso modo era insolita quella sensazione di protezione che si prova quando si è a contatto con qualcuno di cui ti fidi a tal punto da dargli in mano la propria vita. Era infatti particolare provare qualcosa del genere con qualcuno che non fosse la propria madre, non era neanche usanza abbracciarsi con nessuno nel luogo dove viveva. Questo profumo era simile a certi aromi che aveva sentito da piccola camminando per la natura, nei prati che erano ancora verdi e i fiori ricchi di colori, misto a quell'odore lievemente salato e umido che raggiunge i sensi quando si passeggia su una spiaggia di ciottoli in riva al mare. Era completamente a suo agio, si sentiva protetta e serena come solo da piccoli ingenui e senza pensieri si può essere.
Ora si trovava sempre nella sua camera da letto ma adesso quella luce dal cielo riusciva a illuminare debolmente come una fioca candela l'ambiente intorno e capì che di fianco a lei c'era un essere dall'aspetto diverso rispetto agli altri generi del suo pianeta. Non riusciva a vederlo in viso perché si trovava con la testa appoggiata al suo petto e non poteva muoversi, ma in quel momento non se ne preoccupò, voleva che quella sensazione durasse per sempre, così senza un movimento, senza un rumore, solo due respiri che scandiscono il passare del tempo. Un tempo fermo a quegli istanti che si ripetevano sempre da capo.
Quel profondo senso di leggerezza, candore, la svegliò di soprassalto. Era giorno, sentiva la pioggia sbattere contro la finestra, e l'odore del cesto dei panni da lavare la riportò al consueto tran tran quotidiano. In quel momento non ricordava nulla del sogno, nemmeno di aver sognato. Non aveva fame. Si alzò dal letto, si mise qualcosa addosso e riprese subito a lavorare al suo terminale. Il computer era formato da uno schermo abbastanza ingombrante, 70 cm di larghezza per 1 metro di profondità, ed emanava un calore e ronzio che le bastava per scaldarsi senza ricorrere ad altre fonti di calore, come la stufetta a olio di Numara (una specie di foca) o il sistema centralizzato dell'edificio a energia elettrica.
Per interagire con lo schermo, aveva una tavoletta elettronica con un grande schermo di vetro da 14 pollici, simile ai device portatili su cui seguiva la realtà fittizia sull'app PlanetBook. Toccando i simboli sulla tavoletta apparivano scritte nel monitor e poteva accedere alle informazioni che doveva elaborare per il suo lavoro.
Il suo era un piccolo appartamento abbastanza sgombro da mobilia, con le pareti vuote. Aveva una sola apertura verso l'esterno la quale era una porta finestra che dava su un terrazzino. I pochi mobili che aveva erano una scrivania sulla quale si nutriva anche, un piccolo angolo cottura in cui cuoceva il suo cibo, che era semplice da preparare, e quasi sempre lo stesso, ma molto colorato e profumato. Non aveva papille gustative tanto evolute ma un'ottima vista e un ottimo organo uditivo e allo stesso tempo olfattivo. Nutriva la propria mente con le sensazioni del cibo, perché non c'erano tanti altri modi di svagarsi nella sua società. Era un mondo difficile, i cattivi erano dappertutto. Se ne stava sempre rintanata in casa, e si distraeva con PlanetBook.
PlanetBook era un continuo di brevi video che mostravano la vita di altre persone che svolgevano le più disparate attività. Dalla quotidianità di fortunati abitanti di case bellissime in posti paradisiaci, a camere fisse su qualcuno che lavorava al computer, fino agli atti criminali e violenti delle fazioni che controllavano i territori. Gli utenti potevano commentare liberamente e spesso si accendevano dibattiti che non portavano mai a nulla. L'80% dei contenuti erano falsi, nel senso che non rispecchiavano la realtà. Anche i notiziari più accreditati si inventavano le notizie e creavano immagini e scene come fossero quelle di un film. Tutti ne erano a conoscenza ma a nessuno importava, stare tutto il giorno a guardare PlanetBook era l'unico modo per tirare avanti in un mondo marcio. Marcio era l'animo delle persone e marcio era il pianeta che li ospitava, inquinato a dismisura e sfruttato fino all'osso. Quel pianeta era ormai allo stremo e presto in qualche modo si sarebbe liberato dei parassiti.
PlanetBook si installava su un piccolo apparecchio elettronico pesante poco meno di 500 grammi. Si interagiva con esso al tocco e aveva una batteria con durata di quasi una settimana. Per ricaricarlo non era necessario collegarlo ad una linea fissa di corrente elettrica, ma bastava accendere un'antenna di cui erano dotati tutti gli appartamenti e questa avrebbe inviato l'energia necessaria sotto forma di onde elettromagnetiche che nell'arco di una notte avrebbe dato al device la carica necessaria per un'altra settimana. Probabilmente queste onde dovevano essere abbastanza intense per non essere propriamente indicate per la salute, ma sembrava che a nessuno interessasse anche quando qualcuno sollevava questioni nei gruppi di discussione di PlanetBook.
Temmi era insolitamente agitato quel giorno. Saltava tra tutti i quattro muri e a volte anche sul soffitto alla caccia di qualcosa, forse qualche insetto, o magari qualche spiffero d'aria, o anche qualche vibrazione e rumore proveniente dagli altri appartamenti. Quando dopo qualche ora si calmò saltò sulla scrivania di Julia per farsi accarezzare il corto pelo che aveva sulla testa. Aveva fatto fatica e sudava e poco dopo si addormentò appoggiato al terminale. Julia continuò il suo lavoro coccolandolo con una mano, e mentre gli asciugava le secrezioni dal dorso con uno straccio in quel momento le tornò in mente il sogno di quella notte. Ripercorse tutte le sensazioni provate e cercò di mettere in ordine le idee, però il risultato fu l'esatto contrario. Ogni emozione che riportava alla mente le accendevano mille altre luci in camere nascoste della sua mente iniziando a formulare pensieri e rivivere fatti del passato oppure inventati come se stessero accadendo in quel preciso momento. Si rese conto che il sogno aveva avviato come un motore una zona del suo cervello finora spenta, e da quel giorno avrebbe visitato spesso quelle stanze alla scoperta dei loro segreti.

Il sogno di JuliaWhere stories live. Discover now