ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 11

25 5 0
                                    

Per primo giunse lo sconforto, tanto grande da farle tremare le ginocchia. Poi arrivò la rabbia, che portò con sé la voglia di sbattere i pugni contro alla parete fino a spezzarsi le nocche. Infine, la confusione.
Era accaduto tutto quanto troppo rapidamente, in modo così dannatamente sbagliato. Catherine non riusciva a capacitarsi del fatto che Dave avesse potuto farle del male in maniera così crudele e sleale, mentirle per mesi interi per poi abbandonarla con un ridicolo messaggio di testo. Che ne sarebbe stato di tutti i loro progetti di una vita insieme, del sogno di meritarsi un'esistenza serena da condividere?
Strinse il cellulare nel pugno, così forte da rischiare di creare una spaccatura nello schermo, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime calde. La stanchezza mentale e la disperazione le rendevano impossibile affrontare una cosa del genere in quel momento, e così a denti stretti proseguì il suo cammino e riprese ad eseguire, in modo quasi robotico, le faccende che rientravano nella sua posizione lavorativa.
Trattenendosi a stento dallo scoppiare a piangere uscì sul balcone e raggiunse Conrad, sperando che lui non si sarebbe accorto del suo attuale stato emotivo: mai mischiare i problemi della vita personale con il lavoro, questa era una delle regole d'oro di ogni persona che ricoprisse la sua stessa occupazione. Afferrò le manopole e lentamente spinse la sedia a rotelle fino alla sua camera da letto, dove posizionò il giovane a un paio di metri dalla TV ancora spenta, che sintonizzò sul primo canale che capitò a tiro.
-Posso portarti di nuovo fuori nel tardo pomeriggio, se ti va- gli disse, cercando invano di impedire alla sua voce di tremare. -Adesso fa troppo caldo-.
Collegò la pompa per l'alimentazione al sondino e recuperò una sedia dal salotto, per potersi posizionare al suo fianco in silenzio. In realtà la sua intenzione era quella di allontanarsi e sfogare la sua disperazione un un'altra stanza, laddove lui non avrebbe potuto udire il suo pianto; tuttavia, allo stesso tempo aveva realizzato di avere bisogno di calore umano, in quel momento. E per quanto Conrad potesse essere quasi del tutto disconnesso da tutto ciò che lo circondava, la sua vicinanza la faceva comunque sentire meno sola.
Lo schermo piatto del televisore trasmetteva le immagini di un programma televisivo piuttosto banale, uno di quelli in cui i partecipanti devono rispondere ad alcune domande di cultura generale per vincere un premio in denaro; Catherine odiava quel genere di cose, ma quella mattina restò in silenzio a guardare pur di impedire alla sua mente di divagare; anche lo sguardo di Conrad era fisso sullo schermo del televisore, ma era difficile comprendere se vi stesse realmente prestando attenzione oppure stesse tenendo lo sguardo fisso su un punto del tutto casuale.
In contrasto con il silenzio soffocante che aleggiava nella stanza, gli applausi degli spettatori in studio produssero un fracasso che la ragazza percepì come estremamente fastidioso.
-Vedo se c'è altro- mormorò con un filo di voce, recuperando il telecomando che aveva riposto poco prima. Finì per navigare tra varie trasmissioni prive di spessore, documentari e vecchi film fino a che tutto lo sconforto che stava tentando di trattenere non la travolse all'improvviso come un treno in corsa: d'un tratto lasciò cadere il telecomando a terra e portò entrambe le mani a coprire il volto, scoppiando in un pianto disperato che scosse il suo corpo con una serie di spasmi involontari.
Le sue difese erano crollate come un misero castello di carte spinto da un soffio di fiato.
Lasciò che la tristezza la travolse perché quello forse era l'unico modo per renderla meno opprimente, nascondendo la faccia dietro alle dita quasi come se si vergognasse di farsi vedere il quel pietoso stato; quando fu riuscita a recuperare il controllo, asciugandosi distrattamente le guance in silenzio, si rese conto che Conrad si era voltato in sua direzione.
