ℂ𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 7

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Il silenzio era così penetrante da mozzarle il fiato, mentre a passo lento si addentrava nel salotto avvolto nell'oscurità. Puntò a terra la luce bianca generata dal suo cellulare, illuminando pile di vecchi libri e tutte le altre non ben definite cianfrusaglie che erano state disposte sul pavimento in modo caotico e disorganizzato; nonostante avesse prestato particolare attenzione a non calpestare o colpire nulla che avrebbe potuto generare del rumore, durante il tragitto le fu pressoché impossibile schivare ogni singolo oggetto che trovò sul suo percorso.
Catherine proseguì con il fiato sospeso, avendo cura di mantenere la torcia puntata non oltre un metro davanti a lei; i rumori che aveva udito poco prima, adesso era chiaro provenissero proprio dalla cucina. Udì il fracasso di un paio di cassetti venire aperti e poi richiusi, poi il rumore generato da alcune posate che ticchettavano venendo a contatto tra loro. Chiunque stesse armeggiando in quella stanza lo stava facendo a luci spente, probabilmente senza riuscire a vedere quasi nulla; proprio questo dettaglio, più di ogni altro, stava facendo salire a Catherine un terrore disarmante che partiva dalla bocca dello stomaco fino a far pulsare le sue tempie. Era praticamente certa che si trattasse di un ladro, e in effetti quando trovò il coraggio di avvicinarsi alla porta spalancata riuscì a distinguere chiaramente una figura umana in posizione eretta al centro della cucina.
-C..Chi è?- mormorò con un filo di voce, sollevando infine il cellulare ancora stretto nella sua mano destra fino ad illuminare chiaramente la stanza. Sentì il suo cuore mancare almeno qualche battito quando si trovò davanti la figura immobile di Milena, con il volto paonazzo e uno sguardo indecifrabile puntato dritto sulla luce del telefono. Indossava un classico grembiule da casalinga chiaramente macchiato di sangue e con una mano teneva sollevato a mezz'aria il corpo scuoiato di quello che pareva essere un coniglio; alcuni lembi di pelliccia giacevano sul tavolo, assieme al coltello che aveva utilizzato per staccarli dalla carne.
Paralizzata dallo stupore e dall'inquietudine la ragazza deglutí a vuoto, facendo istintivamente un passo indietro; il suo primo istinto in quel momento sarebbe stato quello di tornare indietro e darsela a gambe, ma Milena con un gesto rapido e deciso premette l'interruttore della luce, illuminando finalmente la stanza.
-Che ci fai qui, cara?- le domandò con una tranquillità disarmante, mentre si apprestava a distendere il corpo della bestia sul tavolo. Ora che aveva rimosso completamente la pelliccia, avrebbe dovuto occuparsi degli organi interni.
Catherine tentò di nascondere l'espressione terrorizzata che aveva sul volto, forzando le sue labbra a piegarsi in un falso sorriso. -Ho sentito dei rumori e... Pensavo...-. Il suo sguardo cadde ancora, quasi automaticamente, su quel coniglio scuoiato e sulla pozza di sangue che sul pavimento l'alta stava calpestando con le ciabatte.
-Oh, non ti spaventare, è soltanto una lepre- puntualizzò l'anziana, indicando la carcassa con la punta del coltello. -Il mio caro figliolo è un cacciatore, di tanto un tanto mi porta qualcosa-. Doveva aver percepito tutta la tensione che il viso della giovane esprimeva.
L'altra annuì vagamente; avrebbe voluto dirle che a spaventarla in quel modo non era stato soltanto il cadavere del coniglio, ma soprattutto il fatto che lo stesse scuoiando a luce spenta nel cuore della notte. Che senso aveva tutto questo?
-Capisco...- mormorò, sorridendo ancora. Continuava a non sentirsi a suo agio, percepiva qualcosa di strano nello sguardo di Milena. Il suo istinto fu quindi quello di lasciarla ai suoi "preparativi" e tornare nella sua stanza, consapevole che per tutto il resto della notte non sarebbe più riuscita a chiudere occhio. Ripensò a quello strano evento più e più volte mentre fissava distrattamente lo schermo della tv; non riusciva più a sentirsi al sicuro in quella casa.
