Capitolo 6

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Il pranzo scorre tranquillo perché decido di mangiare in cucina da sola. Sara va e viene dal salone dov'ero ieri sera, e insieme a lei c'è Giovanni, un ragazzo sui sedici anni che ogni tanto lavora qui come cameriere – me lo ha detto prima - e che mi getta delle occhiate intimidite, neanche lo avessi sgridato. Di là stanno mangiando mio padre, Bruno il mio futuro mentore, e Tommaso. Non riesco a sentire i loro dialoghi e al momento non mi importa, sto pensando alle mille informazioni avute in questi due giorni e ancora mi chiedo se tutto questo sia reale o meno.

«Non mangi, cara?» interrompe i miei pensieri Sara, con un tono di voce premuroso e gentile.

Le sorrido e annuisco, inforcando un boccone di pomodori e lattuga.

Quando faccio per alzarmi alla fine del pasto vedo Giovanni rientrare in cucina con un vassoio pieno di piatti sporchi, mi getta un'occhiata fugace prima di abbassare lo sguardo a terra, poi subito dopo Tommaso varca la porta.

«Allora ci sei, ragazzina.»

Mi viene voglia di tirargli in faccia la forchetta quando mi chiama così. Ed è inevitabile per me gettare un'occhiata a Giovanni, prima che sparisca di nuovo verso il salone: sta guardando Tommaso con occhi sgranati, come se fosse inorridito da ciò che mi ha detto. E io mi faccio forza di questa improvvisa solidarietà per brandire con la mano la forchetta che ho in mano.

«La finisci di chiamarmi così??»

Lui mi raggiunge con due sole falcate e abbassa lo sguardo per guardarmi da vicino, visto che sono seduta.

«Perché, altrimenti che mi fai?»

Mi sorride sghembo. E io apro le labbra per replicare, ma incamero solo aria. Boccheggio mentre lui si raddrizza sulla schiena e indietreggia verso la porta.

«Bruno ti aspetta in biblioteca tra quindici minuti.»

Lo guardo sparire nel corridoio e lancio un'occhiata a Giovanni, che nel frattempo è ritornato con i bicchieri sporchi.

«S-se posso p-permettermi, Pri... Principessa Sofia...» balbetta guardando a terra, come se non riuscisse a sostenere il mio sguardo.

«Ti prego di chiamarmi Sofia e basta», replico io in modo gentile.

«C-certamente, Principessa.»

Mi sembra di aver parlato al vento, ma non insisto.

«Dovrebbe dirgliene quattro a quello sfrontato di Tommaso, Principessa.»

«Lo conosci bene?» chiedo io, quasi non avessi sentito nulla di ciò che ha detto il ragazzo.

«Ero solo un ragazzino quando è arrivato qui, ma non c'è da fidarsi di lui in quello...» sospira, «in quello stato.»

«Quale stato?»

La mia domanda però viene interrotta dall'arrivo di mio padre in cucina.

«Mia cara, perché non ti sei unita a noi per il pranzo?»

«Mi dispiace, papà, avevo un po' di mal di testa.»

«Spero che ora tu stia meglio, perché ti aspetta il primo pomeriggio di addestramento.»

Faccio di sì con il capo e mi alzo in piedi, Giovanni mi saluta con uno sfarfallìo della mano e ogni mia altra curiosità muore quando mi avvio verso la biblioteca.

Non posso fare a meno di pensare a quanto sia strano dialogare con Tommaso: un giorno è gentile, il giorno dopo ti asfalterebbe se ne avesse l'opportunità. Stare nei suoi pressi è come salire sulle montagne russe oppure orbitare intorno ad un astro che ti attira e ti respinge allo stesso tempo. In lui vedo il gatto irritabile che mi tratta da ragazzina, ma anche il ragazzo che sul treno aveva un sorriso dolce e una voce melodiosa, certo non rivolti a me. Il fantasma pesante di mia zia occupa i miei pensieri, vorrei saperne di più, capire cosa c'entrano loro due insieme, come sia possibile che la Giulia che ho visto sembra giovanissima, quando dovrebbe avere circa... Boh, almeno vent'anni più di me?

La Favola del TempoWhere stories live. Discover now