Con le lacrime agli occhi improvvisò una risata nervosa. -Tranquillo, non è niente- riuscì a balbettare, distogliendo lo sguardo. -Vado a sciacquarmi la faccia-.
Si sentiva una stupida ad aver agito in quel modo. Conrad non meritava di doversi subire anche i suoi problemi, senza dubbio ne aveva già a sufficienza.
Precipitandosi in bagno la ragazza si riempì d'acqua fresca le mani e le fece scorrere rapidamente sul volto, osservando poi la sua stessa immagine riflessa nello specchio. Era stravolta, paonazza, assolutamente patetica. Si sentiva davvero in imbarazzo per essersi dimostrata così fragile, e così stupida per non aver mai capito in tutti quei mesi che la sua relazione con Dave fosse in declino fino a quel punto.
Concentrandosi sul proprio respiro riuscì a regolarizzare il battito cardiaco, mentre strofinava un asciugamano pulito sulla sua fronte e sulle sue guance rosse; poi, quasi trascinandosi sui suoi stessi piedi, lentamente tornò a sedersi davanti alla TV evitando di proposito il contatto visivo con il ragazzo.
Poggiata sullo schienale con le mani strette tra le gambe serrate, Catherine si sforzò di portare la sua attenzione altrove senza riuscirci. A poche decine di centimetri di distanza Conrad sembrava fissarla intensamente, come se si stesse chiedendo che cosa le fosse accaduto e perché era scoppiata a piangere così disperatamente; nonostante il fatto che le sue labbra fossero rimaste immobili, erano i suoi occhi a parlare per lui.
-Non ti preoccupare, Conrad- mugolò la giovane, continuando a evitare il contatto visivo, preferendo invece rivolgerlo allo schermo illuminato. -Sto bene. È tutto ok-.
Decine di secondi di silenzio seguirono quella frase, che pronunciò con un tono di voce che tentava di essere rassicurante, ma che veniva clamorosamente tradito da un tremore costante. Poi lei finalmente si voltò, e mettendo in mostra un grande sorriso dettato dal nervosismo allungò una mano e affondò le dita tra i capelli dorati del ragazzo, arruffandoli amichevolmente. Non era giusto causare in lui della preoccupazione, doveva gia essere in pena per le condizioni di sua nonna, non aveva bisogno di ulteriore negatività. -Dovrai sopportarmi ancora per qualche giorno, finché Milena non torna- esclamò.
In quel momento finalmente le labbra del ragazzo si schiusero e la sua voce, che pareva risalire la gola con una fatica immane, risuonò debolmente nella stanza. -Med...icine..-.
Catherine lo guardò perplessa, realizzando in ritardo che cosa lui avesse cercato di dirle. Milena non le aveva mai dato disposizioni per quanto riguarda la terapia farmacologica, per questo stupidamente lei aveva creduto che il paziente non ne avesse nessuna. -Oh, ma certo- mugolò, balzando in piedi. Notificò la presenza di un sacchetto di plastica verde appeso nelle vicinanze del letto, che la portò a supporre che vi fossero conservati i medicinali da somministrare al ragazzo giornalmente; frugando tra le scatole, riuscì a identificare in modo pressoché immediato alcuni farmaci che già conosceva, come quelli atti a migliorare la circolazione sanguigna in soggetti che come lui avevano una mobilità scarsa o assente.
-Prendi tutta questa roba?- domandò, rovesciando l'intero sacchetto sul materasso per avere una panoramica più completa della situazione. Tra le varie gocce e compresse, in particolare, riconobbe delle sostanze che era certa non dovessero essere lì. Perché mai un ragazzo in stato catatonico aveva bisogno di assumere due tipi diversi di sedativi al giorno?
-Conrad, sei sicuro?-.
Si posizionò davanti a lui, con la schiena china in avanti ed i palmi puntati sulle ginocchia, nel tentativo di interpretare l'espressione sul suo volto; ma non ne ebbe bisogno, poiché poco dopo lo vide annuire debolmente con un movimento della nuca.
-Sì-.

CatatonìaWhere stories live. Discover now