39. Monza

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Svegliarmi quella mattina fu particolarmente difficile, la sbronza del giorno prima e la voce irritante di mio fratello che non facevano un'ottima combinazione.

E per di più avevo un gran mal di testa.

Rotolai sul letto e mi strofinai il volto, Edo che gridava qualcosa in sottofondo che non avevo abbastanza voglia di ascoltare mentre prendevo in mano il telefono e controllavo l'ora.

E mi trovavo un messaggio di Lando con una foto sua e di Carlos con su scritto un dolcissimo 'waiting for u bitch' accompagnato da un'altrettanto delicato terzo dito.

Ma lo apprezzavo perché non ero mai stata tipa da messaggi dolci e cuori sparsi per le chat.

Erano più o meno le undici e mezza quando mi diressi verso il bagno, il mio cambio poggiato sul ripiano del lavandino mentre mi spogliavo per fare una doccia veloce. Con mio fratello in sottofondo che mi insultava gridando di una parata o qualcosa del genere.

E non sapevo ci fossero le bande ai gran premi di formula 1, ma non avevo abbastanza voglia di avere una conversazione con Edo in quel momento quindi non gli chiesi di elaborare. Perché il caro fratellino aveva la straordinaria capacità di farmi peggiorare il mal di testa di gran lunga.

Mi spazzolai i capelli e mi misi un bigodino sul ciuffo mentre mi truccavo, il mascara in una mano mentre con l'altra spalmavo il correttore e stavo iniziando ad impazzire sotto tutta questa non voluta pressione. Perché, logicamente, quell'oggi dovevo essere perfetta e con mio fratello che continuava a pressarmi di fare in fretta non riuscivo ad essere concentrata.

Indossai la mia cambiata prestabilita settimane fa, un jeans scuro a zampa a vita bassa e un top bordeaux che lasciava le spalle scoperte, e mi misi un po' di gloss.

Finii il tutto con un paio di collane e bracciali a caso e presi la mia borsetta nera, un paio di tacchi bassi dello stesso colore ai miei piedi mentre mi mettevo i miei fidati occhiali da sole e sistemavo i capelli.

E mi spruzzavo il mio solito profumo mentre mi toglievo il salvavita che era il bigodino dai capelli.

Non ebbi veramente nemmeno il tempo di riguardarmi l'outfit che mio fratello mi trascinò di peso, i miei piedi doloranti dal giorno prima che protestavano mentre ci incamminavamo verso il circuito.

E ci vollero quasi dieci minuti perché la testa ancora mi girava e il continuo lamentarsi di mio fratello non aiutava certamente.

Che poi, cos'era questa stupida parata? Il gran premio sarebbe stato tra più di due ore, qual era il senso di andare adesso?

Ma evitai di dare voce ai miei pensieri perché Edo sicuramente mi avrebbe spinto sotto una macchina.

Ci fecero entrare abbastanza rapidamente e questa volta fummo capaci di orientarci da soli, noi che arrivavamo al box Ferrari velocemente e trovavamo Salvatore ad accoglierci entusiasta.

E mio fratello mi dava un'occhiataccia mentre ci facevano salire su un balconcino che aveva vista su quasi tutta la pista.

Ed Edo aveva smesso di guardarmi storto.

Scoprii che questa stupida parata consisteva semplicemente nei piloti che sfilavano in giro per la pista sopra delle macchine del loro brand, io che scuotevo la testa alla drammaticità mentre mio fratello osservava estasiato.

Ed era proprio un coglione.

Subito dopo la fine del piccolo evento i due piloti Ferrari rientrarono nel loro box, Salvatore che ci veniva a chiamare comunicandoci che avevano chiesto di noi -e per avevano probabilmente intendeva solo Carlos- mentre io arricciavo il naso e scendevo le scale riluttante, mio fratello che doveva aver percepito il mio disagio e aveva perso un po' della sua scintilla.

Gocce d'estate[C.L]Where stories live. Discover now