Capitolo 32 (Seconda parte)

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La ragazza con il caschetto castano, che gli dava le spalle, si voltò, lo scrutò velocemente e sgranò gli occhi, incredula. Sembrava avesse visto una celebrità defecare dietro un cassonetto nel giorno di San Patrizio. «Daniel Macdaniel?!» esclamò a bocca aperta, si intravedeva l'apparecchio.

«Diana, lo conosci?» domandò la donna al suo fianco con cui stava parlando. Aveva dei capelli castani come la ragazza, ma delle ciocche grigio-biancastre rendevano quel castano ancora più chiaro. Ma gli occhi erano molto simili.

«Ci conosciamo?» disse Daniel nello stesso momento. Lo conosceva? Era un cattivo segno? Non ricordava tutte le persone con cui era stato stronzo.

«Non proprio», fece, «Eri molto popolare alla Boston High School. Comunque, sono l’amica di Ellen White, ci siamo incrociati qualche volta».

Era fottuto. Poteva dire addio al lavoro.

«Vuoi ordinare, little boy

Alzò gli occhi al cielo, «Zia!»

«Veramente sarei qui perché mi hanno riferito che cercate personale. Vorrei chiedere un colloquio al proprietario».

«Sono io la proprietaria», fece il giro del bancone, parandoglisi davanti e porgendogli la mano, che Mcdaniel strinse immediatamente. «Patricia Gardner, piacere di conoscerti…»

«Daniel Mcdaniel», si presentò.

«Sembra uno scioglilingua», sghignazzò. Era una donna, ma ridacchiava come una sedicenne. Già gli piaceva, aveva senso dell’umorismo. «Lasciatelo dire, little boy suona decisamente meglio», strizzò l'occhio mentre Diana sembrava morire dall’imbarazzo per il comportamento della zia. «Ti hanno riferito giusto, cerco personale. Diana ha la scuola e non può aiutarmi sempre».

«A proposito di scuola», la ragazza lesse l'ora sul telefono, «Sono ufficialmente in ritardo se non vado via ora». Si slacciò velocemente il grembiule nero, afferrò lo zaino abbandonato su una sedia. «Comportati bene, zia! Ciao Daniel!» li salutò uscendo di corsa.

Danny sperava davvero che lei fosse all’oscuro dei diverbi avuti con Chris e Vick. Fece un respiro profondo, ricordandosi di fare un passo per volta, non poteva fuggire dalle conseguenze.

«Stai sereno.» La sua preoccupazione gli si leggeva in faccia? «Il colloquio sta andando bene, hai qualche esperienza?».

Quello era un colloquio? «Ho lavorato per qualche mese nel bar del college».

«Perfetto, little boy. Spero supererai il periodo di prova». Perché quella frase gli sembrava una minaccia? Danny si ritrovò a pensare alla seria possibilità della vendetta di Victor.

§

Le parole di quell’idiota di suo nipote non avevano fatto altro che rimbombargli nella testa. Gli sembrava essere passato solo qualche giorno da quando correva per casa con il pannolino sorridendo come un ebete. Doveva essere passato poco tempo da quando Hanna aveva in braccio quella peste dagli occhi celesti ed i capelli biondo ramati e lo chiamava “vecchio” con quella sua vocina stridula. Ma la sera passata con Victor gli aveva fatto capire che ormai era un uomo, e non si era reso conto di quando fosse avvenuto questo cambiamento, questa trasformazione.

In tutti quegli anni aveva cercato di fuggire dal suo dolore, ma non vi era riuscito. Lo aveva seguito impedendogli di vivere, il dolore del lutto lo aveva divorato da dentro, gli aveva lasciato un vuoto impossibile da riempire. Aveva imparato a conviverci, ma non l’aveva affrontato, non era riuscito ad andare avanti. Hanna. Leena. La sua bellissima Leena. Aveva lottato con il suo migliore amico Bob per conquistarla. Aveva lottato anche con lei, a dirla tutta, era una ragazza forte ed indipendente. Era una di quelle persone che un semplice sorriso sapevano risollevarti la giornata, farti stare bene. Era la sua forza. Ma doveva andare avanti e si sentiva tremendamente in colpa per questo. Lei non avrebbe mai avuto la sua età, non aveva e non avrebbe mai vissuto ciò che stava vivendo lui. Perché gli era stata strappata via l'opportunità di farlo. Hanna non avrebbe mai visto il futuro di Vick, si sentiva uno schifo, perché lui avrebbe potuto farlo. Scese dall’auto ed osservò il locale dell’amico, era arrivato il momento di ricominciare a vivere e provare ad essere felice. Doveva per sé, per Hanna, per Leena e per quella Testa di rapa. Entrò, la musica del piano faceva da sottofondo rendendo la sala più elegante di quanto non lo fosse già. Prima di affrontare il passato, però, constatò di aver bisogno di un aiutino. Quale miglior aiuto di un po' di alcool in corpo? Si sedette sullo sgabello, davanti al bancone. «Buona sera», salutò il ragazzo.

E il tempo scivola viaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora