L'orfano di Ilirea

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Non mancava molto all'alba. Il sentiero si era trasformato in una poltiglia fangosa e una nebbia densa e delle stesse cupe sfumature del cielo plumbeo avvolgeva e soffocava le forme allungate degli alberi, i rami ancora grondanti di acqua piovana. Dopo la tempesta, a dominare la radura rimaneva solo il silenzio.

Un bambino vestito di abiti consunti percorreva il sentiero zoppicando vistosamente mentre una smorfia di dolore ne trasfigurava il viso. Gli occhi azzurri simili a opali congelati o ad acqua limpida erano l'unica cosa di lui che era stata risparmiata dallo sporco. Era in viaggio da oltre una settimana e la sua casa era ancora lontana, così lontana...

Solo una settimana prima Gynliae era ad Ilirea con i suoi genitori. Suo padre e sua madre avevano combattuto valorosamente nelle ultime battaglie contro Galbatorix ed erano stati invitati a un banchetto da re Evandar in persona insieme ad altri soldati e signori elfici.

Nessuno avrebbe mai sospettato che proprio quella notte il disastro si abbattesse su Ilirea e sul popolo elfico. I pochi Cavalieri rimasti, insieme a uno sparuto gruppo di potenti stregoni, avevano appena portato a termine una missione di importanza cruciale: erano riusciti a scovare due Rinnegati e i loro draghi, riuscendo a ucciderne uno e a mettere in fuga l'altro.

Quella notte gli Äthalvard avevano cantato meravigliosamente, il bagliore delle lanterne incantate a guidare il loro cammino. Gynliae e sua madre Galiel li avevano seguiti tenendosi per mano e intonando i loro canti, le voci che si univano a quelle di altri alfakyn giubilanti. La frenesia delle danze, le melodie dei flauti argentei, le poesie e i giochi, i cibi esotici, il vino color porpora e i profumi inebrianti: Gynliae era rimasto estasiato e rapito dalla bellezza dei festeggiamenti.

Eppure, appena oltre le basse mura di marmo bianco, tra gli alberi del bosco che circondava Ilirea in un abbraccio rigoglioso e materno si nascondevano il Traditore e il fedele Morzan, pronti a sferrare il loro attacco e a scatenare distruzione e morte.

Gynliae ricordò gli avvenimenti con un brivido. L'attacco era arrivato dall'alto come una pioggia incandescente: nessuno aveva potuto contrastare il fuoco del drago nero di Galbatorix. Le lingue di fiamma avevano avviluppato decine di elfi e pochi secondi dopo di loro non rimanevano che le ceneri. Shruikan era atterrato sulle zampe posteriori con un fracasso assordante che aveva mandato in pezzi il sentiero di pietra candida sferrando unghiate possenti contro chiunque gli capitasse a tiro, una furia rovente negli occhi di ghiaccio.

Il Traditore era sceso teatralmente dalla groppa del suo drago sfoderando una spada dalla lama pallida. Gynliae l'aveva riconosciuta all'istante: era Islingr, l'arma di Vrael. Galbatorix, il cui volto era solcato da un sorriso crudele, stava sfoggiando quella lama unicamente per gettare scompiglio e confusione tra gli elfi, come a urlare loro in faccia che l'invincibile Vrael era caduto e che quello era il suo trofeo di guerra, strappato dalle mani senza vita dell'elfo morente. E non aveva tardato molto a trasformare il suo ghigno in parola: «Vrael è morto, Doru Araeba è distrutta!»

Gynliae non aveva visto e sentito altro, perché sua madre lo aveva preso in braccio iniziando a correre verso le porte della città. Gynliae si era aggrappato disperatamente a lei nascondendo il viso nell'incavo del suo collo mentre alcuni Cavalieri e altri soldati elfici si scagliavano contro il Traditore, le spade sguainate e i volti deformati da una rabbia cieca. E ciò che era accaduto dopo... Non voleva nemmeno pensarci.

Il piccolo elfo sussultò quando sentì una mano stringergli la spalla. Come poteva non essersi accorto che qualcuno si stava avvicinando?

Era una mano grande, forte, e non aveva la minima intenzione di lasciarlo andare. Un brivido percorse la sua schiena mentre alzò gli occhi chiari su quell'ombra silenziosa, i nervi tesi fino allo spasimo.

ElvesWhere stories live. Discover now