⊰𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 7⊱

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«Liz. Riporta quel vestito in negozio. Non lo metterò mai.» Affermò convinta Gwendolyn tornando a concentrarsi sul proprio libro.

La migliore amica le dedicò uno sguardo contrariato, sventolando il vestito davanti a Giovino il manichino come se dovesse indossarlo quest'ultimo. «Tu non hai il minimo gusto! - l'accusò indignata. - È assolutamente stupendo e con questi indosso saresti semplicemente splendida.»

Gwendolyn la guardò retorica chiudendo il suo libro, posandolo sul piccolo tavolino di riciclo posto alla destra alla poltrona in vimini su cui era seduta. «Quello non è un vestito. È un fazzoletto di stoffa colorato di nero.» Disse dirigendosi verso la cucina dell'ex bar.

Lei e la migliore amica erano lì da più o meno tre ore. Stavano facendo passare il tempo in attesa che Erik finisse gli allenamenti pomeridiani, passasse a prendere le pizze, e poi le raggiungesse nel loro rifugio.

Era stata una decisione a cui avevano pensato a lungo le due.
Non avevano mai fatto entrare nessuno in quel posto. Farlo, sarebbe significato condividere un grande pezzo di loro stesse con qualcuno. Ed era una decisione difficile da prendere. Alla fine, però, avevano deciso di farlo con Erik.
Con lui si sentivano a loro agio, si sentivano libere di essere sé stesse senza vergogna o timore di essere giudicate per ciò che erano.
Una parte di quella sensazione era dettata, probabilmente, dal fatto che Erik era un "emarginato" come loro.
L'altra parte di loro, invece, sentiva sinceramente che Erik era una persona di cui fidarsi. E, fino a quel momento, gliene aveva data molto prova.

«Sei ingiusta. - ricomincio a parlare Liz. - L'ho pagato caro e ti serve un vestito del genere.»

Gwendolyn la guardò di sbieco, non trattenendo un sorriso, mentre prendeva il proprio zaino in cerca del telefono. Fuori stava iniziando a fare buio, lei aveva fame, ed Erik ancora non si vedeva.

«Mi serve un vestito del genere? - chiese pensandoci attentamente. - No. No, non credo mi serva.» Concluse sorridendo e mandando un messaggio all'amico.

Lizabeth roteò gli occhi al cielo. «Si che ti serve. Altrimenti come fai a fare colpo alle feste?»

Gwendolyn sollevò lo sguardo dal proprio telefono inarcando un sopracciglio. «Perché io vado alle feste? Non lo sapevo.»

Lizabeth sorrise sghemba, ma non rispose. Si avvicinò al bancone su cui l'amica era seduta, poggiò il vestito di fianco a lei, e si poggiò sullo stesso con i gomiti iniziando a giocherellare con le sue dita. Gwendolyn osservò tutta l'azione di sottecchi.

Lizabeth non era mai nervosa o ansiosa, a meno che non si trattasse di qualche raro evento che, per lo più, riguardava il fratello Jordan. Perciò vederle un atteggiamento simile non solo la sorprese, ma la mise anche seriamente in allerta.

«Liz. - iniziò posandole una mano sulla spalla. - Che succede?»

L'amica continuo a torturarsi le unghie soprappensiero. «Mio padre ha chiamato ieri sera...»

Gwendolyn scese subito dal bancone stringendo l'amica in un abbraccio confortevole.

I genitori di Lizabeth erano divorziati. Uno di quei divorzi che fa male, che vivi ogni giorno e lo vedi ogni minuto logorare la vita delle persone coinvolte.
Uno di quelli che, volontariamente o meno, finisce per coinvolgere i figli. Lizabeth, gradualmente, aveva raffreddato il rapporto con il padre. Al punto che si sentivano raramente o quasi per niente. La ragazza non lo vedeva o sentiva nemmeno per il suo compleanno.
Era una situazione estremamente complicata, pesante anche solo da immaginare. Il padre, nello specifico, non le aveva mai fatto mancare nulla economicamente parlando. Era tutto il resto il grave problema. Gwendolyn, quando le si presentava questo genere di situazioni, cercava di supportare l'amica al meglio che poteva, ma non era così semplice. Lei doveva arginare una mancanza che affondava radici solide nel cuore dell'amica.

The HeartbeatWhere stories live. Discover now