013. T R E D I C I

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La settimana successiva a quel giorno fu un completo disastro. Proprio in questa tutto iniziò.

Sadie venne ricoverata in ospedale. Nessun dottore sapeva cosa avesse, quale strana malattia l'avesse infettata. Venne intubata e imbottita di farmaci. Ma lei non era l'unica ad aver causato scompiglio: lo scienziato dei sotterranei era sparito. Quando andammo a controllarlo per capire cosa fare o come farlo andare via, la stanza era vuota. Non c'era anima viva.

     Scoprimmo successivamente che si era sbarazzato in qualche modo delle catene, poiché trovammo del sangue nel punto in cui era legato, per poi scappare. Probabilmente aveva infettato già altre persone, aveva creato il caos.

Venne imposto un coprifuoco per tutti i cittadini, ma molti, soprattutto giovani come noi, non lo rispettarono essendo curiosi di vedere "gli infetti."

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«Papà puoi passarmi il sale?» allungò la mano e mi passò il piccolo contenitore di vetro. Lo ringraziai e subito dopo sparsi un pizzico di sale sulla carne scondita.

     «Pensavo di averne messo. Scusatemi tanto» come al solito mia madre si sentì in colpa anche per delle cavolate. In questo periodo era diventata molto più sensibile, si sentiva sempre più nel torto. Odiavo tutto ciò.

     «Non fa nulla mamma» le sorrisi prendendole la mano, stringendola e cercando di darle un po' di quella sicurezza che avrei voluto tanto recuperasse.

Stavo facendo tutto il possibile per aiutarla, ma la diffusione del virus continuava ad espandersi. L'unica cosa positiva era che avevo avuto modo di imparare meglio questa malattia. I sintomi cambiavano da persona a persona: Sadie aveva stanchezza, fori sulla pelle che poi scoppiavano; lo scienziato delle vene rilevate, occhi iniettati di rabbia; mamma invece delle bolle solo sulle punte delle dita e un calo psicologico. A causa di tutte queste differenze, arrivai alla conclusione che era impossibile definire dei sintomi esatti. Non era carina come cosa da fare, ma gli scienziati più famosi non lo sono diventati sacrificando quello che avevano?

     Lasciò la mia mano e cominciò a tenere fisso lo sguardo verso un punto casuale. Sembrava come se stesse in uno stato di trance.

     «Mamma?» la scossi ma non si mosse di un millimetro. Mio padre si bloccò, con un boccone ancora in bocca. Cazzo, non può essere già arrivato il momento.

     Gettò lontana la sedia e, dopo essersi alzata, si diresse verso la porta finestra che affacciava sul prato di casa nostra. Quello che successe dopo, sembrò una scena da film dell'orrore.

Cominciò a dare colpi con le nocche ma, dato che il vetro era abbastanza resistente, l'unica cosa che si ruppe furono i primi strati di pelle delle sue mani. Mio padre rimase immobile, era terrorizzato. Così come il nostro cane al di là della finestra.

Poi si fermò, guardandosi intorno prese un oggetto pesante, per poi cominciare a picchiare più forte di prima. Il cane abbaiava, mio padre immobile, io non sapevo cosa fare. La continuammo a guardare finché il vetro finalmente si spaccò.

Rimase immobile per qualche secondo, poi cominciò a fare lentamente qualche passo verso Keira. Si avventò su di lei e proprio in quell'istante non vidi più nulla. Cominciai ad urlare, strattonai mia madre che era distesa sul cane, intenta a strangolarla.

'Ormai non è più tua madre', la presi di forza e la scaraventai a terra, prendendo in braccio Keira.

     «Elide devi andartene — urlò mio padre, finalmente risvegliato dallo stordimento — la terrò io, tu scappa da qui!» inizialmente titubante lo guardai con le lacrime agli occhi.

     «Io... non posso...» continuai a piangere mentre Keira non si muoveva di un millimetro dalla mia spalla. La mamma stava iniziando a rialzarsi da terra.

     «Ti prego vattene!» mi lanciò il mio telefono e una busta di pane. Afferrai tutto e, dandogli un ultimo sguardo, indietreggiai, per poi scappare via.

