Prologo

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Se solo mi fermo a pensare a tutte le persone che ho condannato proprio a causa di questi comportamenti, giuro, mi mangerei le mani.

Come sono arrivata a questo? Com'è successo?

Proprio io, che mi ero ripromessa di non ricaderci di nuovo.
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Sono arrivata in città ormai da tre settimane, eppure mi sembra di viverci da sempre. Tra colloqui di lavoro, pranzi biologici e lezioni di yoga ho l'impressione che Ginny voglia trasformarmi in una di quelle guru salutiste che invadono la mia home di Instagram dalla mattina alla sera.

Ahh, la mia Ginny.

Ci siamo incontrate per la prima volta quindici anni fa, il primo giorno di scuola elementare. Impossibile non notarla. Tra noi bambine conciate quasi a festa con fiocchi rosa e forcine con i brillantini tra i capelli, gonne abbinate e camicette immacolate arriva lei: un piccolo ma invadente fiore selvaggio, con i suoi ricci castano scuro lasciati liberi di respirare e lontani dalle complicate acconciature che le nostre mamme ci obbligavano a portare, gonna nera e camicetta a quadri verde. Mi ricordo pensai che sembrava veramente uscita da un cartone animato. La sua famiglia si era trasferita da poco in città e nonostante questo lei e i suoi genitori avevano già cominciato a far parlare di loro, proprio perché fin da subito sono stati in grado di distinguersi dall'enorme massa di famiglie perfette che vivevano rinchiuse nella propria bolla familiare e che pensavano solamente ad inseguire il sogno americano.

- Ciao mi chiamo Lilian, piacere di conoscerti. Tu come ti chiami? Mi piacciono proprio tanto i tuoi capelli! Non ti ho mai vista in città, sei nuova? Ti va se diventiamo amiche? - cominciai ad incalzarla ancora prima che la poveretta potesse mettere piede in classe.

E forse è stato proprio per questo motivo che ha portato alla nascita di un'amicizia tanto speciale. Dopo essersi presentata mi raccontò che si erano trasferiti da poco dalla Repubblica Domenicana, dove i suoi genitori si erano resi conto che nel loro paese non sarebbero stati possibile darle la vita che sognavano tanto per lei.  Fortunatamente la madre era americana e fin da piccola le è stato insegnato ad esprimersi in entrambe le lingue e proprio per questo non ha avuto nessuna difficoltà a venire ammessa sia nel paese che nella scuola elementare.

Quel giorno fu solo il primo dei molti che passammo insieme. Ricordo ancora così vivamente ogni pomeriggio: da quelli passati a giocare al parco a quelli interminabili trascorsi dentro il centro commerciale a cercare il vestito giusto per il ballo di fine anno. Ci siamo divise solo il tempo di frequentare due università differenti e ora, dopo la laurea, eccoci qui di nuovo insieme.

Lei Seattle la conosce molto meglio di me, perché è proprio il luogo che ha scelto dopo il diploma per studiare e cominciare la sua carriera di architetto. Io ho deciso di raggiungerla solo ora, dopo aver ottenuto il master per il quale ho tanto sudato e per cui ho sacrificato intere nottate davanti ai libri invece di uscire a vivermi la vita da universitaria come tutti gli altri miei coetanei. E questo ancora lei me lo continua a rinfacciare: non riesce proprio a concepire come io possa aver scelto di perdermi tutto ciò per una laurea in lettere. Cosa ci posso fare se mi considero una romantica e sognatrice fino al midollo? Se amo passare le ore a trascrivere i miei pensieri su fogli di carta (o anche fogli di Word), in attesa di quell'ispirazione che mi riesca a portare a realizzare il mio più grande sogno e pubblicare qualcosa di mio?

- Terra chiama Liliaaan? Tesoro ci sei? - solo ora mi accorgo che, immersa com'ero nei miei pensieri, ho finito per perdermi uno dei tanti monologhi di Ginny sulla biodiversità o le strutture piene di vetri e finestre o su come Ryan Gosling sia stato il protagonista perfetto in La La Land. Difficile starle dietro tenendo conto che cambia un argomento al minuto.

