43 - L'inevitabile

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Sanem

Dopo la discussione  con Can sul lungomare avevo trascorso una notte travagliata e la mattina mi ero alzata di umore tempestoso. Mi rendevo conto che mi sarebbe mancata tanto l'agenzia  e la vitalità che  si respira ogni giorno in quel luogo colorato e creativo.
Ero consapevole che mi sarebbe mancata tanto, ma non potevo stare più lì, non potevo più avere niente a che fare con Emre e... era arrivato il momento di uscire definitivamente  dalla vita di Can Divit.
Il compito che mi aspettava ora però era di parlare al più presto con i miei e non era un'incombenza per niente  facile. Mancavano pochi giorni ormai alla data fissata per il matrimonio e mia madre non faceva altro che  elencare  le tante cose ancora  da fare perché tutto  fosse perfetto mentre io cercavo di immaginare quale fosse il modo  e  il momento migliore per dirle che in realtà non ci sarebbe stato alcun matrimonio. Solo in tarda mattina mi sono sentita pronta, avevo deciso di parlare prima con lei e poi con mio padre perché non avevo il coraggio di affrontarli contemporaneamente,  da sempre se sono insieme e devo confessare qualcosa ho la terribile sensazione di essere di fronte ad una corte marziale.
Un respiro profondo ed ero pronta, era  il momento .
"Mamma, ti devo dire una cosa...".
Lo squillo del telefono mi ha  interrotto proprio nel momento in cui avevo finalmente trovato il coraggio di parlare, ma non ho potuto fare altro che seguire con sguardo impotente mia madre che usciva dalla cucina per andare a rispondere. Dalle poche parole che ha pronunciato poco dopo  però ho capito subito cosa stava succedendo. "Ciao Leyla...come?... Aziz? Quale ospedale?". Mentre riattaccava   non c'è stato bisogno di parole, non abbiamo avuto un attimo di esitazione,  in pochi minuti eravamo pronte ad uscire. Raggiunto mio padre al negozio  abbiamo preso in fretta un taxi che ci ha portato  in ospedale,  dove  Leyla ci stava già aspettando .

Ed ora eccomi qui, che percorro quei  lunghi corridoi anonimi e quasi senza fiato varco la porta della sala d'aspetto del pronto soccorso. Can è lì che cammina avanti e indietro davanti all'entrate della sala visite mentre si  porta le mani a sfregare il viso in un gesto ansioso. Mio padre lo chiama e quando si gira sembra davvero sorpreso di vederci. Lo raggiungiamo e alla domanda sulle condizioni di Aziz sul suo viso appare tutta  la preoccupazione  e  il peso della solitudine che sta vivendo.

In un istante ripenso alle umiliazioni degli ultimi giorni,  al disprezzo che ha dimostrato nei miei confronti ogni volta che ne ha avuto l'occasione e le parole dure che ha avuto per me,  eppure non posso resistere. Istintivamente, senza pensare, mi avvicino a lui abbracciandolo forte, cercando di rassicurarlo sul fatto che tutto andrà bene. Le sue enormi braccia mi stringono in quel modo unico,   capace di  farmi sentire piccola e al sicuro, così che per qualche istante tutto quel che ci divide  è dimenticato. Lasciamo che esista solo il calore e il conforto dello stringersi l'uno all'altra in un momento estremamente difficile.
So che ne ha bisogno ed io, nonostante tutto,  non posso impedirmi di fargli sentire che non è solo, anzi  voglio prendermi cura di lui così come il mio capo ha fatto con me, qualche giorno prima, medicando con premura la ferita al ginocchio di un'impiegata quasi sconosciuta.

Trascorrono minuti eterni fino a che il richiamo del medico ci trascina prepotentemente fuori da quello  spazio dove, nostro malgrado, finiamo per perderci ogni volta che siamo vicini. Can è il primo a riscuotersi  e  si muove per raggiungerlo senza lasciarmi andare, continua a tenermi stretta al suo fianco come se fossimo davvero una coppia innamorata ed io fossi la sua compagna di vita. Mi lascia solo quando il dottore lo invita a seguirlo per andare a vedere suo padre mentre io mi siedo con i miei genitori  ad aspettare che torni per darci notizie.
Siamo tutti sinceramente preoccupati per Aziz che si è rivelato essere una bravissima persona e, in pochi brevi incontri, è riuscito a conquistare il mio cuore come quello di tutta la mia famiglia.

