2. Usagi e Arisu

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Nella perdizione ho trovato Usagi. In questa realtà dove la violenza e il caso regnano sovrani, dove gli uomini sono bestie pronte a uccidersi nelle arene pur di ottenere un'altra misera manciata di vita, l'amicizia ha tutto un altro valore. Nasce improvvisamente tra due anime sole, si fa strada con forza tra le loro paure, le unisce, le allevia, accende luci tra le tenebre, allenta di un poco la stretta della morte attorno alla gola. L'amicizia qui è un miracolo, è ossigeno, e Usagi è l'unica cosa di questo mondo che mi ricorda cosa significa essere umani.

La prima volta che l'ho vista ero al piano terra di un alto palazzo e stavo aspettando assieme agli altri partecipanti che cominciasse il nuovo gioco, 5 di picche. Forza fisica.
Ero terrorizzata, fermamente convinta che quella volta non ce l'avrei fatta. L'angoscia era paralizzante: non sono una sportiva, non lo sono mai stata, non ho né fiato né coordinazione né resistenza. Sentivo la mia stessa fine incombermi addosso come una sentenza troppo a lungo rimandata e non più derogabile.

Usagi era appoggiata alla parete di fronte a me, apparentemente calma, concentrata, capelli corti e neri, sguardo indecifrabile. Il panico che provavo in quel momento distorceva i miei sensi, rendeva le cose distanti, come se stessi osservando il mondo da una bolla opaca, ma ricordo che Usagi indossava un top grigio e dei leggins, e quando ha cominciato a riscaldarsi ho notato il suo fisico tonico, i muscoli che si contraevano sulle braccia sottili durante lo stretching. L'ho invidiata, ho pensato che lei avesse una possibilità, qualunque fossero le regole del gioco.

Non abbiamo dovuto attendere molto per scoprirle: "Evitare la Cosa". La Cosa, lo avremmo scoperto a breve, era un uomo con la testa di cavallo e un fucile in mano che inseguiva i partecipanti tentando di ucciderne il più possibile. All'interno del palazzo c'era inoltre una "stanza sicura" con un dispositivo da disattivare: se non fossimo riusciti a trovarla, l'intero edificio sarebbe esploso. Avevamo 20 minuti.

I momenti successivi all'avvio del gioco sono estremamente confusi nella mia memoria. Ricordo di aver sentito l'adrenalina concentrarsi nelle gambe e amplificare enormemente tutti i miei sensi, ricordo il cuore battere così forte nel petto da farmi male. Ricordo le scale, piani e piani di scale, ricordo la gente che corre per i corridoi, corridoi vuoti, corridoi con corpi stesi, sangue. Ricordo il suono dei proiettili che lacerano l'aria, uno dopo l'altro, e per i miei sensi amplificati ogni colpo era un boato insopportabile, ricordo l'orrore, ricordo il sollievo per non essere tra i corpi stesi a terra, non ancora. Su, giù, fermati, respira, riparti, più veloce, scansa le persone, i cadaveri, ignora le urla, attenta a non cadere, la Cosa si avvicina, dov'è.

Ogni tanto mi fermavo a riprendere fiato e a monitorare la situazione, se avevo fortuna vedevo la Cosa qualche piano sotto al mio, ma subito spariva dietro alle colonne e allora era di nuovo una corsa contro la morte.
Non ho idea di quanto sia andata avanti così, ma quelle che a me sono sembrate ore dovevano essere appena una decina di minuti. So solo che a un certo punto ero stremata, la milza mi faceva un male insopportabile, le gambe avevano smesso di ubbidirmi, i polmoni bruciavano, il cuore minacciava di lacerare il petto. Mi sono appoggiata a una parete combattendo contro i conati di vomito, ed è stato allora che ho visto la Cosa apparire dal fondo del corridoio.

Il panico si è preso il mio corpo e il mio respiro. Non riuscivo a muovere un altro passo.
Ho capito di essermi arresa quando ho sentito una calma sconosciuta invadere la mia mente, un torpore morbido e confortevole che m'invitava a riposare, a smettere di combattere, di fuggire. Ho cominciato a osservare con curiosità la Cosa che si avvicinava. Ora potevo scorgere con discreta precisione i dettagli della maschera, un muso di cavallo dagli occhi grandi e scuri, marrone con una striscia bianca che partiva dalla fronte e scendeva fino alle narici. L'uomo che la indossava era alto e robusto, portava un completo militare. Camminava verso di me lentamente ma con decisione, e più si avvicinava più l'ambiente attorno a me si distorceva, più accogliente si faceva il torpore. Quando ha alzato il fucile verso di me ho osservato la canna d'acciaio e ho pensato alle gallerie di montagna, ai viaggi d'estate.

- Hey tu! -
Il grido ha bucato la mia bolla come uno spillo. Usagi era comparsa dal fondo del corridoio e adesso correva verso di noi, verso me e la Cosa. La faccia di cavallo si è voltata di scatto, seguita dal resto del corpo, quindi dal fucile. È stato un attimo. Prima che il proiettile lacerasse l'aria con il suo suono sordo, Usagi era già saltata nel vuoto, oltre il muretto dell'edificio.
Non ricordo di aver dato alcun comando ai miei muscoli, so solo che un istante dopo stavo correndo giù dalle scale con un'esasperazione e una volontà di vivere laceranti. Non sapevo quanto mancasse alla fine del gioco, non sapevo se gli altri partecipanti avessero trovato la stanza sicura, non sapevo quanto avrei dovuto resistere ancora. Solo una cosa sapevo: volevo vivere.

Ho scoperto che il gioco era terminato solo quando la voce femminile ha annunciato la nostra vittoria. Mi sono lasciata scivolare contro una parete, ho vomitato, ho aspettato che il respiro tornasse alla normalità, che i tremiti abbandonassero il mio corpo esausto. Avevamo vinto. Alcuni partecipanti erano riusciti a organizzarsi e a elaborare un piano, e tra loro c'era Usagi.

Usagi. Avrei scoperto solo in seguito che amava arrampicarsi, glielo aveva insegnato suo padre.
- Grazie per avermi salvato la vita -, le avrei detto da lì a breve, affrettando il passo per raggiungerla all'uscita dell'arena. - Ti devo una cena -.
Usagi si è voltata verso di me e ha fissato i suoi occhi neri nei miei. L'intensità del suo sguardo mi ha colta di sorpresa. Ha sorriso appena: - Non è necessario -, e stava per voltarsi di nuovo.
- Per favore -, le parole sono scivolate dalla bocca senza che potessi impedirlo. Mi sono immediatamente vergognata di me stessa, del mio ridicolo tono supplicante, così ho scosso la testa e ho aggiunto un altrettanto ridicolo: - Se ti va, ovviamente -.
Usagi mi ha guardata di nuovo, i lineamenti del volto ammorbiditi da quella che doveva essere compassione. - Ok allora -, ha concesso. Poi, con un cenno del mento, - Ti seguo -.

Quella sera abbiamo mangiato legumi in scatola e pane azzimo nell'appartamento disabitato in cui mi ero stabilita da qualche giorno. Non abbiamo scambiato molte parole, ma per la prima volta dopo giorni mi sono sentita al sicuro. In seguito avrei imparato a conoscere Usagi e le sue ferite, la sua profonda solitudine, lo scudo d'indifferenza che ha costruito per difendersi dal dolore.
Ma è stato durante quella sera che le nostre anime hanno stretto in segreto un patto di sangue: da quel momento io e Usagi avremmo affrontato insieme i game, le notti e l'assurdità di questo nuovo mondo.

Circa una settimana dopo si è unito a noi anche Arisu, un ragazzo della nostra età dai capelli scompigliati e gli occhi tristi. Lo avevamo già incontrato durante il 5 di picche, Usagi mi aveva spiegato che era stato fondamentale per la vittoria.
Quando lo abbiamo conosciuto, Arisu aveva da poco perso i suoi migliori amici, Chota e Karube, e se ne dava la colpa. É stata Usagi a trovarlo, di ritorno da un'uscita di caccia: steso in terra, la faccia sull'asfalto bagnato, Arisu aveva deciso di lasciarsi morire. Usagi lo ha trascinato di peso fino al nostro appartamento, lo ha sistemato su una stuoia accanto al fuoco, ha aspettato che riprendesse i sensi, ha diviso con lui il nostro cibo.

Se penso ad Arisu mi vengono in mente le colazioni assieme, mentre aspettavamo che Usagi tornasse dai suoi allenamenti mattutini. Mai avrei pensato di riuscire a ridere così tanto in questo mondo in rovina. All'inizio era talmente avvolto nel suo involucro di dolore, talmente ostinato nel suo desiderio di rinuncia alla vita, da sembrarmi irraggiungibile. Non è stato semplice per me e Usagi far breccia nella sua apatia, nel suo tormento. Ma ne è valsa la pena.
Arisu: timido, intelligente, compassionevole, goffo, divertente, leale. Non mi stupisce che Usagi si sia innamorata di lui.

A questo punto avevamo ritrovato l'uno nell'altra ciò che credevamo perduto per sempre: speranza, amicizia, fiducia, sostegno, complicità. Insieme abbiamo creduto di poter sopravvivere all'incubo, di poter trovare delle risposte. E un giorno ci siamo convinti di essere finalmente sulla strada giusta.

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