8. Lasciarsi la Terra alle spalle

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Non racconterò il mio soggiorno ad Iram per due ragioni: la prima è che gli hotel di altissimo livello, alla fine, sono tutti uguali. Io avevo soggiornato in un albergo a sei stelle, ma potete andare voi stessi a Dubai e trovare hotel che di stelle ne hanno addirittura sette (sì, lo so, non è una cosa ufficiale), con suite più grandi di interi appartamenti dove potete prenotare Rolls Royce con tutto l'autista.

Se vi infilate in un albergo a sei o sette stelle (alla fine importa poco, da cinque stelle in su non cambia niente), non riuscirete comunque mai ad utilizzare tutti i servizi che vi vengono offerti, sarete lì, storditi, a sorseggiare bevande su un lettone morbidissimo, magari vi farete una nuotata in piscina, guarderete con la bocca aperta le statue e poi dormirete un sacco. Oh, se dormirete un sacco: i lettoni morbidissimi, gli odori nelle stanze, l'illuminazione, la temperatura perfetta, tutto è disegnato con cura per farvi dormire tantissimo.

La seconda ragione è che non voglio vantarmi troppo. Sì, ogni tanto mi piace essere umile. Che utilità avrebbe, se vi descrivessi cosa c'era nel mio armadio, oppure che cosa potevo ordinare per pranzo e mi veniva portato direttamente in camera?

Niente di tutto questo aveva un valore culturale o emotivo, niente avrebbe cambiato me o il modo in cui vedevo il mondo.

Però era tutto bellissimo e dormii proprio, proprio tanto quando non lavoravo: la mia faccia toccava il cuscino, e i miei occhi si chiudevano automaticamente. Niente sogni, solo il sonno più comodo del mondo, con il risveglio più comodo del mondo.

Quindi saltiamo direttamente al momento.

Andare allo spazioporto da viaggiatrice e non da lavoratrice, questo sì che era strano! Avevo continuamente l'istinto di dirigermi verso la mia scrivania, che era lontanissima da dove mi trovavo, e dovevo ricordarmi che no, non era una giornata di lavoro.

Mi ero preparata una valigia che avevo comprato ad Iram, piena di vestiti e di prodotti che avevo comprato ad Iram, e indossavo un paio di pantaloni bianchi e una camicia decorata da disegni di palme, per due motivi: uno era che trovavo molto ironica l'idea di indossare il tipico "completo" da turista, l'altro era che i pantaloni bianchi e le camicie con le palme erano i vestiti più economici e facili da trovare nei negozietti di Iram.

Di tutta la gente che era presente allo spazioporto, solo io dovevo prendere la navetta Red Scarab, quindi solo io, su tutto il pianeta Terra, sarei partita per raggiungere la Titanika quel giorno. Okay che ero privilegiata, ma mi sembrava che si stesse esagerando davvero.

Attesi da sola, seduta sulla panchina con le gambe accavallate. Che ci crediate o no, la navetta era in ritardo e io me lo aspettavo: solo perché qualcosa è costoso, non significa che possa scavalcare in un istante qualunque avversità.

Quando finalmente scese dal cielo, ondeggiando lieve come una bolla di sapone, tirai un piccolo sospiro di sollievo.

Mi alzai, mi rassettai i pantaloni, ravviai i capelli, e mi avviai verso la navetta Red Scarab, un modello che sembrava un parallelepipedo di plastica rosso e lucente, sul cui muso era stata appiccicata quello che sembrava la punta di un'enorme matita.

Quando il portellone si aprì, non fui sorpresa di vedere all'interno un alieno grigio con indosso la sua uniforme blu scura (sì, per qualche motivo le uniformi della Red Scarab non erano red).

«Salve» Salutai «Sono Paula Datsyuk...»

«Documento, prego» disse il grigio, con una voce senza particolari inflessioni aliene.

Estrassi il portafoglio, poi la mia carta di identità elettronica (che sembra una cosa figa, detta così, ma è solo la stessa carta di identità che avete anche voi, fateci caso, probabilmente avete una CIE) che porsi al valletto.

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