Il popolo del sottosuolo

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«Non se ne parla,» esclama l'altro. «I Mistress stasera suonano nel seminterrato di uno di loro, è una cosa che non fanno da un po' e non possiamo perderla,» annuncia John, annuendo solenne. «Presto firmeranno con un'etichetta, questa è l'ultima occasione per vederli prima che si montino la testa.»

«E va bene,» concede Jason.

Quindi è un basement show, pensa. Jason ne ha sentito spesso parlare, ma come per molte altre cose nella sua vita non se n'è mai davvero interessato. Sa solo che concerti del genere si svolgono nei seminterrati, nelle cantine o a casa di qualcuno. E che spesso sanno essere particolarmente distruttivi. A un primo giudizio non sembra un ambiente in cui si troverebbe a suo agio, tra ragazzini ribelli che si saltano addosso l'un l'altro, coperti da un frastuono suonato male e illuminati solo da una lampadina che pende dal soffitto.

Ma, insomma, c'è anche da dire che Jason ha acconsentito a creare una band con John Chapman, quindi non è che si possa più fidare di sé stesso.

«Devo farti conoscere un po' di gruppi, presentarti ai ragazzi che conosco,» dice John, nel bel mezzo del suo discorso pieno di inutili aneddoti sul gruppo in questione. «O almeno a quelli che sono rimasti.»

«È un obbligo socializzare con i musicisti di Urbana?»

«No,» dice John. «Lo è solo se suoni con me,» esclama, facendogli l'occhiolino. «Il bello di suonare in una band è anche conoscere tutte le altre. La scena, insomma.»

«Se lo dici tu.»

John lo squadra per un po', come se lo stesse studiando. Un silenzio imbarazzante cala sul garage, poi John si sistema sullo sgabello, che scricchiola un po', e sfiora uno dei charleston con le bacchette, sovrappensiero.

«Non c'è bisogno di essere sempre così teso,» dice. «L'unica volta che ti ho visto rilassato è stato quando abbiamo fumato.»

«Non sono teso, è solo che io...» inizia Jason, e mentre parla John ricomincia a suonare la batteria, continuando a guardarlo fisso negli occhi e cercando di leggere il labiale. Non ci riesce, quindi smette di suonare e sente solo la parte finale del discorso: «...e poi ci siamo visti solo tre volte, non ti sembra un po' presto per i giudizi?»

«Sarà,» dice John, e riprende a suonare.

***

Quando arrivano al concerto il seminterrato è già strapieno di gente. Sarà un'illusione data dalla stanza davvero piccola, ma Jason non si aspettava che ci fossero così tanti punk a Urbana.

«I Mistress sono molto seguiti, ultimamente,» esclama John, come se gli avesse letto nella mente. Tiene le braccia incrociate, guardandosi intorno curioso. «Ogni volta arrivano un sacco di ragazzi da tutto lo Stato.»

«Mi dispiace per il padrone di casa, allora.»

John accenna una risatina. Attorno a loro continuano ad entrare ragazzi di tutte le età, il popolo del sottosuolo di Urbana e dintorni concentrato in un minuscolo seminterrato di una casa in periferia.

Un paio di ragazzi con i mohawk sembrano riconoscere John e vanno da lui, lo accolgono con entusiasmo; tempo cinque minuti, e una marea di gente si accalca a salutarlo. Devono spargersi in fretta le voci, in uno spazio del genere.

Jason vede John prendersi abbracci e manate da tutte le parti e gli vengono i brividi.

«John! John!» Jason sente una voce su tutte, una voce insistente, che per questo si distingue dalle altre e si fa sempre più vicina; l'attimo dopo ecco ne che scorge la fonte. Un ragazzo con i capelli verdi e la pelle olivastra si fa strada a gomitate tra la gente; ha addosso una maglietta nera piena di buchi, pantaloncini larghi che arrivano al ginocchio, Converse sporche di terra, e nel complesso non sembra aver passato una bella giornata.

UrbanaWhere stories live. Discover now