     Continuai a camminare, con le lacrime agli occhi che continuavano a scendere, non sapendo dove andare. O meglio, solo i miei piedi lo sapevano.

     Bussai alla porta color panna, dalla quale i miei piedi mi avevano condotta, aspettando che qualcuno aprisse, fino a che da dietro la porta sbucò la governante. Impassibile come ogni volta che la vidi, chiamò immediatamente Liam. Lui arrivò dopo un po'. Nel mentre la signora mi fece entrare.

     «Elide?» scese lentamente le scale guardandomi confuso. La governante se ne andò e, appena ci lasciò soli, scoppiai per l'ennesima volta a piangere, accasciandomi a terra. Il corvino, alla vista del mio crollo, si diresse da me, per poi avvolgermi in un abbraccio.

     «È crollato tutto Liam, siamo tutti fottuti» dissi tra un singhiozzo e un altro. Ma lui, più confuso di prima, non riuscì a capire cosa fosse successo. Così, gli raccontai tutto. Delle condizioni in cui era Sadie all'ospedale, di quello che era successo a casa mia quella sera. Lui non aprì bocca per tutto il tempo in cui parlai, seguì ogni mio singolo movimento e ascoltò. Gliene fui grata.

Mi fece preparare una cioccolata calda dalla governante per poi farmi sedere sul divano in cui ci eravamo addormentati la volta scorsa. Appena mi ricordai di quel giorno mi sentii terribilmente in colpa.

     «Abbiamo perso troppo tempo. Io ho perso troppo tempo. Avrei potuto fare qualcosa e invece mi sono... – mi bloccai riflettendo su quello che stavo per dire – Sono un'egoista, sarei dovuta stare io al posto di Sadie» la risposta a quello che avevo detto non tardò ad arrivare.

     «Finiscila» la sua voce era così decisa che per un momento ebbi seriamente paura.

     «Non è colpa tua, perché poi dovrebbe esserlo? Anche io mi sono concentrato su di noi, nonostante il virus fosse un problema più grande. Sono stato sempre con te, ti sono sempre stato accanto; quindi, nel caso la colpa sarebbe anche la mia. Ma che avresti voluto fare? Sarebbe finita comunque così – si fermò per un momento – forse avresti potuto evitare ora l'infezione su tua madre, ma le sarebbe arrivata comunque in futuro. Nessuno ha la cura e nessuno l'avrà mai, solo noi siamo in possesso di qualcosa che potrebbe aiutarci a trovarla» annuii e finii la cioccolata, scaldandomi le mani con il calore ancora rimasto sulla tazza. Lui intanto si alzò, mettendosi di fianco a me. Scostò la parte di capelli che scendevano sulla spalla rivolta verso di lui.

     «Dovremmo creare una squadra, in caso la situazione peggiorasse intendo» ridacchiò facendo sorridere anche me.

     «E chi dovrebbe esserci in questa squadra?» chiesi incuriosita.

     «Non saprei. La nostra classe forse, sarebbero tutti utili in qualcosa» la mia mente materializzò subito l'immagine di Caroline. 'In cosa sarebbe utile lei, a darmi fastidio?' Mi si creò una smorfia sul volto e non passò inosservata.

     «Forse non tutti» rise.

     «Non è una cattiva idea – ignorai la sua risposta – non possiamo trovare in due la cura, nei film c'è sempre una squadra» sorrisi.

     «Beh sì, ma nei film qualcuno viene sempre sacrificato» e il mio sorriso si spense immediatamente al rumore di quella verità.

    «Ma nessuno ci vieta di fare il remake dei soliti cliché, o sbaglio?»

     E così i giorni passarono. Ormai mi ero trasferita a casa di Liam, a lui fortunatamente questo non diede fastidio, anzi, gli fece piacere avere qualcuno con cui combattere la noia. Non uscivamo mai, nemmeno Keira. Le scuole ormai erano state chiuse e per il cibo andava la governante a fare la spesa una volta al giorno. Ogni tanto mi faceva pena e avevo paura per lei, ma a lei non importava, ci andava come se il virus non esistesse.

Provavo anche io a pensarla così, ma il virus c'era, ed aveva già infettato metà della popolazione.

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⏰ Last updated: Jan 02 ⏰

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