Come spesso mi succede con Can  percepisco la sua presenza  già prima di vederlo quando, poco dopo, rientranso nella sala d'attesa appare quasi stupito di trovarci ancora lì e ci ringrazia per essere venuti. Mia madre si affretta ad  abbracciarlo  rassicurandolo. "Figliolo, tu e Aziz siete ormai parte della nostra famiglia, non è un disturbo, assolutamente". Ho una una fitta al cuore a quelle parole e non posso che sentirmi terribilmente in colpa per tutto quello che sta succedendo tra noi e  immaginando le ripercussioni che le nostre decisioni possono  avere  sui nostri cari.

Ma ecco che il  kötü kral, il re cattivo, si gira verso di me catturando il mio sguardo e, porgendomi la mano,  sussurra piano.
"Vieni Sanem, mio padre ha chiesto di vederti per rassicurarti sul fatto che starà bene e si rimetterà in tempo per il nostro matrimonio".
Mi sento mozzare il fiato a quelle parole, abbasso lo sguardo sulla sua mano protesa in un gesto di invito mentre realizzo cosa quelle parole comportano. Come possiamo dire ora  a quel pover'uomo che è di là, in un letto d'ospedale, che non ci sarà più  alcun matrimonio? Come possiamo dirlo poi ai miei che sono corsi qui per dare sostegno a Can e a suo padre che  per loro sono già parte della nostra di famiglia? I nostri sguardi si incontrano  in un duello silenzioso di accuse:

"Mi hai mentito"

"Non hai voluto ascoltarmi"

"Sai anche tu che dobbiamo farlo"

"Non può essere questa la soluzione"

"Come possiamo deludere i nostri genitori?"

"Ci deve essere un altro modo"

"Non c'è, non c'è mai stato".

In cuor mio devo alla fine ammettere che è così, i miei sarebbero annientati dall'annullamento del matrimonio, ma per Aziz, nello stato di salute in ci si trova,  potrebbe essere addirittura fatale un dispiacere del genere. Ha dimostrato di tenere  molto a questa cerimonia facendo  un lungo viaggio per tornare a Istanbul e ora, dopo un malore che l'ha portato sino in ospedale, il suo primo pensiero è proprio per noi e il nostro matrimonio. Mancano ormai solo pochi giorni, se voglio che sia  annullato devo parlare al più presto,  questo è chiaro, ma  come posso fare una cosa del genere proprio ora?

Ancora una volta mi ritrovo a decidere  se  prendere o meno quella mano tesa verso di me.

In pochi istanti la situazione mi è chiara. So che devo farlo, DEVO andare con lui e accettare di sposarlo.

E' inevitabile e lo è stato sin dall'inizio di tutta questa storia.

Annuisco mentre però glli indirizzo uno sguardo che è un chiaro messaggio di avvertimento.
"Devo accettare, ma non pensare che sarà tutto come decidi tu"
.

La mia mano tremante si muove come a rallentatore per prendere la sua che la stringe con forza e mi porta via con sè

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La mia mano tremante si muove come a rallentatore per prendere la sua che la stringe con forza e mi porta via con sè. Camminiamo fianco a fianco senza guardarci mentre siamo consapevoli entrambi che abbiamo fatto una scelta definitiva.
Abbiamo appena deciso il nostro destino, nel bene e nel male.

Mentre lo seguo nella mia mente si ripetono le stesse domande che una ragazza ingenua si era posta, non molti giorni prima, lasciando un party elegante in compagnia di un uomo carismatico, ma quasi sconosciuto.

In tutte le fiabe, nella foresta oscura...
C'è una voce che sussurra e ci chiama verso il pericolo.
Il re cattivo, con tutto il suo fascino, ci trascina in queste pericolose avventure.
Non appena entrano nella foresta le principesse andranno dai re cattivi, sapendo che il loro cuore verrà distrutto.
Ed io dove sono in questa favola?
Accetterò ciò per cui sono destinata?
Oppure andrò, trascinata via da un re cattivo che mi distruggerà il cuore?

A quanto pare alla fine ho deciso di accettare ciò per cui sono destinata, ma la domanda ora  è: permetterò al re cattivo di distruggere il mio cuore?




Decisioni improvviseOù les histoires vivent. Découvrez maintenant