- Si, G ci sono. Cosa mi stavi dicendo questa volta? -

- Ma insomma, è possibile che non riesci ad ascoltarmi neppure quando parlo di te o ti chiedo qualcosa sulla tua vita?? Volevo sapere se quella casa editrice per la quale hai fatto richiesta di stage ti aveva risposto. -

- Ah quella, si ok cioè no, non ho ancora ricevuto nulla. Al colloquio mi avevano comunque avvertito che ci sarebbero state una cinquantina di candidate quindi non sto neanche a sperarci più di tanto, aspetto che il tempo faccia il suo corso e se a breve non sento nulla provo a fare un colpo di telefono. - 

Ho sempre sognato di lavorare in una casa editrice e quando, mentre preparavo i bagagli per Seattle, mi sono imbattuta nell'offerta di uno stage retribuito alla Hoffman's & Co. quasi non ci credevo. Una delle più grandi ed importanti case editrici dello stato era alla ricerca di una stagista e io avevo tutti i requisiti necessari per propormi. Cosa che ho successivamente fatto e per la quale sono in attesa di una risposta.

- Mm va bene, ho capito. Mi raccomando, ricordati di chiamarli perché tra due settimane c'è l'affitto da pagare e sei stata proprio tu a proporre al proprietario dell'appartamento di contribuire a metà delle spese nonostante sai benissimo che non c'è n'è bisogno. -

Ginny e il suo stipendio da architetto. Che invidia. Anche da apprendista riesce a mantenersi e a togliersi qualche vizio un giorno si e l'altro anche.

- Si si, lo so G non preoccuparti. Per il momento continuo a racimolare quel poco che ricevo in mance alla tavola calda. -

La tavola calda. "Little Tony's". Un piccolo e modesto ristorante poco distante dal nostro appartamento che nel frattempo mi ha assunta come cameriera a giorni alterni e durante il weekend. Non prendo molto ma quello che mi basta per fare la spesa e acquistare beni di prima necessità.

- Ora mi preparo che sono di turno questa sera. Mi raccomando, non aspettarmi alzata o non aspettarmi e basta visto che probabilmente tornerò comunque prima di te, festaiola che non sei altro! - Le urlo dalla mia stanza mentre mi preparo e indossa la divisa del ristorante. Non scherzo quando le do della festaiola. Sembra che negli ambienti che frequenta lei, se vuoi rimanere conosciuto o comunque nel giro, partecipare ad almeno tre eventi a settimana sia il minimo richiesto.

Mi infilo il grembiule in borsa, faccio una veloce treccia ai capelli, indosso il cappotto e via. Scendo le scale e apro la porta. Il freddo vento di Dicembre non mi da tregua neanche oggi. Fortuna che devo fare solo pochi passi per raggiungere il ristorante, altrimenti probabilmente mi gelerei ogni muscolo. Come ogni buona tavola calda che si rispetti, il campanello suona mentre apro la porta e mi dirigo nella stanza del personale per depositare borsa e cappotto e cominciare il mio turno di lavoro.

- Buonasera Johnny! Sono arrivata! -

- Buonasera a te bambina! Il tavolo 4 ha appena richiesto un altro cesto di pane, tieni qui e portaglielo. Grazie - Johnny è il proprietario del ristorante. Un uomo buono e gentile, che ha da poco superato i sessant'anni e che mi tratta come una figlia perché, a quanto dice lui, gli ricordo proprio sua figlia.

Tra il servire un tavolo e l'altro il turno passa anche piuttosto in fretta e mi ritrovo, ormai all'orario di chiusura, a sistemare la cassa, riordinare le sedie e spazzare per terra mentre saluto i miei colleghi che si immergono nella ancora giovane notte di Seattle, chi pronto a tornare a casa dalla propria famiglia, chi invece a cambiarsi e andare per locali.

Sto per tirare giù la saracinesca e chiudere la porta a chiave quando una mano la blocca e due occhi verdi come il mare incrociano i miei. Ecco che, una voce profonda ma allo stesso tempo gentile, mi chiede:

- Scusami, siete ancora aperti? -

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⏰ Last updated: Mar 31, 2023 ⏰

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