Diciassette. Il deposito.

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Detto quello se ne andò, lasciando che fossero loro due ad affrettarsi a seguirla, visto quanto ci tenevano ad accompagnarla.

Percorse una decina di metri con passo svelto, adirata con il proprio seguito. Poi però l'effetto euforico del luogo la circondò nuovamente, calmandola, ricordandole che era bene accolta. Così si concesse un profondo respiro e si guardò attorno: la stazione era proprio come nei ricordi che aveva recuperato.

Dal limitare della barriera protettiva si veniva colpiti da quegli alberi dalla forma strana, decorati da luci inspiegabili. Sembravano lucciole rosse, verdi, gialle e blu appese ai rami, ma non erano insetti: erano gli alberi stessi ad avere quei frutti luminosi per tutto l'anno.

Erano troppo in alto per poter essere colti, e Sharlisse sapeva che se qualcuno avesse provato a compiere l'impresa la stessa barriera ai confini della stazione gli avrebbe impedito di completarla.

Sorpassarono un gruppo di alberi dalla peculiare forma a capanna, attraversarono un tunnel di rami e sbucarono nel deposito delle carrozze.

«Non ho mai capito perché le chiamano carrozze» mormorò Sharlisse, osservando la distesa di mezzi tra i più disparati che le si era presentato davanti agli occhi.

C'erano un paio di carrozze, sì, ma al loro fianco si trovavano navi d'aria, barche d'acqua, mongolfiere, alianti, calessi, tiri a quattro. C'era anche una vecchia biga.

Nessuno di quei mezzi di trasporto era però mai stato costruito dall'uomo: erano gli alberi che formavano la stazione ad essere nati e cresciuti in quella forma. E si muovevano grazie alla magia che impregnava la stazione.

«Credo che fosse più bello di stazione di qualunque cosa» le rispose Lish, lasciandosi andare ad una battuta. La stazione doveva star facendo effetto anche su di lui.

«Bastava chiamarla stazione, non trovi?» osservò indifferente, guardandosi attorno per vedere se trovava una panca dove potersi sedere.

«Dì a voce alta cosa cerchi, la stazione provvederà» si intromise Lish, intuendo cosa l'avesse distratta.

Sharlisse lo guardò per un istante, poi si schiarì la voce. «Vorrei una panca per sedermi, grazie» pronunciò ad alta voce, sentendosi una completa sciocca.

La figlia del sangue rimase stupefatta dalla risposta che ricevette: a pochi passi da lei un albero crebbe all'istante, nella forma di una panca. Quello non se lo era ricordato.

«La stazione è viva» constatò Lish, seguendola fino alla panca nuova di zecca.

Sharlisse esitò a sedersi, ma cedette ben presto.

Quel dettaglio gettava nuova luce sulle sue necessità: forse le sarebbe bastato chiedere un mezzo per andare alla Foresta dei Sogni Rubati e la stazione glielo avrebbe fornito, senza bisogno d'altro. A quel punto non le restava altro da fare che ricordare quale fosse il prezzo del biglietto.

«Come mai non vuoi andare dove devi?»

«Trovami un soldato che vuole andare in guerra.»

Sharlisse si strinse nelle spalle a quella risposta ruvida e sarcastica.

Non voleva metterlo sulla difensiva: voleva farlo parlare, far sì che si confidasse. Aveva bisogno di recuperare il ricordo del biglietto e l'unico modo per farlo era nutrirsi. E aveva deciso che si sarebbe saziata rubando uno dei suoi sogni.

«Non sapevo che ci fossero guerre in corso, scusami» rispose con tono sottomesso, abbassando gli occhi sulle proprie mani.

Lui schioccò la lingua. «Non è una vera guerra» spiegò, il tono di voce più conciliante. «È questa storia dei banditi: nel tempo sembra peggiorare, invece di migliorare.»

Sharlisse annuì, alzando il viso verso di lui per regalargli un sorriso comprensivo. «Immagino che non fosse questo che ti immaginavi quando sei entrato nella guarnigione» gli disse, guidando attentamente la loro conversazione. «Era il tuo sogno di bambino, diventare un soldato?»

Lish ricambiò il suo sguardo con espressione seria e calcolatrice, del tutto inaspettata.

Sharlisse scrollò le spalle, tornando a guardare il deposito. «Scusami, non sono fatti miei.»

«I sogni sono un argomento che ti piace particolarmente» affermò lui, cogliendola in contropiede.

Lei sentì il suo sguardo su di sé e resistette al desiderio di contraccambiarlo.

«La bambina ti racconta spesso i suoi.»

Un'improvvisa folata di vento si abbatté su di loro.

Lish le si parò davanti, proteggendola da un possibile attacco, mentre Attila si materializzò al suo fianco, il pelo irto, pronto a scattare al minimo cenno di pericolo.

Come era arrivato, il vento cessò.

«Credo che sia atterrato qualcosa di invisibile» commentò lei asciutta.

Il soldato si voltò appena nella sua direzione, un'espressione scettica disegnata sul viso.

«Non esistono carrozze invisibili.»

Sharlisse scrollò le spalle e si alzò dalla panca. «Come fai ad esserne certo? Non dovrebbero neppure esistere alberi dai frutti luminosi, eppure eccoli lì» replicò piccata, puntando il dito verso le fronde dell'alto albero che avevano alle spalle.

La figlia del sangue aveva deciso di seguire l'inconsapevole consiglio del soldato: nutrirsi dei sogni di Mimi. Era più facile e sicuro. I bambini sognavano così tanto che si sarebbe mai accorta che lei gliene aveva mangiato qualcuno.

«Se non ti dispiace, adesso tornerei alla locanda» affermò, tornando a chiudersi in un atteggiamento distante e gelido.

Non gli diede modo di rispondere e si voltò per tornare sui propri passi. Ancora una volta lasciò che gatto mannaro e soldato la seguissero.

Per la prima volta da quando le tenebre le avevano imposto di reclamare il trono, Sharlisse pensò che sarebbe stata una buona regina.

Sangue e SogniWhere stories live. Discover now