Nella stanza di cristallo

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Firnen riprese conoscenza e aprì lentamente gli occhi. La testa le doleva in modo insopportabile, ma riuscì comunque a raccogliere le forze e a riprendere il controllo del suo corpo intorpidito. Si trovava sulla nuda terra, lo poteva capire dal terriccio arido che le pizzicava la guancia.

La sua mente era annebbiata, non riusciva a pensare lucidamente. Aveva la spiacevole sensazione di avere dimenticato qualcosa di tremendamente importante, ma non sapeva cosa.

Provò a muovere le dita di una mano, si rese conto che erano umide e quando le avvicinò per annusare il liquido un odore ferroso e pungente le impregnò le narici. Sangue. Si sentiva ancora intontita, ma almeno adesso comprendeva il motivo del dolore alla testa.

Lo stato confusionale in cui Firnen si trovava non rese facile far riemergere alla memoria le parole di potere, così pronunciò l'incantesimo con la dovuta cautela e scandendo ogni parola con accurata lentezza. La ferita si rimarginò e subito si sentì meglio.

Ora che il dolore era scemato aveva spostato la sua attenzione verso ciò che la circondava. Una... stanza di ghiaccio?

Senza credere ai propri occhi si avvicinò carponi per sfiorare una delle pareti con un dito e scoprì con sorpresa che era tutt'altro che fredda al tatto. Niente ghiaccio, quindi, ma una superficie spessa, dura e lucente.

I raggi tenui del sole mattutino attraversavano le pareti senza difficoltà, ma le immagini di ciò che si trovava al di fuori dalla stanza giungevano deformate e confuse agli occhi di Firnen. Alzò il mento e guardò in alto: a sovrastarla vi era un'immensa cupola di quello che sembrava essere limpido cristallo trasparente.

Fu a quel punto che Firnen inziò ad avere paura. E fu proprio la paura a ricordarle che si trovava a Vroengard, l'isola dei Cavalieri dei draghi. La sottile coltre che ancora annebbiava la sua mente scomparve del tutto. I Rinnegati erano giunti a Vroengard per poi dare alle fiamme Doru Araeba. Era scoppiata una battaglia. Una fitta gli attraversò il petto: suo padre, Ahorin, era morto. Era stato Leum a dirglielo... lui era ancora vivo! L'aveva ritrovata per riportarla a casa, in salvo nella Du Weldenvarden, ma una fonte di potere magico scaturito da chissà dove aveva provocato una terribile esplosione e poi... il nulla. Non c'era nient'altro da ricordare. Dov'era finito Leum? E che cos'era quella strana stanza in cui si trovava?

Le pareti trasparenti la circondavano da ogni lato senza lasciare una via di fuga. Non vi era nessuna porta, nessun passaggio. Come era finita lì dentro? Un'altra domanda a cui non riusciva a dare una risposta. Come un'eco lontana ricordò le parole che suo padre era solito ripetere ai giovani Cavalieri che addestrava: Prima o poi vi ritroverete in situazioni in cui vi sarà impossibile ricondurre l'accadere alla logica. Forse era uno di quei casi in cui pensare con razionalità non sarebbe servito più di tanto. Doveva semplicemente trovare una via di fuga il prima possibile senza porsi troppe domande.

Ritrovata la sua risolutezza Firnen si avvicinò alla parete e la analizzò scrupolosamente, accorgendosi che alcune zone sembravano essere meno spesse di altre. In quei punti la luce riusciva a penetrare maggiormente e i contorni di ciò che si trovava all'esterno, seppur deformati dallo strano materiale, erano ben visibili. Firnen raccolse le energie, appoggiò il palmo della mano proprio in quel punto ed esclamò: «Jierda!»

Nulla. Firnen arretrò di qualche passo mordendosi un labbro per la frustrazione. Poi si riavvicinò alla parete, richiamò ogni briciola di potere magico e ripetè l'incantesimo. Il cristallo sotto il suo palmo emise un debole scricchiolio, ma nemmeno una piccola crepa sembrava averne intaccato la superficie.

Firnen sedette a terra, esausta. Quell'ultimo tentativo l'aveva sfiancata definitivamente. Pensò di dormire per recuperare un po' di energie e ritentare l'incantesimo, ma dentro di sè sapeva che difficilmente una bambina stanca e ferita avrebbe potuto riuscire in un'impresa simile. Quel materiale misterioso era estremante resistente. Era forse fatta di diamante? Se si trattava davvero di diamante, le possibilità di riuscire a infrangerlo rasentavano lo zero. Se solo Leum fosse stato lì con lei! I draghi, in situazioni di estrema necessità, erano capaci di compiere incantesimi in grado di piegare le leggi della natura. Forse lui sarebbe riuscito a creare un varco per liberarla, ma Firnen non poteva concedersi il lusso di aspettare di essere salvata. Non aveva idea di dove potesse trovarsi Leum e il fatto che l'ossigeno prima o poi sarebbe finito era un motivo in più per uscire di lì il prima possibile.

