V. Anche i simili possono escludere

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 Ce l'avevo fatta. Stavo per prendere il treno per Hogwarts. 

 Attorno a me c'era tanta vita. Mia nonna mi lasciò da sola molto prima che il treno partisse, ma pensai che fosse meglio così, io dovevo cercarlo. Lui doveva essere lì, non poteva essere altrimenti. 

C'era troppa gente, era difficile posare il proprio sguardo su un punto fisso, ma alla fine lo riconobbi. Indossava già la sua divisa, come me d'altronde. Solo ma sicuro di sé, salì finalmente sul treno. Lo seguii e dopo aver placato l'ansia che avevo in corpo entrai nella cabina che lui aveva deciso di occupare. Non c'era nessun altro, tranne noi, ma questo non mi tranquillizzò.

 Avevo chiuso la porta, ma non mi ero ancora girata affinché mi vedesse in faccia. Mi girai verso di lui di scatto e mi sedetti proprio davanti. 

 Non lo sapeva, non se l'aspettava, non aveva capito che anche io fossi come lui. Un misto di emozioni fecero capolino sul suo viso. Era sorpreso, curioso, ma anche, di nuovo, disgustato. Non mi chiese nulla, ma continuava a fulminarmi con lo sguardo. Forse voleva che me ne andassi. Ma io non volevo. Sarei rimasta lì, finché non si sarebbe deciso a dirmi qualcosa, per fargli capire finalmente che io potevo comprendere cosa gli altri dicessero. 

 Guardai il mio riflesso sul vetro mentre il treno si allontanava dal binario. I capelli mi erano ricresciuti solo fin sotto il mento ed erano abbastanza lunghi davanti da coprirmi gli occhi, fino ad arrivare alle labbra. Non mi piacevano, iniziai a sistemarli come meglio potevo, lasciandomi il volto completamente scoperto. 

 Mi piacevo. Forse era la divisa scolastica, forse era la felicità che avevo in corpo, ma fu la prima volta che guardare il mio riflesso mi fece stare bene. Con il tempo e con la crescita, la mia bellezza divenne come un rimedio a tutti i mali attorno a me. Mi faceva piacere essere bella, mi faceva piacere ammirare la mia bellezza. Mi rilassava, in parte mi faceva sentire superiore agli altri. Lo capii quel giorno speciale, guardando il mio riflesso sulla finestra del treno che mi avrebbe portato ad Hogwarts. 

Ma, come il materialismo, anche questa mia caratteristica non si sarebbe per nulla rivelata positiva. Sarei diventata molto narcisista, tanto da diventare pericolosa per gli altri se qualcosa o qualcuno osava distorcere la bellezza del mio corpo, che avrei curato con molta cura in futuro. 

Poi guardai Tom e mi chiesi se lui si fosse già accorto della sua bellezza. Fisicamente sembravamo la copia al contrario dell'altro. Era facile confonderci per fratello o sorella, ma era certo che non lo fossimo. Eravamo due persone con un passato completamente diverso, anche se simile in piccole parti, e due caratteri già allora molto differenti. 

 Quando i nostri sguardi si incrociarono per un tempo abbastanza lungo io indicai prima me, poi i miei occhi e infine la mia bocca e lui annuì. Credo avesse capito, ma non disse nulla per tutto il viaggio. Si isolò ancora di più leggendo i suoi libri. 

 Quando intravidi Hogwarts non riuscii a trattenere le lacrime, di nuovo, per la felicità. Dentro di me speravo che tutto andasse per il meglio, che Hogwarts sarebbe stato un luogo perfetto per me. 

 Lo smistamento fu l'unico momento, per ben tre anni a seguire, in cui gli altri si accorsero realmente di me e della mia esistenza. 

Cercai di fare molta attenzione per capire ogni parola che veniva detta, ma feci difficoltà a comprendere cosa un cappello parlante stesse dicendo. 

 Quando Tom venne chiamato, corse a sedersi al tavolo dove i ragazzi e le ragazze portavano cravatte verdi a strisce argentate. 

 Io invece fui l'ultima ad esser chiamata, e non per nome, ma come "Signorina senza nome". Quando il cappello fu posato sulla mia testa, io non seppi dove dovevo andare. Rimasi a fissare il professore che mi aveva chiamato finché lui non si decise a indicarmi il tavolo a cui dovevo unirmi. Era lo stesso a cui Tom si sedette, eravamo nella stessa casa, quella che avrei imparato a riconoscere come Serpeverde. 

 Stavo per sedermi accanto a lui, ma mi rivolse uno sguardo così minaccioso che immediatamente cambiai direzione, sedendomi il più lontano che potei. 

