Capitolo 32 (Prima parte)

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«Che cazzo ridi?! Giuro vengo lì e- » urlò, sentì anche un tonfo, probabilmente aveva battuto un pugno su una superficie. Un tavolo?

«A rigor di logica, dovresti esserlo diventato anche tu, non credi?» domandò ironico con la voce intrisa di ilarità. «Senti», di colpo si fece serio, «Io e Daniel non stiamo più insieme, so che ha fatto coming out confessando i suoi sentimenti e non dovrei, non vorrei, immischiarmi. Ma, a te, sapere cosa, o meglio chi, gli piace e con chi va a letto, cosa cambia? È sempre lo stesso, cambia solo il fatto che tu lo sappia. Non puoi impedirgli di essere se stesso.» Osservò il soffitto senza guardarlo davvero, strinse la presa sull’apparecchio vicino all'orecchio. «Sapeva che non potevi ricambiarlo».

«Sapeva anche come avrei reagito», sottolineò piccato. Lo stava facendo innervosire, stava giocando con il fuoco.

Peccato che il teppista non avesse paura di lui, cosa poteva fargli? L’unica seccatura era sentirlo gridare direttamente nel suo povero orecchio, che già stava rimpiangendo quel silenzio assordante che gli aveva tenuto compagnia tutta la notte. «A volte…» iniziò, per poi correggersi dopo aver sospirato. «Spesso, bisogna fare qualcosa affinché le cose cambino, anche mettere un punto, voltare pagina. Lui sapeva come avresti reagito, ma che scelta aveva? Continuare a mentire? Lo avresti preferito?»

«Si», rispose d’impetò per poi bloccarsi, ghiacciato. Rimase in silenzio per qualche minuto, poi il suo respiro si fece meno rigido. «No», sussurrò come se non volesse farlo sentire nemmeno a se stesso.

Voleva chiudergli il telefono in faccia, era irritato. Cosa c'era da accettare? Daniel era libero di vivere la sua sessualità senza dover essere giudicato da un idiota, o coglione come spesso si divertiva a chiamarlo, come lui. Era libero di vivere la propria vita a modo suo senza tener conto a nessuno, come faceva lui, come faceva Kevin. «Senti», asserì secco, il filtro che collegava il cervello alla bocca ormai nello scarico. «Se vuoi essere suo amico, devi accettarlo così com'è», si maledisse mentalmente per quella scelta di parole, «E devi dargli tempo».

«Come puoi chiedermi una cosa del genere?!» domandò con un tono amaro nella voce, simile al sarcasmo.

«Non te lo sto chiedendo, dimentichi che non mi importa di ciò che farai, della vostra amicizia. Anche se non dovrei, e non lo meriti», sottolineò, «Ti sto consigliando un modo per rimediare a- », s’interrrupe. Stava davvero per dire “alla tua omofobia del cazzo”?! «A ciò che hai fatto», ringraziò mentalmente i freni inibitori tornati momentaneamente al loro posto.

«D'accordo», annuì dopo altri minuti di puro silenzio. Sembrava… Stanco? Arrendevole? Esausto? E per un attimo, Victor si chiese se stesse dormendo come si deve e non avesse preso la scusa dei ritardi in officina per coprire la sua insonnia, per aver perso il suo migliore amico.

«Perché hai chiamato me, Kevin? Perché hai chiamato me, che odi così tanto, un omosessuale, e per di più l’ex del tuo migliore amico per parlare proprio di quest’ultimo?»

«La noto anche io l'ironia», ridacchiò flebile.

«Questa è un’ironia che mi irrita», si sollevò sedendosi sul bordo del letto.

«Brucia, come quella che hai sempre rivolto a me», sottolineò.

«Ti blocco, a mai più omofobo del cazzo», cantilenò chiudendo la chiamata senza attendere che rispondesse con qualche altra frecciatina delle sue. Glielo aveva detto comunque, non gli importava più nulla. Lo bloccò, preso dall’esaurimento e lasciò malamente il telefono sul materasso. Perché lo aveva aiutato a riappacificarsi con Daniel? Lo aveva fatto per lui? No, era certo che lo aveva fatto per il suo ex, perché sapeva come ci si sentiva ad aver paura di mostrarsi, di essere se stessi. Aver paura di quegli occhi che si incollano malamente addosso fino a rendere sempre più difficili i movimenti più quotidiani, anche camminare. Poggiò i gomiti sulle gambe ed intrecciò le dita addocchiando, di tanto in tanto, il cellulare abbandonato tra quei tessuti candidi. Danny stava tentando di andare avanti, di non aver paura di essere, di vivere come voleva. Le scuse dall’altra parte della porta del bagno, l’ultima volta che si erano visti, risuonarono come un eco nella sua testa. Aveva sbagliato? Perché aveva avuto quella reazione così esagerata? Si passò entrambe le mani sul viso, sapeva benissimo il perché. Si era accorto che a Daniel serviva una persona che lo capisse, che proteggesse il suo segreto e lo facesse stare bene. Victor voleva un posto sicuro in cui rifugiarsi per fuggire dai propri problemi. Peccato che non avesse funzionato, aveva solo aumentato esponenzialmente la sua solitudine. Fissò il telefono, lo afferrò, scrisse velocemente un messaggio e lo inviò, per poi lasciarlo di getto sul materasso, come se si fosse scottato. Si morse il labbro inferiore e si costrinse ad alzarsi e dimenticarsi di quel messaggio appena inviato.

E il tempo scivola viaWhere stories live. Discover now