⊰𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 1⊱

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Era un sonno felice il suo. 
Un sonno in cui i ricordi si mescolavano a desideri e fantasia.
Nel sogno aveva circa sette anni, stava giocando serena a Central park in un piccolo cerchio di sabbia in cui erano stati posizionati scivoli e altalene. Il sole batteva forte e la sabbia le si attaccava sulla sua pelle a causa del caldo.
Sentiva degli schiamazzi intorno a lei, voci indistinte che si sovrapponevano le une sulle altre.
Poi qualcosa la strattonò dai capelli. Gridò, in un misto di paura e dolore, portandosi le mani a reggere l'attaccatura dei capelli.

Gli schiamazzi si tramutarono in silenzio.

L'unica cosa che riusciva a sentire era una risata, di un bambino, che però nel sogno era divenuto grande e grosso come un gigante. Lei aveva gli occhi e la gola che bruciavano a causa delle lacrime e delle urla di dolore.

Ben presto, per fortuna, la risata cessò.

Avvolto dai raggi del sole, come se lui stesso fosse la sfera luminosa, un altro bambino fece la sua comparsa nel sogno atterrando il piccolo bullo.

L'improvviso salvataggio, dovuto anche alla presa mancata di scatto sui suoi capelli, la fecero ricadere in avanti. Ma lei non si fece male. Prima che le sue manine potessero ricadere sulla sabbiolina chiara, due braccia l'avvolsero rassicuranti.

Respirò rassicurata. Un sorriso a piegarle le labbra.

«Va tutto bene sorellina. - disse la voce stringendola al petto e carezzandole la testa dolorante. - Ora ci siamo noi.»

Gwendolyn si svegliò a causa del fastidioso, quanto insistente, suono della sveglia.

Aprì stancamente gli occhi. Fece vagare lo sguardo per la stanza. Passò dal soffitto alla finestra, da cui filtrava la tiepida luce del mattino, e poi sulla scrivania al suo fianco dove la sveglia suonava segnando le sei e mezzo del mattino.

Emise un verso di nervosismo e stanchezza. Serrò gli occhi e si portò le coperte fin sopra la testa. Detestava quelle alzatacce.
Svogliatamente si mise seduta sul letto, contemplando la sua immagine attraverso lo specchio attaccato alla porta chiusa della sua stanza. Riuscì a scorgere i propri capelli in disordine e annodati dal sonno insieme al suo viso stralunato. Quell'immagine mattutina avrebbe spaventato chiunque. Con lo stesso umore di un condannato al patibolo, si alzò dal letto e si diresse a spegnere l'assillante sveglia. Di nuovo, finalmente, nel silenzio della propria camera si stiracchiò sbadigliando rumorosamente. 
Si diresse verso il piccolo armadio, situato in una piccola rientranza rettangolare di fronte al proprio letto al centro preciso tra la finestra e la porta, e prese ciò che le serviva per dirigersi in bagno.

Nel breve tragitto che la condusse al bagno principale, posto in fondo al corridoio, si rincuorò con il profumo del caffè che saliva dal piano inferiore. Sicuramente i suoi genitori erano già in piedi.
A differenza di suo fratello maggiore che, come poté constatare passando davanti alla porta aperta della sua stanza, dormiva ancora profondamente e in una posizione tutt'altro che comoda. Almeno per lei.

Una volta datasi una rinfrescata, sentendosi più lucida e reattiva, tornò nella propria camera.
Posò ciò che aveva usato in bagno sull'appendiabiti attaccato al lato dell'armadio, e prese a vestirsi per quel giorno. Qualcosa di comodo, pratico, e possibilmente nero. 
Non era una ragazza schiva, né solitaria o chiusa. Le piaceva stare spesso per conto suo, per lo più a leggere o studiare, ma se ne aveva l'opportunità non si rintanava certamente in casa. Anzi. Le piaceva uscire, fare lunghe passeggiate, era anche capitato riuscisse ad andare a qualche festa. 

The HeartbeatWhere stories live. Discover now