Capì che le rimaneva una sola possibilità. La più semplice, in effetti: scavare a mani nude una via d'uscita. Si era appena rimboccata le maniche che improvvisamente sentì le sue membra irrigidirsi in modo innaturale. Passò un attimo in cui non potè fare altro che trattenere il respiro. L'attimo dopo, non era più lei a respirare. Qualcuno lo faceva per lei. Non era lei ad aver alzato il braccio per sfiorare la superficie della parete con il palmo. Qualcuno o qualcosa lo faceva per lei, stava muovendo il suo corpo al suo posto. Con immenso terrore Firnen sentì la propria voce scandire un'unica parola, la stessa che aveva utilizzato senza successo per formulare il precedente incantesimo: «Jierda!»

Un immenso flusso di potere le attraversò il corpo e si scagliò contro la parete, che si frantumò come creta davanti ai suoi occhi increduli. Percepì la fonte di potere sbiadire e sfumare, un calore bruciante che poco a poco si tramutava nella fiammella tenue di una candela, per poi spegnersi del tutto. Fu allora che riuscì a controllare nuovamente il proprio corpo. Cadde a terra con un tonfo. Le braccia e le gambe le formicolavano come se una scossa elettrica ne avesse pervaso ogni centimetro.

Firnen inspirò ed espirò nel tentativo di calmare il battito del suo cuore, rimanendo immobile a fissare il varco che l'incantesimo aveva appena creato. L'assurdità dell'evento le impediva di trovare un senso a ciò che le stava accadendo. Per la prima volta si chiese se stesse sognando. Non si può prendere il controllo del corpo di una persona mentre è cosciente... o forse sì? Se era accaduto poteva succedere nuovamente, in qualsiasi momento, senza che lei potesse fare alcunché per impedirlo.

Si consolò al pensiero che anche se qualcuno aveva preso effettivamente il controllo del suo corpo, quel qualcuno era riuscito a liberarla, dunque non doveva trattarsi di un nemico. Quella nuova consapevolezza le fece recuperare un po' di lucidità. Non aveva senso rimuginare su quello che era appena successo. Ripensò alle parole di suo padre: la logica non era decisamente dalla sua parte, quel giorno. In tal caso, sapeva già cosa avrebbe dovuto fare. Fuggire il più lontano possibile. Trovare Leum. Tornare a casa. Piangere suo padre. Dimenticare.

Con cautela uscì dalla stanza sorpassando i detriti sparsi a terra. Il paesaggio che fino a poco prima della battaglia era un luogo verde, lussureggiante e pieno di vita, dopo l'esplosione si era tramutato in un mare di cenere. La terra emetteva fumi ocra e del color del carbone e la luce del sole era filtrata da un'atmosfera ostile, irreale. Anche l'aria era malsana e acre e il suo odore pungente. Firnen arricciò il naso e subito dopo fu colta da un eccesso di tosse. L'istinto le stava urlando di andare via da quel posto, il prima possibile.

Avanzò ancora di qualche passo prima di voltarsi verso la stanza che l'aveva tenuta prigioniera fino a quel momento e ancora una volta rifiutò di credere ai propri occhi. Non era affatto una stanza a forma di cupola. Era un drago. Era Leum. Non si era mai allontanato da lei, dopo l'esplosione. L'aveva protetta con il suo corpo e in qualche modo era riuscito a mutare sè stesso con la magia, un materiale abbastanza resistente da permetterle di sopravvivere.

«No...»
Firnen si accartocciò su sè stessa, incapace di sopportare altro dolore. Ora non le rimaneva più nessuno. Prima sua madre, poi suo padre e infine Leum. Ognuno di loro era caduto nel vuoto. Nimue e Ahorin per proteggere il regno degli elfi dal Traditore, Leum per proteggere lei.
Firnen si avvicinò tremando al corpo immenso di Leum e si accovacciò contro una delle sue zampe. Pianse le lacrime che le rimanevano e quando fu allo stremo delle forze si addormentò profondamente.

Cadde in un sonno popolato di sogni strani e inafferrabili. Nel sogno c'erano delle voci che giungevano da lontano, un posto che non poteva che essere remoto e distante. Provò a urlare per farsi sentire, per farsi trovare, ma non riuscì ad articolare alcun suono. Si sentiva la bocca secca e le membra doloranti. Qualcuno si stava avvicinando, le parlava, la avvolgeva in una coperta, la sollevava e la trasportava da qualche parte stringendola contro il suo corpo tiepido e donandole un po' del suo calore. Era davvero un sogno, o si trattava della realtà? Fino a poco prima, quando si trovava nella stanza di ghiaccio e una qualche entità sembrava aver preso il controllo del suo corpo, si era fatta la domanda opposta: era davvero la realtà, oppure aveva sognato? Era stanca di porsi quella domanda. Decise che non aveva più importanza e finalmente si abbandonò in quell'abbraccio.

NdA: fun fact il materiale in cui si è trasformato Leum è lo stesso della tomba di Brom trasformata da Saphira! Nell'immagine di copertina del capitolo trovate un'immagine AI generated di Vroengard, non è male vero? Nel prossimo capitolo presenterò il prossimo protagonista, a presto!

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