Due. Famiglia di gatti.

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Dopo la visita delle tenebre, Sharlisse si era chiusa in se stessa. Aveva tagliato fuori ogni altra cosa, perfino i propri sensi.

Si era lasciata andare come aveva pianificato. Non avrebbe permesso alle tenebre di interferire con il suo fato; non avrebbe assecondato l'ordine ricevuto.

Non vedeva, non odorava, non udiva, non percepiva il proprio corpo, non provava fame, sete o sonno. Non avvertiva lo scorrere del tempo. In quello stato seicento anni o sessanta secondi avevano per lei la stessa durata: un eterno istante.

Quella bolla sospesa non riuscì a proteggerla per il tempo necessario, però, e si interruppe all'improvviso.

Così Sharlisse fu investita da un tornado di sensazioni. Dapprima il sottofondo del miagolio di disappunto dei gatti, intrappolati in casa da due settimane e che facevano di tutto per risvegliarla. Poi un peso sul suo sterno, leggero ma solido. Una piccola e ruvida lingua che le sfiorava le guance e il viso. Infine un battere insistente alla porta, il suo nome gridato con forza e frustrazione; ma, soprattuto, un'improvvisa fame atavica che aveva creato una voragine in lei.

«Signora Sharlisse? Sharlisse?» gridava la voce maschile dall'esterno, ogni parola sottolineata da un colpo secco alla porta. «È ancora viva, Sharlisse?»

Realizzato che era sveglia, tutti i gatti fissarono l'uscio e lei si trovò ad imitarli.

Poteva ignorarlo, doveva ignoralo, altrimenti ogni suo sforzo sarebbe stato vano.

Ma il suo vicino di casa non era uomo da sottovalutare. «Sharlisse, se non risponde e apre subito questa porta, la butto giù» dichiarò quel testardo di Brodin.

Lei sapeva che l'avrebbe fatto.

«Miao» mormorò con voce rauca e dolorante per il disuso. «Miao» ripeté appena più forte.

Brodin, arrivo, vi prego di lasciar stare quella povera porta; queste erano le parole che erano risuonate nella sua mente. Eppure al suo orecchio non era arrivato altro che un rauco miagolio.

Sharlisse osservò Diana, la gatta tricolore che stava ancora acquattata sul suo petto, la quale chiuse entrambi gli occhi, in quel modo che i gatti usando per assentire.

La donna, benché ormai non fosse più davvero tale, avvicinò il proprio muso a quello dell'animale. Sentì le proprie vibrisse scontrarsi con quelle di lei, percepì le fusa nella propria gola fuoriuscire ed espandersi, facendo tremare tutto il suo corpo in risonanza con esse.

C'era quasi riuscita. Le mancava così poco per unirsi alla sua famiglia. Se avesse rinunciato ora sarebbe andato tutto perduto. «Miao» mormorò, incerta. Nonna, cosa devo fare?

Diana aprì gli occhi, due oceani neri nella penombra. «Miao» le rispose. Vai, bambina.

Un coro di miagolii strazianti seguirono quell'invito. Ognuno di loro la stava incoraggiando. La sua famiglia, ridotta a semplici animali, la stava incitando a prendere ciò che era loro di diritto, ad accettare il compito che le era stato affidato.

Il ritmico battere alla porta cessò al levarsi delle voci dei gatti.

Sharlisse ringraziò mentalmente per la pace e faticosamente si mise in piedi. Sentiva il proprio corpo in transizione: ormai assomigliava più ad un grosso gatto che ad un essere umano.

Senza scoraggiarsi mosse un passo dopo l'altro, eretta su due zampe, bilanciata dall'inizio di una coda che doveva ancora svilupparsi del tutto.

Con attenzione e passi felpati raggiunse l'uscio di quella che era stata la sua casa per così lungo tempo che nemmeno se lo ricordava più. Attese qualche secondo prima di armeggiare con il chiavistello, rendendo noto a Brodin che stava per aprire.

«Alla buon'ora» commentò lui, suonando stranamente sollevato.

Sharlisse provò un moto di pietà e di gratitudine per quell'umano testardo. Tanto che, quando aprì la porta e vide la sua espressione passare dal sollievo al ribrezzo, quasi si sentì in colpa.

Ma la sua natura la chiamava e il suo sangue ribolliva. Lei aveva preso la propria decisione.

Con uno scatto felino atterrò il massiccio uomo saltandogli sul petto, comprimendo i suoi polmoni per impedirgli di respirare. Prima che lui potesse reagire al suo assalto, Sharlisse affondò i denti felini nella sua giugulare, stringendo con forza fino a far schioccare le ossa del suo collo, spezzandole.

Pulendosi il sangue dalla bocca con la lingua, Sharlisse trascinò il corpo privo di vita in casa.

Sedette di fianco alla propria preda, una zampa a trattenerla, a dichiarare che era sua.

La sua famiglia la osservò in attesa di scoprire cos'avrebbe fatto.

Quello era il vero punto di non ritorno.

Sharlisse non esitò ulteriormente.

Si nutrì.

Sangue e SogniWhere stories live. Discover now