Pur non avendo alcuno strumento utile all'autodifesa, la ragazza si era premunita di posizionare il bastone contro alla porta socchiusa in modo che questo, qualora fosse stata spinta dall'esterno, sarebbe caduto generando parecchio rumore. Si limitò quindi a controllare le condizioni di Conrad ogni ora senza più osare addentrarsi nel resto della casa, fino a che le prime luci dell'alba non la fecero sentire meglio; anche quella maledetta notte stava per terminare.
Riuscendo finalmente a calmare i nervi recuperò il cellulare e scrisse un breve messaggio a Dave.
"Ciao... Hai tempo per una chiacchierata, oggi? Volevo raccontarti una cosa strana che mi è capitata stanotte. Scrivimi o chiama appena puoi. Ti amo".
Erano circa le otto del mattino quando lasciò la sua stanza per raggiungere quella di Conrad, ora illuminata dalla poca luce che riusciva a penetrare le tapparelle abbassate. Il ragazzo se ne stava disteso sul letto nell'esatta posizione in cui lo aveva lasciato, con le palpebre calate e il volto rivolto verso il soffitto; pareva estremamente rilassato, ma era difficile riuscire a comprendere per davvero cosa lui stesse provando.
Per prima cosa la ragazza si apprestò a sollevare le tapparelle e spalancare la finestra, in modo da permettere all'aria fresca del primo mattino di inondare la stanza; fu allora che lui aprì gli occhi, forse sollevato dalla brezza fresca che finalmente riusciva a raggiungere il suo corpo.
-Buongiorno- esclamò Catherine non appena si accorse di averlo svegliato, allargando un ampio sorriso. -Facciamo entrare un po' d'aria, ok?- esclamò. -Fa proprio caldo qui dentro-.
L'espressione sul volto di Conrad non variò di una virgola, ma vide che i suoi occhi castani stavano seguendo ogni suo movimento. Ciò significava che lui non era del tutto disconnesso da ciò che lo circondava, così come aveva tenuto a puntualizzare più volte la nonna.
Con un gesto gentile la ragazza si mise a sedere sul bordo del letto, con le braccia intrecciate sul petto. -Ti sta bene, se al mattino apro un po' la finestra?-. Ovviamente non si aspettava alcuna risposta dal suo interlocutore, ma comunicare con lui in quel modo era letteralmente l'unica strategia che aveva per tentare di instaurare un legame di fiducia. Inoltre, pur non avendo alcun tipo di riscontro, dentro di sè era praticamente certa che Conrad fosse in grado di comprendere ogni sua parola.
Alzandosi in piedi andò a spegnere la piccola abat jour che Milena utilizzava durante la notte e raccolse da terra una pila di panni sporchi, che trasportò a fatica fino al bagno in cui si trovava la lavatrice. Avrebbe voluto occuparsi dell'igiene del ragazzo e mettergli dei vestiti puliti, ma sapeva bene che la padrona di casa non le avrebbe mai concesso di fare una cosa del genere; così, avviò un programma di lavaggio delicato e tornò della stanza di Conrad, attendendo con lui il risveglio dell'anziana donna.
Per qualche motivo gli occhi del ragazzo erano costantemente puntati sul suo volto, quasi come se avrebbe voluto dirle qualcosa ma fosse impossibilitato a farlo. Immaginare che il proprio corpo potesse diventare una vera e propria gabbia faceva letteralmente rabbrividire Catherine, che non riusciva neanche vagamente a immaginare che cosa potesse voler dire vivere in una condizione così estrema.
Si mise a sedere in silenzio sulla sedia a rotelle del paziente, spingendola lentamente fin affianco al letto; poi, con un gesto tanto dolce quanto delicato, aprì il palmo di una mano e la strinse un quella di lui, come a volergli trasmettere un poco di conforto. Il suo sguardo immobile era adesso puntato sulla finestra spalancata, oltre la quale poteva scorgere i profili di alcuni palazzi illuminati dalla luce dell'alba.
A interrompere il pacifico silenzio che adesso inondava la stanza fu il suono squillante di una notifica, proveniente dal cellulare che Catherine teneva in tasca.
"Oggi non posso amore. Ti chiamo prima possibile, promesso".

CatatonìaWhere stories live. Discover now