Potevo vedere come tutti parlavano, ma attorno a me c'era solo silenzio. Penso che già dal primo giorno si capisse che io ero diversa, ma poi con le lezioni che si accumulavano tutti quanti capirono che tipo di problema avessi. 

 Quando divenne ovvio i professori iniziarono a farmi domande, alcuni si preoccuparono pure. Alla fine riuscii a spiegare a tutti, in infermeria, quale tipo di problema avessi, ma anche che potevo capirli. Non dissi loro troppi dettagli su come fossi stata maledetta o da chi, per paura che mio padre potesse rintracciarmi.

 Tom mi evitava come la peste e io capii subito perché; si vergognava del fatto che mi conoscesse e non voleva che gli altri lo sapessero. Rendermene conto mi fece molto male, ma rispettai la sua scelta. Non avrei osato infastidirlo in nessun modo. 

 Il primo anno lo passai spesso in infermeria, tra cure che fallivano miseramente nel trattare la maledizione di mio padre, e a leggere fino a tardi quello che dovevo imparare. Ero lenta, spesso non riuscivo a cogliere tutto quello che mi veniva detto in classe e facevo un sacco di errori.

 Hogwarts mi fece sentire veramente inferiore agli altri. Nessuno mi trattava male come gli orfani, ma spesso si avvicinavano. Non riuscivo a farmi amici, nessuno voleva stare per troppo tempo vicino a me e tutti i miei errori erano una scusa perfetta per prendermi in giro, specialmente se i miei compagni erano Serpeverde, a mio parere, quelli meno gentili di tutti. 

 Io vivevo nell'ombra, Tom nella luce. 

 La mia unica compagnia ero il mio riflesso nello specchio. L'unica soddisfazione che avessi, perché del resto non riuscivo a brillare in nessuna materia. 

 Una rabbia molto strana iniziò a nascere dentro di me. E la rabbia portò con se l'odio.

 Hogwarts mi aveva deluso. I professori non mi capivano, gli alunni non mi volevano e le materie non permettevano ai miei poteri di dare il meglio. 

Ma quell'odio portò con sé il desiderio di vendetta, di rivincita. E la vendetta richiede grande fiducia in se stessi e nelle proprie capacità. 

 Io ero una strega! Figlia di una delle famiglie più ricche e potenti del mondo magico. Avevo visto mio padre assassinare mia madre! E ogni giorno sopportavo una maledizione orribile. 

 Mi accorsi di essere a mio modo potente. E bellissima. Nessuna ragazza della mia età si avvicinava a essere bella quanto me. 

 Decisi che d'ora in poi avrei fatto a modo mio. Di nuovo, gli altri non contavano nulla. Babbani o maghi, per me non c'era differenza, mi facevano schifo entrambi. Solo io meritavo il mio amore e le mie attenzioni. Provare queste cose per gli altri fu molto facile, ma non riuscii mai a farlo anche nei confronti di Tom. Lui era speciale, anche ad Hogwarts, lui era diverso. Lo vedevo diventare sempre più abile, sempre pronto, il primo della classe.

 Più dell'odio, fu lui e la sua bravura a darmi la forza per voler diventare potente e rispettabile. Era giusto che mi ignorasse, non ero al suo livello, ma ci sarei arrivata, presto o tardi, io sarei stata degna del suo sguardo e della sua ammirazione. 

 Decisi che dovevano smettere di provare a curarmi. Non potevo perdere altro tempo, dovevo migliorare e avevo bisogno del tempo per studiare, per comprendere, per esercitarmi. 

 Non poter sentire o parlare ti offre un punto di vista sulle cose molto particolare. Per la prima volta, la mia maledizione, si rivelò utile. Non potendo ascoltare i suoni, mi fu più facile concentrarmi sull'energia che la magia emanava. Era come un sesto senso. Tutto vibrava. 

Una vibrazione difficile da cogliere anche quando attorno a te c'è solo silenzio. Iniziai a prestare meno attenzione a quello che c'era scritto sui libri e di più a come gli oggetti vibravano attorno a me. Verso la fine del primo anno, avevo capito alcune cose fondamentali. Quello che vibrava in modo simile aveva proprietà simili. Più l'unione diventava armoniosa, più la magia funzionava, e più l'armonia era complessa, più la magia diventava potente e complicata. 

A pozioni fu molto più facile capire questa armonia misteriosa che in qualsiasi altra materia. Grazie al mio particolare approccio alla magia, in futuro sarei stata in grado di creare cose incredibili e uniche, che nessun altro fece prima di me. Il primo anno lo conclusi con la coscienza che c'era qualcosa della magia che solo io potevo capire e l'avrei reso il mio punto forte.

Il Diario Segreto di una Strega PerdutaOnde histórias criam vida. Descubra agora