Ehi, Bomber, resta a gioca', no?

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Si alzò dal letto dopo una notte pressoché insonne. Aprì l'armadio e cercò con veemenza la tuta amaranto della sua ex-squadra, la Sama. Era finita lì dalla primavera precedente. La trovò, si calmò e la indossò. Si guardò nello specchio. Era cresciuto durante l'estate: la tuta gli lasciava polsi e caviglie scoperti, ma non importava. Per i funerali del Mister non avrebbe potuto mettere altro.

Aveva saputo della sua morte il giorno prima, dopo pranzo.
Rientrato da scuola aveva lasciato, intenzionalmente, il cellulare con i libri nella propria camera. Era già di cattivo umore: meglio evitare le solite lagne e i soliti rimproveri se avesse chattato mentre era a tavola.
Non aveva molto appetito, però. Dopo il primo, scusandosi, se ne tornò in camera. Irma, la madre, rimase interdetta a metà del suo sermone preferito su giovani-impegno-valori-doveri-scuola e sul fatto che era solo lei ad occuparsi di lui visto che il padre, a quanto diceva, aveva sempre da lavorare. Anch'ella era di cattivo umore. Decisamente.
Più che uscire, scappò dalla cucina. Una volta nel corridoio si strinse nelle spalle, alzò il cappuccio della felpa sulla testa, cosa vietata durante il pranzo, e rientrò in camera. Trovò il cellulare che vibrava in continuazione. Si preoccupò: c'erano trentacinque (!) messaggi nella chat whatsapp della sua ex-squadra. Uno si ripeteva su tutti: «#tristissimo 😱 Guarda Insta 🥵 😡» e un link. Seguì il link. Lesse, rilesse, incredulo, scoppiò a piangere: «Ciao Mister, te ne sei andato all'improvviso. Ci mancherai tanto», così sulla pagina dell'A.S.D. Sama Football Club. Mister Franco era morto. Inaspettatamente, d'infarto. Il cuore, avrebbe saputo successivamente, si era fermato mentre cercava di alzare una cassa di bottiglie di vino, «di quello bono». Si era accasciato a terra già senza vita. Inutili i soccorsi.

Con le lacrime agli occhi, lesse i commenti degli ex-compagni di squadra. Gli vennero i brividi: ognuno di loro aveva sostituito la foto del proprio profilo con quella sorridente del Mister. Raccapricciante e dolcissimo: ogni post aveva la stessa foto, cambiava il nome del ragazzo e il testo, comunque breve. Anch'egli sostituì la foto del proprio profilo con quella del Mister e nella chat scrisse:"😱 Nooooooooo! 😱". Ricevette like ed emoticon immediatamente: si sentì riaccolto. Mise gli auricolari wireless. Alzò il volume a palla: i Queen l'avrebbero aiutato a sfogare rabbia e dolore. Forse. Cominciò a cantare ad alta voce. Cantava e piangeva disperato.

Mister Franco, in realtà, era l'allenatore in seconda. Pensionato con scivolo, sposato, senza figli, dopo 36 anni di pubblica amministrazione, era tornato ad allenare a tempo pieno, almeno per l'impegno che ci metteva. Era nato a Sama, nell'entroterra romano. All'età di otto anni si era trasferito nei pressi del centro smistamento delle Ferrovie dello Stato di Roma Salario, dove il padre lavorava. Da ragazzo aveva giocato sui campi polverosi a Nord di Roma, dove la Capitale cominciava ad espandersi. Tosto, motivato, centrocampista, era bravo ad organizzare il gioco, fino a quell'incidente grave a 17 anni che gli avrebbe rovinato per sempre ginocchio sinistro e carriera. Anche dopo l'incidente, però, il calcio occupò il primo posto nei suoi pensieri. Di mattina il Ministero (lavoro ottenuto grazie all'invalidità), di pomeriggio l'allenamento dei ragazzi, le trasferte con il pulmino che guidava, i tesseramenti, le chiacchiere con i genitori. Le partite nel fine settimana lo tonificavano: anche se non si sedeva mai in panchina, non sentiva dolore al ginocchio. L'adrenalina era meglio di qualunque antinfiammatorio.

Una volta in pensione, Mister Franco, era tornato a Sama. Aveva smesso di allenare. Voleva trascorrere più tempo con la moglie, la signora Marisa, come la chiamava. Inoltre 160 chilometri al giorno per andare e tornare dalla sua vecchia società erano un po' troppi. Dopo un po', però, si era stancato di badare al giardino, guardare la televisione, seguire la moglie, fare la spesa e scegliere il detersivo più economico. Un giorno, subito dopo Ferragosto, passando davanti al Centro Sportivo del Sama F.C. (due campi in terra battuta e uno di calcetto all'interno di una tendostruttura geodetica) seguendo l'istinto, ma fino ad un certo punto, entrò negli uffici della società, pensando: «O Roma o morte. Alla peggio dicono di no». Il Presidente, quasi coetaneo, lo ricordava bene e lo riconobbe subito, anche perché non riusciva mai a portargli via la palla quando giocavano contro. Poteva, però, offrirgli solo un incarico da secondo-allenatore con un rimborso spese, quasi simbolico, ma #chissenefregava, come dicevano e scrivevano in una parola sola i ragazzi.
«Iniziamo fra tre giorni, lunedì prossimo».
«Ci sarò!»

Una partita, ancora unaWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu