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Il mio cuore ha preso un ritmo proprio da quando sono iniziati ad arrivare i vari genitori e fratelli di noi esseri pericolosi. Sono fuori dalla mia stanza, truccata e agghindata come mai sono stata nelle ultime settimane, da quando mi trovo qua dentro vivo in tuta. Stranamente, anche se non lo trovo per niente comodo, mi piace sentirmi carina, accettabile in un bel vestito, con un'acconciatura e un po' di trucco; magari eviterei i tacchi, ma come mi dice sempre mia madre "Chi bella vuole apparire un po' deve soffrire". Uscita dal bagno ho trovato solo Michael in stanza, Calum per quello che mi ha detto il rosso è super attaccato a sua madre, quindi per lui, vederla è la gioia più grande; per questo era corso sotto non appena le voci degli altoparlanti avevano annunciato l'arrivo dei primi ospiti. Ora sono sola, mi capita troppo spesso, fuori dalla mia camera che aspetto non so neanche io cosa per scendere nella hall, che è stata addobbata a festa; dovrei cercare i miei genitori e Luke. Penso che scendendo le scale con questi tacchi potrei cadere e storcermi la caviglia, o ancora peggio cadere e battere la testa e in entrambe le situazioni tutti i presenti si metterebbero a ridere, prendendosi gioco di me. Poi inizio a pensare anche al fatto che i miei vorranno di certo parlare con Ashton, per capire come sta andando; lui gli dirà della mia paura per Calum e loro si dispereranno, aggrappandosi alla speranza che solo mio fratello può essere il figlio perfetto. «Che aspetti?» Una voce femminile e familiare mi fa quasi saltare in aria e precipitare giù dalla balconata. Mi giro e noto solo ora la ragazza bionda con un abito lilla che le sta divinamente. «Eliza,» mi volto nella sua direzione completamente e sospiro sconfitta. «Vieni, affacciati con me e vediamo se individuiamo i nostri compagni di stanza, credo proprio che ci abbiano lasciate sole.» Scrolla le spalle e si avvicina alla balconata, fino a poggiarsi su con i gomiti e guardare giù. Ma non era anche lei una Paura? «Non hai paura?» Le chiedo continuando a tenere la distanza dal corrimano. «No, non più, te l'ho detto, sto guarendo. O forse non te l'ho detto a te. Non importa, sto guarendo.» Quasi urla l'ultima frase e posso percepire la gioia nella sua voce, nonostante io non l'abbia mai provata. Quindi sto in silenzio non sapendo cosa dire o come comportarmi. «Ho trovato Ashton!» Si gira verso di me e di slancio mi da un abbraccio che mi pietrifica, poi si stacca e sorride, «Vado da lui, ti conviene scendere, i tuoi ti staranno cercando.» Asserisce prima di incamminarsi probabilmente verso l'ascensore, sparendo infatti, dopo il secondo angolo del corridoio.

 A debita distanza provo a sporgermi lievemente verso giù, vedo tanti colori e tante persone camminare; c'è un movimento frenetico come se nessuno fosse fermo sul posto, tutti hanno un compito stasera: chi annuncia ai propri genitori una bella notizia e chi invece una brutta, ma hanno tutti cosa dire. Perchè sostanzialmente tutte le due/trecento persone che si trovano al piano di sotto hanno un'emozione che io non ho: l'amore. Infondo è l'emozione che fa si che loro cerchino i propri cari per parlargli o abbracciarli, per una sola sera, prima di tornare alle solite attività sperimentali che ci dovrebbero curare. Mi faccio di un solo passo avanti, e ovviamente inizio a respirare affannosamente, devo mettermi una mano sul petto per cercare di calmarmi, ma allo stesso tempo so che sono io che voglio sporgermi, voglio essere come Eliza, che è quasi guarita; lei non ha paura d'importunare le persone nè di sporgersi dalle ringhiere. Sembra davvero bello. «Mi avevano detto che ti avrei trovato qua...» Mi immobilizzo nuovamente, so già che i suoi occhi azzurri sono fissi sul mio volto e sta aspettando che io lo guardi e magari come ogni sorella farebbe, lo abbracciassi. Ma prima mi allontano dalla sporgenza, chiudo gli occhi e inspiro tutta l'aria che i miei polmoni possono contenere. «Luke,» finalmente lo guardo, sempre vestito maledettamente impeccabile, i suoi ricci dorati al loro posto e gli occhi vispi. «Provi a superare le tue paure, ma non provi neanche per sbaglio ad abbracciare il tuo fratellone, vero?» Alzo gli occhi al cielo e scuoto la testa, «Non sei divertente. Poi chi ti ha detto che ero qua?» Domando infastidita, mentre lui si avvicina a me e mi stringe leggermente. Mi divincolo, senza fargli capire troppo esplicitamente che non voglio assolutamente contatti. «Calum, lo conosco, giocavamo a calcio insieme.» E un po' rimango perplessa, non per il fatto che mio fratello conosce Calum, ma perchè è stato lui a indirizzarlo da me. «Quindi tu sai...» Lascio la domanda in sospeso; ho paura, se lui ne fosse all'oscuro, non dovrei di certo dirglielo io. «Si,» annuisce, «So che Calum è qua dentro da quattro anni. Sono il futuro Sindaco della città; ho scelto insieme al consiglio di dargli altri dieci mesi prima della sua fine.» Sbuffo una risata amara e cattiva, è crudele uccidere una persona solo perchè è di troppo e "pericolosa". Nessuno merita la morte, neanche un essere come Rabbia. «Vieni da mamma e papà, loro ti stanno aspettando; infondo sei la loro bambina.» Gli faccio un cenno con la testa e ci dirigiamo in silenzio all'ascensore.

101% EmotionsWhere stories live. Discover now